Ore d’angoscia per Natalia Nagovitsyna ferita sul Pobeda Peak, in Kirghizistan
La forte scalatrice russa è bloccata dal 12 agosto a circa 7150 metri di quota. Inutili fino a oggi tutti i tentativi di soccorso, anche via aerea. È ancora viva ma i viveri scarseggiano
Si riducono con il passare dei giorni le speranze di salvare Natalia Nagovitsyna, la forte scalatrice russa rimasta ferita lo scorso 12 agosto durante la discesa dal Pobeda Peak (7.439 m), in Kirghizistan. I compagni di scalata ha dichiarato che la Nagovitsyna ha subito la frattura di una gamba e non può muoversi. Secondo quando riferito dalla sempre bene informata giornalista Anna Piunova, i compagni di ascensione, considerata l’impossibilità di un trasporto via terra, hanno lasciato la compagna a circa 7150 metri di quota dopo averla fornita di tenda, sacco a pelo, cibo e fornello da cucina, confidando in un celere soccorso via aerea.
Purtroppo, l’elicottero del Ministero della Difesa del Kirghizistan che ha tentato di raggiungere la montagna nonostante il maltempo è incorso in un incidente precipitando a una quota di 4.600 metri. Delle nove persone a bordo, tre sono rimaste seriamente feriti (nessuna, però, risulta in pericolo di vita) ed è stato necessario organizzare un’ulteriore missione di salvataggio.
Il 19 agosto, un sorvolo di droni ha permesso di constatare che la quarantasettenne russa è ancora in vita, ma anche quel giorno non è stato possibile procedere al recupero con gli elicotteri. Come facile intuire la Nagovitsyna, oltre che con le ferite deve ormai fare i conti con le scorte di cibo agli sgoccioli ed è quindi indispensabile raggiungerla al più presto. Allo scopo, dice ancora la Piunova, è partita ieri una squadra via terra che, se il meteo non dovesse peggiorare, potrebbe raggiungere la scalatrice nella giornata di domani. Il tempo però stringe.
Forte ed esperta, la Nagovitsyna ha vissuto quattro anni fa la tragedia della morte del marito colpito da un ictus sul Khan Tengri. Nell’occasione volle restare accanto al consorte morente fino alla fine nonostante il parere di segno opposto dei soccorritori. Un anno dopo, l’alpinista russa salì di nuovo su quella montagna per installare una targa in sua memoria.