Storia dell'alpinismo

Bonatti e il K2: la storia infinita

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Il lato oscuro del più grande successo alpinistico italiano. Questa la storia di Walter Bonatti e della prima salita al K2. Una salita destinata ad essere ricordata nei secoli per la gloria che portò all’Italia. Ma anche per le polemiche sui fatti accaduti nelle ore che la precedettero. Al centro della bufera, Walter Bonatti, che di fatto rese possibile il successo, ma venne accusato di aver tentato di sabotare la salita dei compagni per ambizione personale.

Confusione, tradimenti, calunnie e cause in tribunale. Questo l’amaro strascico della storica prima salita al K2. Che in un primo momento apparve come un perfetto lavoro di squadra. E poi anno dopo anno, accusa dopo accusa, si è trasformata nella  più celebre cronaca di rancori personali e bugie alpinistiche della storia.

Come andò veramente quella notte tra il 30 e il 31 luglio 1954? Andiamo per ordine. E torniamo a campo 8, 7.750 metri, il 29 luglio. C’erano Compagnoni e Lacedelli con Bonatti e Pino Gallotti, questi ultimi appena saliti dal campo 7. La vetta era vicina, il tentativo finale imminente. Ma l’ossigeno scarseggiava: una condizione che significava una sola cosa, il fallimento. Perchè finchè Messner non dimostrò il contrario negli anni 80, la vita umana era creduta impossibile oltre gli ottomila metri.

Le bombole erano rimaste al campo sotto. Qualcuno doveva scendere a prenderle: ci andarono Bonatti e Gallotti. Scesero di 200 metri, presero i bastini – che pesavano 20 chili ciascuno – e risalirono verso i compagni. Era il 30 luglio. L’accordo, con Compagnoni e Lacedelli, era di trovarsi a campo 9, che i due alpinisti avrebbero dovuto installare intorno agli ottomila metri, più in basso del previsto per consentire a Bonatti e Gallotti di risalire.

Gallotti però, sfinito, si fermò a campo 8. Salì ancora un poco Erich Abram, ma poi rinunciò anch’egli. Stoico, Bonatti proseguì insieme all’hunza Mhadi. Ma là dove doveva essere, il campo non c’era. Bonatti urlò, chiamò i compagni. Niente, nemmeno l’ombra. E intanto, calava la notte. Poi finalmente una risposta: "più in alto, seguite le tracce …" gridava Lacedelli. 

Bonatti e l’hunza salirono, fiduciosi e determinati anche se allo stremo delle forze. Proseguivano su un terreno infido, sull’orlo dello strapiombo. Ma fin lassù non riuscirono ad arrivare: quel campo era ben 200 metri più sopra del previsto. Bonatti decise per un folle bivacco notturno, all’aperto, a 8.100 mentri. Un’esperienza al limite della sopravvivenza.

In più, la notte si scatenò la bufera, con gelo e neve che pervasero la conca. Ma Bonatti, allora 24enne, superò la prova, incredibilmente senza conseguenze. L’hunza Mhadi, invece, impazzì. Vedeva ombre, gridava, all’improvviso scappò verso le tende più in basso, dove arrivò con mani e piedi congelati.  

La mattina del 31 luglio, Bonatti sistemò i bastini con le bombole d’ossigeno e poi tornò a campo 8. Compagnoni e Lacedelli scesero a recuperarle, e poi si diressero verso la vetta, che raggiunsero dopo circa dieci ore, regalando alla storia la prima salita della seconda montagna più alta della terra.  

Una storia a lieto fine, con un eroico gesto altruistico che permise alla squadra di raggiungere il successo. Purtroppo, però, ci vollero anni perchè questi fatti venissero a galla. Compagnoni e Lacedelli, dopo la salita, dichiarano che l’ossigeno era finito 200 metri sotto la vetta. E che riuscirono ad arrivare in cima senza le bombole per un vero e proprio miracolo. Questa la versione dei fatti riportata poi da Ardito Desio nella relazione ufficiale della spedizione. Versione che, però, venne smentita anni più tardi.

L’accusa, prima velata e poi snocciolata da Compagnoni alla stampa nel 1964, era che Bonatti l’avesse usato per tentare di raggiungere la vetta da solo, con l’hunza Mhadi.

Quando Bonatti vide quell’articolo infamante pubblicato sulla Nuova Gazzetta del Popolo di Torino, divenne una furia. Ed esplose la ragnatela di accuse, invidie, rancori nascosti che covava sotto l’epica impresa italiana del 1954. Bonatti denunciò il giornalista, raccontò la sua versione e accusò pubblicamente i compagni di non aver rispettato gli accordi presi riguardo la collocazione del campo, e di averlo posizionato apposta più in alto del previsto, per impedirgli di avere possibilità di vetta. Smentì, poi, il fatto che l’ossigeno potesse essere finito duecento metri sotto la vetta: lui non avrebbe potuto usarlo perchè sprovvisto di maschera.

La cosa, in effetti, si dimostrò falsa. Anni dopo vennero scoperte alcune foto, scattate in vetta, che ritraevano i due alpinisti con i bastini e la maschera indosso (foto a lato): impossibile che si fossero portati venti chili sulle spalle, senza motivo, a quella quota e senza ossigeno. Impossibile, poi, che in quelle ultime due ore di scalata potessero aver percorso duecento metri di dislivello. Perchè nelle ore precedenti, con l’ausilio delle bombole, erano saliti ad una media di 30 metri di dislivello ogni ora.

Bonatti vinse la causa in tribunale nel 1967, e donò l’indennizzo a un’associazione di beneficienza. Ma questo non bastò ad indurre il Cai a rivedere la versione ufficiale dei fatti, in cui il capospedizione Ardito Desio aveva raccolto le testimonianze degli alpinisti saliti in vetta.

Il Cai tenne fede a  quella versione fino al 1994, quando si decise, finalmente, ad annunciare la revisione storica della vicenda. Ma, allora, si limitò a riconoscere l’apporto prezioso di Bonatti senza toccare lo scandalo dell’ossigeno falsamente esaurito anzitempo sul K2.

Solo nel 2004 i tre Saggi incaricati dal Cai – lo scrittore Fosco Maraini e i docenti universitari Alberto Monticone e Luigi Zanzi – rettificarono e riscrissero la versione della salita, riabilitando anche nelle pagine degli annali Cai la figura Walter Bonatti. E solo negli ultimi giorni il Cai centrale ha dato il "si stampi" a tale relazione.

Caso chiuso, dunque. Caso risolto. Almeno, per quanto riguarda Bonatti. Ma quali altri retroscena si nascondono dietro questa storia di accuse, misteri e bugie? Qualcosa c’è cari lettori. E noi vi accompagneremo a scoprirlo. Continuate a seguirci…

Sara Sottocornola

 

 

 

 

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