Gente di montagna

A tu per tu con William Boffelli, l’ingegnere volante

L’atleta bergamasco ha appena stabilito il record di velocità di salita e discesa sul Monte Bianco. Nella vita di tutti giorni si occupa della salute dei ghiacciai per la Fondazione Montagna Sicura di Courmayeur

Da Roncobello, in provincia di Bergamo, al Monte Bianco, passando per la nazionale di skialp: William Boffelli è un atleta che ha fatto della montagna il suo mestiere, ma senza rinunciare alla testa. Ingegnere, scialpinista, trail runner e recordman, vive oggi in Valle d’Aosta e continua a muoversi tra gare, ghiacciai e progetti ambiziosi. Nelle scorse settimane ha stabilito il nuovo FKT di salita e discesa con gli sci sul Monte Bianco da Chamonix.

William, sei ormai “naturalizzato” valdostano, ma arrivi dalla Val Brembana…
Sono nato in un paesino dove si faceva solo fondo. Da lì sono partito, anche se il fondo non è mai stata la mia disciplina preferita: lo praticavano tutti, quindi l’ho fatto anch’io. Poi ho scoperto lo skialp e non l’ho più mollato. Mi sono trasferito in Valle d’Aosta due anni fa, per lavoro e qui ho trovato la mia dimensione.

Il tuo curriculum nello skialp è impressionante: otto anni in nazionale, podi alla Pierra Menta, al Mezzalama, ai Mondiali…
Il Mezzalama è la gara che porto più nel cuore. Sarà che da piccolo venivo con i miei a vedere la gara, sarà che adesso lavoro proprio su quei ghiacciai. La Valle d’Aosta è casa, anche se la famiglia è lontana. Qui mi sveglio al mattino e vedo il Bianco. Meglio di così…

A proposito: sul Monte Bianco hai appena battuto il record di salita e discesa, strappandolo a Benjamin Védrines. Com’è andata davvero?
Era da un po’ che ci pensavo. Da quando mi sono trasferito a Courmayeur, ogni mattina mi alzo e lo guardo dalla finestra. Poi quest’anno non si trovava mai il weekend giusto, si è sposata mia sorella, pioveva sempre, ogni volta c’era qualcosa… E proprio quando avevo accantonato l’idea, scopro che Benjamin l’ha fatto. All’inizio mi sono sentito un pollo per non averci provato anche io, poi ho pensato: “Perché non provare anche se un po’ in là con la stagione?”.

Ho messo gli sci a 2250 metri, dopo un lungo tratto a piedi. Le condizioni non erano ideali: neve molle sotto e crosta sopra, mancato rigelo, una traccia inesistente. Ho chiesto ad Heni Aymonod di accompagnarmi in discesa e di aiutarmi a trovare una linea intelligente alla Jonction, la zona più crepacciata. La mattina della salita, con la neve gelata, non riuscivo nemmeno a salire con le pelli. Lì ho pensato di mollare. Poi però ho deciso: provo e vediamo che succede. E, nonostante tutto, è venuto fuori un buon tempo. Penso che con le condizioni perfette si possa migliorare ancora.

Védrines ti ha detto qualcosa?
Ci siamo incontrati in vetta il 15 maggio, entrambi eravamo lì per fare dei giri di ricognizione. Nessuno dei due ha detto all’altro che stava pensando al record. Quando ci siamo risentiti, è stato sportivissimo, mi ha fatto i complimenti.

Nel tuo futuro solo gare o anche progetti personali?
Voglio continuare a gareggiare – skialp, trail, farò la Monte Rosa Sky Marathon e forse una tappa del Tor – ma mi piacciono i progetti. Muovermi in montagna, metterci del mio. In montagna mi sento a casa. Arrampicare? No, non ho tempo!

E il lavoro?
Lavoro per Fondazione Montagna Sicura, un ente che si occupa di prevenzione, monitoraggio e gestione del rischio in ambiente alpino. Mi sono laureato al Politecnico di Milano in ingegneria civile e ambientale, indirizzo rischio idrogeologico. Adesso mi occupo quasi solo di ghiacciai: monitoraggi, rilievi, raccolta dati. Insomma, un lavoro che mi permette di vivere attaccato alle montagne e unire passione e competenze.

Nonostante tutto questo, continui a dire che non ti piace la fatica…
No, davvero. Non mi piace soffrire male. In allenamento e in gara cerco sempre di dosarmi, sono abbastanza pigro. La fatica va fatta, ma con intelligenza. Se voglio andare avanti a lungo, meglio preservarsi.

Mai da solo in montagna?
Quasi mai. Sul Bianco o in progetti impegnativi preferisco andare in due: sei più veloce che in tre, ma non sei solo. È più sicuro, ma anche più bello. Condividere certe esperienze ha un valore enorme.

Ti spaventa l’idea di fare solo l’atleta?
Un po’ sì. Solo gare e risultati ti mettono pressione. Se ti fai male, rischi che ti crolli tutto. Avere un lavoro “normale” è il mio paracadute. Mi aiuta a staccare e a vivere la montagna con più leggerezza. Che non vuol dire prenderla alla leggera.

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