Buon compleanno Stephen Venables!
Oggi compie 71 anni un grande dell’alpinismo britannico, celebre per i suoi libri, per aver presieduto dal 2004 al 2007 l’Alpine Club, e per aver tracciato nel 1988 una spettacolare via sulla parete di Kangshung dell’Everest

La mattina dell’11 maggio 1988, un alpinista britannico percorre da solo la cresta sommitale dell’Everest. Le code di guide e clienti delle spedizioni commerciali non ci sono ancora, sulla cresta di neve oltre la Cima Sud non ci sono corde fisse, il vento ha cancellato le tracce di Sundhare Sherpa, che qualche giorno prima è salito per la quinta volta sulla cima.
Stephen Venables, 34 anni, è partito dal Colle Sud alle dieci di sera, insieme agli americani Robert Andreson ed Ed Webster. E’ salito in testa dall’inizio, battendo la traccia sul pendio, all’alba si è fermato ad aspettare per un’ora, ma gli altri avevano già fatto dietrofront. Allora continua verso l’alto, sulla cresta che, a sorpresa, gli offre una “meravigliosa arrampicata” su appigli e piccole cenge. L’unica corda fissa della giornata lo aiuta a superare l’Hillary Step.
Venables arriva sulla vetta dell’Everest alle 15.30, sosta per dieci minuti, poi riparte in discesa. Le nuvole avvolgono la montagna, orientarsi è difficile, una voce dentro di lui ripete “non fare come Mick Burke”, l’alpinista britannico che è scomparso su quella cresta, in condizioni simili, nel 1975. Oltre la Cima Sud, ormai al buio, Stephen sosta per un gelido bivacco a 8600 metri di quota. Poi riprende lentamente a scendere, scivola per un centinaio di metri perdendo la piccozza, ritrova Ed e Robert e continua verso il campo-base e la salvezza insieme a loro.

L’inglese e i due americani, insieme al canadese Paul Teare che è stato fermato dal mal di montagna, non sono arrivati al Colle Sud per la via normale nepalese, ma hanno tracciato una nuova e magnifica via sul versante del Tibet. La parete di Kangshung, un anfiteatro di cinque chilometri di larghezza, oltre che nell’Everest culmina nel Lhotse, nel Lhotse Shar, nel Peak 38 e nello Shartse. Ghiacciai sospesi e canaloni battuti da valanghe la rendono molto pericolosa. Cinque anni prima, un’altra spedizione anglosassone ha aperto sulla stessa parete una via che raggiunge direttamente la cima dell’Everest.
Nel 1988 Anderson, Webster, Teare e Venables puntano più a sinistra e tracciano una via spettacolare e pericolosa. Superano tratti di estrema difficoltà, che battezzano Neverest Buttress, Scottish Gully Cauliflower Ridge e Webster’s Wall. Per superare una spaccatura che taglia il pendio, attrezzano una tirolese, una traversata a corda con le jumar. Il pendio che raggiunge il Colle Sud è facile. L’11 maggio, Venables è l’unico a toccare la cima.
Classe 1954, nato a Londra e cresciuto tra le campagne del Surrey, Stephen ha l’aria di un professore di Oxford, con occhiali tondi e lentiggini. Da ragazzo scopre la montagna e la neve in Engadina e l’arrampicata sui massi di arenaria di Fontainebleau, alle porte di Parigi.
La spedizione del 1988, in cui diventa il primo britannico a raggiungere la vetta dell’Everest senza utilizzare ossigeno in bombola, lo rende celebre in patria. Fuori dal Regno Unito, invece, non diventa mai famoso come altri alpinisti della sua generazione, da Pete Boardman fino a Joe Tasker, Pete Renshaw e Lindsay Griffin.
Intorno ai vent’anni, Stephen Venables inizia a collezionare le grandi pareti delle Alpi, dalla Cassin al Badile fino alla Nord dell’Eiger. Poco dopo, spesso insieme all’amico Griffin, diventa protagonista di una serie di spedizioni avventurose e leggere. La prima, nel 1977, inizia con un viaggio in bus dall’Inghilterra all’Afghanistan, e prosegue con l’apertura di varie belle vie su cime secondarie e un tentativo ai 7493 metri del Noshaq.
Nel 1992, quattro anni dopo la parete Est dell’Everest, Venables compie insieme a Dick Renshaw, Victor Saunders e Stephen Sustad la prima salita del Panch Chuli V, 6437 metri, nell’Himalaya indiano. In discesa una corda doppia che si stacca gli costa un volo di ottanta metri, con la frattura di entrambe le gambe. Sembra il dramma di Doug Scott sull’Ogre, ma dalla seraccata del Panch Chuli V non è possibile tornare a quattro zampe. Renshaw aspetta con l’amico per quattro giorni, poi un pilota di elicottero riesce a recuperare entrambi. Poi, quando le gambe di Stephen si sono rimesse a posto, una tragedia ancora più terribile si abbatte sulla sua vita.
La tragedia del figlio Oliver e la presidenza dell’Alpine Club britannico
Oliver, il primo figlio di Stephen e Rosie Venables, diventa autistico a due anni, a quattro viene colpito dalla leucemia, a dodici viene ucciso da un tumore. Suo padre rinuncia a molti impegni e a molte spedizioni per stargli accanto, lo segue fino all’ultimo, lo piange. Poi, nel 2006, lo ricorda con il suo libro più duro e per molti più bello, Ollie: the true story of a brief and courageous life (“Ollie, la vera storia di una vita breve e coraggiosa”).
Intanto, nel 2004, Stephen Venables è diventato presidente dell’Alpine Club britannico, il primo Club alpino del mondo, che tra i suoi soci annovera esclusivamente alpinisti. “Siamo solo 1200 soci, tutti felici di esserlo, da noi a occuparsi di scuole, materiali e raduni è il British Mountaineering Council”, mi racconta in un’intervista di quegli anni. “A noi dell’Alpine Club piace stare insieme, discutere, scambiarci le nostre esperienze in montagna. Ci piace tenere i nostri incontri a Zermatt, che per noi resta “il posto dove tutto è nato”. Rispetto ai club che sono nati dopo di noi negli Stati Uniti, in Canada, in Nuova Zelanda e in Australia noi amiamo considerarci The Alpine Club, non “un” ma “il” club. Quello autentico”.
Gli anni passano per tutti, ma Stephen non smette di arrampicare e viaggiare. Accompagna gruppi per tour-operator britannici specializzati in viaggi avventurosi, destinazioni preferite le Isole Ebridi, al largo della Scozia, e la South Georgia, con i suoi ghiacciai alle porte dell’Antartide. Lavora come motivational speaker per le aziende, tiene conferenze ufficiali per l’Alpine Club e la Royal Geographical Society.
Nel maggio di due anni fa a Londra, nelle celebrazioni per i 70 anni trascorsi dalla prima ascensione dell’Everest, tocca a Venables il compito di raccontare le grandi imprese compiute sulla cima più alta della Terra dopo la conquista del 1953 da parte di Edmund Hillary e Tenzing. Stephen parla della cresta Ovest superata dagli americani e del trionfo britannico sulla parete Sud-ovest con la spedizione di Chris Bonington, Dougal Haston. Racconta dell’invernale dei polacchi e delle imprese di Reinhold Messner. Nell’elenco, con eleganza molto British, inserisce la sua via del 1988, e il suo arrivo in vetta da solo. E la sala viene giù dagli applausi.