Storia dell'alpinismo

Sperone Walker alle Grandes Jorasses (3)

Sono a 3.700 metri di quota, 500 sotto la vetta. Stretti nei sacchi da bivacco, i tre lecchesi stanno per addormentarsi. Quando, nel buio, si sente il rombo dei tuoni: il temporale si annuncia in tutta la sua devastante potenza.

Ma non è tempo di preoccuparsi per quel che sarà. Ormai non manca così tanto alla vetta e se tutto andrà per il verso giusto questa sarà l’ultima notte in parete. E’ con questi pensieri che i tre finalmente si addormentano.

E alle cinque del mattino l’alba che li sveglia è quella di una bella giornata. Ampie chiazze di sereno infondono ottimismo anche se fa troppo caldo per una quota così alta. Molto probabilmente il tempo buono non durerà più di tanto. Una veloce colazione e via.

Dapprima una cengia, poi un canale e infine una parete di roccia nera strapiombante, fino a giungere uno spigolo a forma di schiena d’asino al di sopra di un grande torrione.

Alcune lunghezze di corda sullo spigolo portano ad uno strapiombo di roccia giallastra, la cui unica via percorribile sta a sinistra, in un canale spazzato dalle scariche di ghiaccio.

Ma è da li che si deve passare. Dentro quindi, una mossa che potrebbe rivelarsi fatale. Come se non bastasse dopo 60 metri inizia a nevicare. Finalmente Cassin, sempre a capo della cordata, riesce a deviare e si trova, su rocce malsicure, alla destra del grande strapiombo che li perserguita.

Il cielo si fa sempre più pesante, ma il nevischio smette. Gli appigli sono incrostati di ghiaccio e procedere non è affatto cosa semplice. Ma la vetta è vicina e tre giorni in parete non hanno ancora stancato i lecchesi, arditi più che mai a raggiungere la cima della Punta Walker.

Ad un tratto una folata di vento che spazza le nuvi. E sulla destra la Punta Croz, quasi alla loro altezza. La gioia riempie i cuori degli alpinisti. La meta è sempre più vicina, mancheranno 100 metri.

Ma è la quiete che precede la tempesta. Un altro temporale si scatena improvviso. raffiche di vento e la grandine che rimbalza sulle rocce e si inabissa formando una bianca cascata. Dura mezz’ora l’infermo. Poi si placa. Ma inizia di nuovo a nevicare. E sempre più forte.

Ormai non è più tempo di sostare. Come sul Badile, alla cieca, guidato solo dall’istinto Cassin entra nell’ennesimo colatoio in mezzo alla tormenta e finalmente, attorno alle 15 di sabato 6 agosto, mette piede sulla vetta della Walker.

Ma nemmeno qui c’è tempo di tirare il fiato e godersi l’impresa. La bufera è sempre più implacabile e nessuno dei tre è mai stato su questa montagna. Si sa soltanto che la via normale punta verso la Croz. Nulla più.

Cassin decide di provare a scendere da li ma, percorsi pochi metri, sotto ai suoi piedi si apre un crepaccio di almeno 5 metri di larghezza, coperto dalla nevicata. Per sua fortuna riesce a mantenersi in equilibrio sull’orlo ma di aggirarlo non se ne parla. Troppo pericoloso, non c’è visibilità e si rischierebbe di cadere a valle tutti quanti.

I tre tornano quindi sulla cima e si riparano dietro a delle rocce sul versante nord. La neve e le folate di vento no accennano a diminuire. Stretti l’un l’altro nei teli da bivacco e assicurati alle rocce da un cordino, i tenaci lecchesi dovranno aspettare fino alle 7 della domenica mattina quando, grazie ad uno squarcio nel cielo, riescono finalmente ad orientarsi e a raggiungere la Punta Croz. Ma anche qui non è facile trovare la via di discesa. La fortuna è l’incontro con una cordata di tedeschi che indirizza i tre lungo la via giusta.

Ed è così che finalmente, dopo 35 ore di scalata e 82 di permanenza in parete un’altra pagina dell’alpinismo eroico degli anni Trenta è finalmente scritta. Manco a dirsi il protagonista è ancora una volta lui, il piccolo fabbro di Lecco, Riccardo Cassin.

 
Massimiliano Meroni

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