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Everest, la tragica estate del ’96

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"A cavalcioni del tetto del mondo, con un piede in Cina e l’altro in Nepal, ripulii la maschera dell’ossigeno dal ghiaccio che si era condensato sopra e, sollevando una spalla per ripararmi dal vento, abbassai lo sguardo inebetito sull’immensa distesa del Tibet…

.. A un certo livello, con distacco, comprendevo che la curvatura dell’orizzonte terrestre che s’inarcava ai miei piedi era uno spettacolo eccezionale. Avevo fantasticato tanto, per mesi e mesi, su quel momento e sull’ondata di emozioni che lo avrebbe accompagnato. E ora che finalmente ero li, in piedi sulla cima del Monte Everest, semplicemente non riuscivo a radunare energie sufficienti per concentrarmi".

Inizia con queste parole "Aria sottile", il libro di Jon Krakauer, che narra di una delle più grande tragedie dei nostri tempi sul "tetto del mondo". L’estate del 1996 vede impegnate sulla mmontagna un numero record di cordate, che alla fine pagheranno caro il prezzo di un amore che spesso si trasforma in lucida follia, e alla fine si conteranno 16 morti.

Krakauer venne inviato dalla rivista americana "Outside", a partecipare alla spedizione all’Everest per scrivere un articolo sulla proliferazione delle scalate a pagamento condotte da guide professioniste.

Alla fine di estenuanti settimane di acclimatamento e di progressione attraverso i campi intermedi collocati lungo il percorso, il 10 maggio 1996 i componenti di due distinte spedizioni commerciali raggiunsero la vetta. Ma soltanto Krakauer e altri 4 clienti riuscirono a ridiscendere.

Nella tormenta che sorprese tutti quanti poco sotto la vetta perirono anche il neozelandese Rob Hall e l’americano Scott Fisher, guide professioniste che da alcuni anni si dedicavano al promettente mercato delle scalate a pagamento.  

Il libro di Krakauer racconta la verità dell’autore, e solleva il problema della sicurezza delle spedizioni composte da alpinisti danarosi ma inesperti. Al di là delle polemiche e dei sensi di colpa personali che l’hanno originato, il libro fornisce una dettagliata descrizione della sfibrante ascesa alla vetta dell’Everest. Delle sfide e dei rischi dell’alpinismo di alta quota, del preoccupante affollamento delle vie d’ascesa e delle situazioni estreme che possono verificarsi nella cosiddetta "zona della morte", al di sopra degli ottomila metri.

Tra le verità una domanda alla quale mai nessuno potrà rispondere. Come mai, quando le condizioni del tempo avevano cominciato a peggiorare, guide veterane dell’Himalaya avessero continuato a salire, spingendo verso l’alto una banda di dilettanti inesperti, ciascuno dei quali aveva pagato fino a 65mila dollari per arrivare in vetta? Perchè erano stati cacciati in una trappola mortale?

Perchè quando ormai era troppo tardi per salire, quando il tempo di "non ritorno" era già stato superato da un pezzo e Krakauer scendeva da solo al Colle Sud, cordate e cordate di guide e clienti ancora saliva verso la vetta, ostacolando i movimenti di tutti e creando uno degli ingorghi più alti del mondo?

Forse l’unica risposta sta in un’analisi attenta dei propri valori e della priorità delle cose. Ma forse nemmeno questa basta, quando un amore spropositato si tramuta in follia. E quando, a quote così elevate, la carenza di ossigeno non permette a nessuno di avere la lucidità necessaria per compiere scelte razionali. Si prega soltanto che tutto vada per il meglio. Nessun imprevisto. Proprio quello che non accadde nell’estate del 1996.

 
Massimiliano Meroni

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