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“Dalle Dolomiti all’Etna”, un riuscito progetto di cammino inclusivo

Rosario Fichera racconta la sua lunga avventura: 2.000 chilometri in 80 tappe, all’insegna della solidarietà

Tutta l’Italia. No, non è il titolo dell’ormai gettonatissima hit firmata Gabry Ponte, rea di averci perseguitati durante l’intera settimana sanremese. Unire a piedi tutta l’Italia era piuttosto l’obiettivo primario che, intrinsecamente e pubblicamente, il giornalista Rosario Fichera si era posto come meta per la sua ultima avventura in cammino. Un percorso di 2.000 chilometri e 80 tappe, partito a fine agosto da Fai della Paganella, in provincia di Trento, e approdato, nel mese di dicembre, sull’Etna.

«Si trattava di far incontrare virtualmente le mie due “case”», ci ha raccontato Rosario all’inizio di questa intervista. «La casa che ho scelto, il Trentino, e quella che mi sceglie ogni giorno come le radici di una pianta antica, ovvero la Sicilia».

Fichera, infatti, è nato a Giarre, in provincia di Catania, ma vive in Trentino da quando aveva 16 anni. Proprio qui si è dipanata la sua vita professionale: giornalista e addetto stampa per enti ed organizzazioni quali il Trento Film Festival e il Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, Rosario non ha mai smesso di “servire” le montagne, attraverso la scrittura ed il racconto.

E forse per te questo cammino è stato in definitiva anche un racconto.
«Sicuramente. Raccontare storie per professione mi ha messo in una posizione privilegiata: i momenti che ho raccolto, di cui sono stato testimone, fanno parte di una narrazione, scritta attraverso i sentieri, le strade e gli incontri».

Una narrazione dallo scopo ben preciso.
«Sì. Il progetto “Dalle Dolomiti all’Etna” è nato come viaggio inclusivo attraverso l’Italia, organizzato non a caso da Dolomiti Open – realtà che si occupa da moltissimi anni di inclusione nell’ambito degli sport di montagna – in collaborazione con Sportfund e TSM-Accademia della Montagna. Si trattava di compiere un viaggio a piedi lungo la penisola, facendomi accompagnare dalle persone con disabilità che volevano condividere insieme a me un pezzo di cammino. Ma poi ovviamente anche da tutti gli amici e i sostenitori del progetto: ho potuto camminare con Guide Alpine, Accompagnatori di media montagna, guide turistiche, guardiaparchi, appassionati di cammini e di cicloturismo, tutti animati come me dall’intento di condividere qualcosa. E, in tal senso, di unire anche simbolicamente, dal Trentino alla Sicilia, due siti naturali che sono Patrimonio Mondiale UNESCO quali le Dolomiti e l’Etna che si trovano all’estremo nord e all’estremo sud della nostra Penisola».

Le Dolomiti e l’Etna, per l’appunto. Ti aspettavi tutta questa partecipazione prima di partire?
«Sicuramente avevo percepito un po’ il fatto che l’idea potesse stare in piedi anche da sola. Mi spiego meglio: al di là della mia persona, di fatto l’unico camminatore che alla fine dei conti ha percorso tutti i 2.000 chilometri, ero e sono tuttora convinto che il cammino potesse esistere anche senza di me, con tutti i passaggi di testimone che ci sono stati fra le persone che mi hanno accompagnato. E di questo ero conscio già prima di partire: ecco perché dico che l’idea cresceva da sola, si sviluppava in autonomia, come un concatenamento ben riuscito. La mia speranza, quella di coinvolgere in questo progetto tante persone per richiamare l’attenzione verso i temi della sostenibilità e dell’inclusione, la sentivo ben fondata».

Sostenibilità ambientale ed inclusione sociale che sono un po’ due facce della stessa medaglia.
«Che non ci possa essere sostenibilità senza inclusione sembra ormai dato per assodato, ma toccare con mano esempi autentici di questa strutturale interdipendenza è sempre rivelatore. Durante il viaggio ho sperimentato una ricchezza, una biodiversità ambientale e culturale, che è davvero straordinaria ed inimitabile qui in Italia e che spesse volte dimentichiamo. La parola diversità insomma caratterizzava sia il paesaggio sia le relazioni che via via intessevo. Inoltre, gli incontri con chi voleva condividere un pezzetto di strada sono stati tutti all’insegna dell’empatia e del rispetto, ma – e qui forse vale la pena evidenziarlo – senza sovrastrutture di sorta. Spesse volte, nei confronti degli altri e del mondo, “svendiamo” la nostra spontaneità ed immediatezza per indossare orpelli non necessari».

Un esempio?
«La pietà compiaciuta nei confronti di chi è più sfortunato, o l’affettazione nel dimostrare una gentilezza artificiale che nasconde l’intento di volerla quasi ostentare. Ecco, una cosa che sia la natura sia le persone mi hanno insegnato durante il cammino è quella di liberarsi dalle abitudini di posa che spesse volte ci caratterizzano. Chi riesce davvero a farlo sta mettendo in atto una rivoluzione importante e forse imprescindibile, se davvero vogliamo migliorare il mondo e noi stessi. Ho camminato con persone che avevano la sindrome di Down e che mi hanno insegnato la schiettezza disinvolta e naturale, oltre ogni ipocrisia, proprio perché loro non hanno filtri. Ho camminato con persone senza il dono della vista, che mi hanno insegnato a vedere».

Sembrerebbe quasi un ossimoro.
«Invece non lo è. Ricordo nitidamente un episodio: mentre stavo dando le spalle ad una ragazza cieca, lei ha cominciato ad esclamare qualcosa del tipo “Rosario, è vero che sono cieca ma non è che non ci vedo”. Insomma, se n’era accorta e mi rimproverava dolcemente. Vedere gli altri, farlo sul serio, non essere mai indifferenti: ecco qualcosa che dobbiamo tutti imparare a fare, per vivere meglio».

Che tipo di restituzione pubblica pensavi di dare a quest’esperienza?
«Avendo molti minuti di girato, non è così impossibile farne un film. Sicuramente a breve organizzerò, qui a Trento, una serata per raccontarla e raccontarmi. Ma soprattutto per raccontare il cammino come luogo e modalità d’incontro. Quante volte, camminando e parlando, siamo riusciti a risolvere problemi e sbrogliare matasse che ci pesavano sul cuore come macigni? Credo che quando le persone non si capiscono più forse manca davvero questo aspetto: il cammino, l’incontro, l’abbraccio». 

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