Giotto, Leonardo, Tiziano: tre maestri che hanno innovato la rappresentazione della montagna
Fu grazie ai tre grandissimi pittori che la montagna iniziò ad essere protagonista anche sulla tela, ben prima degli artisti ottocenteschi

È un ingresso in scena timido, da scenario immaginario e idealizzato. La montagna inizia ad apparire nella pittura occidentale come sfondo di soggetti sacri nel Medioevo. Bisognerà aspettare l’Ottocento per vederla diventare la primadonna nei quadri di grandi artisti quali Friedrich, Hodler, Calame, Cézanne, van Gogh, Segantini, Sargent. I primi passi ci raccontano di una montagna simbolica, dipinta da pittori che non avevano in mente un luogo reale, né tanto meno si sognavano di uscire dalle loro botteghe per guardarsi intorno e trarre ispirazione da vette esistenti.
«Giotto, Leonardo e Tiziano hanno invece segnato tre tappe importanti sull’idea di dipingere la montagna», racconta Giuseppe Frangi, giornalista, ex direttore di Vita, laureato in Storia dell’Arte e grande appassionato di pittura e di montagna. Con il suo aiuto cerchiamo di capire quali innovazioni abbiano introdotto questi giganti della pittura italiana e mondiale nella rappresentazione della montagna.
Il primo in ordine cronologico è Giotto (1267-1337), pittore e architetto, l’innovatore che riscopre la realtà naturale lasciandosi alle spalle gli schematismi dell’arte bizantina. Nella sua produzione, le montagne rimangono uno sfondo nella narrazione religiosa ma qualcosa cambia. «Come racconta Cennino Cennini – cronista e pittore toscano nato nella seconda metà del XIV secolo – nel suo Libro dell’arte, Giotto portava delle rocce nel suo studio per dipingere le montagne. Gli interessavano la forma, la struttura», spiega Frangi. Per la prima volta, un artista importante si confronta con la natura reale per trarne ispirazione. Un’opera significativa è La fuga in Egitto presso la Cappella degli Scrovegni di Padova (1303-1305). «La montagna dipinta che si erge da sola dietro a Maria con il Bambino è per la prima volta protagonista». Non è comprimaria, ha un ruolo chiave nella scena che vede Giuseppe tenere la briglia dell’asino che trasporta la moglie e Gesù. «Forse per questa montagna straordinaria Giotto aveva in mente le Apuane», commenta Frangi. «In questo periodo, la montagna è il luogo in cui Dante ambienta il Purgatorio, che lui e Virgilio si trovano a scalare. L’opera di Giotto è però precedente».
Nella pittura del Quattrocento fiorentino si prosegue con una rappresentazione idealizzata della montagna, ritratta con forme dolci sullo sfondo. «Anche Leonardo (1452-1519), quando dipinge l’Annunciazione (1472) conservata agli Uffizi, la ambienta in un paesaggio bello e idealizzato, che non esiste ed è presente nella sua mente», dice Frangi. Poi, il genio di Vinci lascia la Toscana e approda nel 1482 a Milano, dove si fermerà per un ventennio. Per la prima volta, nelle giornate più terse Leonardo può ammirare Alpi e Prealpi dalla pianura. Ne resta affascinato e le vuole riprodurre, come attestanotre disegni presso la raccolta reale Windsor. «Leonardo è colpito dall’identità della montagna. Ne percepisce le forme, la bellezza, il fascino. E riesce a farlo perché è sufficientemente lontano. Questo sguardo sul paesaggio italiano è una svolta epocale», dice Frangi. Come ci è riuscito? C’è chi dice che sia salito sul tetto del Duomo, allora in costruzione, per poter disegnare le montagne con così tanta precisione. Al punto che riusciamo a riconoscere le vette, come se fosse una fotografia. Uno dei disegni di Leonardo è stato scambiato per il Monte Rosa. «In effetti l’artista viaggia al seguito di Ludovico il Moro in Val d’Ossola, da dove sembra sia arrivato fino ai piedi del Rosa. Nel Codice Atlantico, scrive “E vidi l’aria sopra di me tenebrosa e ‘l sole che percotea la montagna essere più luminoso quivi assai che nelle basse pianure, perché minor grossezza d’aria s’interpone infra la cima d’esso monte e’l sole”», racconta Frangi. «Questa attrazione verso la forma della montagna nei quadri si ritrova di meno».
Le montagne ci sono nella Vergine delle Rocce (1483-1486), conservata al museo del Louvre, in cui presenta una visione fantastica di un paesaggio roccioso con fiori e piante acquatiche. Una sua invenzione, basata su osservazioni della realtà. C’è chi dice che la grotta sia a Laorca, in Valsassina. «Non ci sono riscontri in proposito. Però è certo che Leonardo amasse girare, in particolare nella valle dell’Adda, ricca di paesaggi, canyon inclusi», spiega Frangi. «Un altro quadro interessante è Sant’Anna, la Vergine e il bambino (1510-1513), sempre al Louvre. Le montagne sullo sfondo sono stupende. Sembrano le Dolomiti, anche se Leonardo non le ha mai viste».
Chi invece le Dolomiti le conosceva bene era Tiziano Vecellio (1485 circa-1576), uomo di montagna nato a Pieve di Cadore, cresciuto circondato da vette incantevoli. «Tiziano è legato alla tradizione pittorica veneta, dove il paesaggio ha sempre avuto un protagonismo, una forza scenografica», commenta Frangi. «Quando va a Venezia, vive la stessa esperienza di Leonardo in cima al Duomo. Dall’alto di un campanile, vede le sue montagne in lontananza e prova un sentimento di nostalgia per i luoghi che ha lasciato. Lo troviamo per esempio nella Madonna col Bambino (1508-1510), opera conservata all’Accademia Carrara di Bergamo». Ci sono le montagne anche nello sfondo del capolavoro Presentazione di Maria al tempio (1534-!538) a Venezia, alle Gallerie dell’Accademia. «Sono le Marmarole del centro Cadore. Tiziano vi infonde dolcezza e nostalgia nella rappresentazione».
L’amore per il paesaggio della propria terra si ritrova anche nella Crocifissione con i santi Bernardino e Antonio da Padova (1575) di Giovan Battista Moroni (1520 circa-1578), originario di Albino in Val Seriana, nella cui chiesa parrocchiale si trova questa tela. «In questo paesaggio naturalistico successivo a un temporale, in cui è presente anche il vento che muove il perizoma, Moroni – che è il più grande ritrattista del Cinquecento – dipinge sullo sfondo il monte Cornagera vicino ad Albino. Si respira l’atmosfera della montagna, in una dimensione affettiva», commenta Frangi.
A qualcuno può sembrare strano che i pittori italiani, inclusi grandi talenti del calibro di Leonardo e Tiziano, ritraessero le montagne e i paesaggi a loro familiari come scenario di soggetti sacri ambientati in Palestina. Possibile che nessuno si sforzasse a dipingere la Terra Santa com’era davvero? In primo luogo, siamo in un’epoca in cui viaggiare era difficile e non c’erano fotografie o video a cui ispirarsi. Una seconda chiave di lettura ce la offre Giuseppe Frangi: «La storia rappresentata è avvenuta in Terra Santa, ma deve entrare nella vita di chi la vede, come se fosse accaduta qui. Il compito del pittore è renderla vicina al nostro sguardo». Giocando fra realtà e immaginazione, questi artisti ci riescono, con grande forza.