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Premana, il paese dei lunghi coltelli. E di forbici e piccozze

Nel borgo del Lecchese ai piedi del Monte Legnone la lavorazione del ferro è un arte antica. Che sopravvive grazie alla qualità di prodotti apprezzati in tutto il mondo, dalle case alle montagne

A Premana non si giunge per caso. Bisogna volerci andare in questo borgo di 2300 abitanti nel punto più alto della Valvarrone, venendo da Dervio sul lago di Como. In alternativa, si può raggiungere da Lecco percorrendo la Valsassina: Premana è l’ultimo paese lungo la strada, dopo Casargo. Il lungo viaggio è premiato dalla vista di un abitato a quota 1000, alle pendici dei monti Legnone (2610 m) e Pizzo Alto (2518 m), tra Valsassina e Valtellina.

Oltre alla bellezza del paesaggio, Premana ha una storia da raccontare legata alla metallurgia, che ha fatto di questo borgo isolato una fucina di imprenditori e di artigiani. Tutto ha inizio in epoca romana, quando fu installato il primo avamposto militare nell’area. I Romani non si erano lasciati sfuggire che qui, come in buona parte della Valsassina, esistevano vene metallifere di siderite, cioè di ferro. Milano, conquistata intorno al 222 a.C., non era così lontana. Con la nascita del Ducato soprattutto dalla seconda metà del Quattrocento in poi la zona diventa strategica come fornitrice di ferro per le armi. «I premanesi in genere non erano proprietari di miniera, né minatori», racconta Paola Pomoni dell’Associazione culturale Il Corno, che sta prendendo in gestione il Museo Etnografico del paese.

«Erano abili fabbri. Nel 1574, su 652 abitanti si contavano 4 spadari, 2 mastri fonditori e 40 fabbri. Con il tempo, inizia una migrazione verso la Serenissima, Milano, Torino e Carrara dove si estraeva il marmo. Una cappella votiva, detta cappelletta di Madrid, ci fa pensare che qualcuno sia arrivato persino in Spagna». È soprattutto a Venezia che i premanesi fanno fortuna. Come si racconta presso il museo, che dedica una sala al tema della lavorazione del ferro e della metallurgia, diventano specialisti anche nella produzione dei famosi pettini delle gondole.

A testimoniare il forte legame fra Premana e Venezia, nel 1678 il nobile veneziano Nicola Venier dona alla comunità premanese le reliquie di Sant’Ilario, che si trovano tuttora nella chiesa  parrocchiale di San Dionigi. «Inizialmente emigravano solo gli uomini, seguiti dai figli maschi all’età di 10-11 anni, mentre in paese restavano donne, bambini e anziani», puntualizza Pomoni. Con il passare del tempo, iniziano a partire anche alcune famiglie, che vanno a rinforzare le comunità di premanesi, sparse a Venezia e in altri luoghi, i cui discendenti mantengono ancora un rapporto con il loro paese d’origine, tant’è che alcuni hanno persino imparato il dialetto. «I fabbri tornavano in paese per trovare moglie. Poi hanno iniziato a esserci anche matrimoni misti».

La seconda metà dell’Ottocento segna la fine dell’emigrazione. Per la Valvarrone e la Valsassina, è un momento di passaggio: la siderurgia si sta gradualmente spostando altrove. Intorno al 1860, Ambrogio Sanelli, che aveva lavorato a Venezia e a Verona su un barcone galleggiante come affilatore di coltelli, rientra in paese e decide di fondare la prima fabbrica di Premana. «La sua iniziativa ha successo: nel 1881 all’Esposizione nazionale di Milano i suoi articoli taglio vincono una medaglia d’oro», aggiunge Pomoni. Un fiore all’occhiello per Premana. Dopo Sanelli, nel 1889 Nicola Codega avvia un laboratorio di fabbro ferraio, che negli anni Venti si impone fornendo piccozze agli alpini. Nasce così la C.A.M.P., che si svilupperà come azienda di prodotti per l’alpinismo nel secondo dopoguerra.

Un’altra realtà importante è Italicus, fondata nel 1921 dai fratelli Collini, attivi nel commercio di coltelli, lame e forbici a Milano, che diventa uno stabilimento con un’ottantina di dipendenti nel 1929. Intorno a questi tre nomi, è tutto un pullulare di altre aziende e laboratori, che crescono fino al boom degli anni Ottanta, che vede il paese della Valvarrone diventare una stella internazionale nella produzione di coltelli e forbici. «Nel 1981, su circa 2000 abitanti c’erano 876 addetti nella produzione di lame», dice ancora Pomoni. «Anche le donne lavoravano. Dagli anni Sessanta in poi c’erano tante officine familiari. Le costruzioni erano strutturate con l’abitazione al primo piano e il laboratorio al piano terra. Lo stampaggio del prodotto grezzo veniva fatto altrove, poi a Premana avvenivano l’affilatura e la rifinitura».

Le forbici hanno fatto la fortuna di Premana, che le produceva per conto dei tedeschi e li marchiava con il prestigioso marchio “Solingen”. «Allora eravamo i cinesi di questi produttori tedeschi», commenta Paola Pomoni. «Le forbici hanno portato soldi e benessere. Ma quando è iniziata la concorrenza straniera, è cambiato tutto». I premanesi si sono visti sfilare il loro business da aziende che praticavano prezzi più bassi e copiavano la tecnologia. Chi puntava solo sulla quantità a prezzi stracciati non ce l’ha fatta. «Sul mercato è rimasto chi era in grado di offrire un lavoro di altissima qualità. È sopravvissuta indenne anche la coltelleria, dove c’era meno concorrenza. Alcune aziende premanesi hanno continuato a offrire coltelli di pregio, per esempio per macellai e per chef», commenta Pomoni. Insomma, Premana – come altri distretti italiani – ha dovuto fare i conti con la globalizzazione. Ma come ha sempre fatto, anche stavolta ha trovato la sua strada.

Il Museo Etnografico racconta la storia di questa gente di montagna, animata da tenacia e grande inventiva. Esposti al museo troviamo forbici e strumenti creati a Premana per gli usi più svariati: per tagliare il filo spinato, per i ferrovieri, per i chirurghi in sala operatoria. «C’è anche un oggetto curioso: una cassetta di legno a più piani che conteneva i campioni delle merci in vendita: era il catalogo dei commessi viaggiatori», sottolinea Pomoni. Si può vedere anche la ricostruzione di un ambiente di lavoro del fabbro e una fucina.

Tracce del cosmopolitismo di Premana, legato all’emigrazione, si leggono anche nella sala del costume e del lavoro femminile, dove è esposto il Morél, il tipico vestito da sposa premanese, che sembra avere origini balcaniche e in questo borgo della Valvarrone ci è giunto tramite Venezia. Da lì proviene anche la tradizione della collana di corallo indossata dalla sposa, una tradizione curiosa per un paese di montagna. «Il Morél era usato anche dalle invitate al matrimonio, quindi le donne lo conservavano dopo le nozze, per indossarlo come invitate. Ancora oggi, accade che venga richiesto di metterlo».

Dall’Ottocento in poi, il tradizionale abito in lana e canapa viene sostituito dal Cotóón, un vestito più leggero, usato fino a una quindicina d’anni fa in paese. «Viene ancora indossato in occasione della processione del Corpus Domini», spiega Pomoni. Un’ulteriore sala del museo è dedicata all’agricoltura di montagna. «I nostri alpeggi sono ancora monticati d’estate da mucche provenienti dalla Brianza. Qualche giovane, come hobby, ha ripreso ad allevare pecore e capre». Ci sono storie interessanti anche in questo ambito: gli alpeggi raggiungibili solo a piedi erano comunitari e retti da una compagnia. Esisteva una cascina in cui si portava il latte e veniva fatto il formaggio che era poi diviso in base alla quota di latte conferita. E c’era anche una cascina sull’alpeggio destinata alle ragazze, che dormivano insieme, a difesa della loro moralità.

Dopo forbici e coltelli, la Premana del XXI secolo si sta lentamente aprendo anche al turismo. Gli alpeggi tuttora isolati, senza strade d’accesso in auto, sono diventati un’attrazione per i visitatori soprattutto stranieri, che d’estate affittano le baite per stare qualche settimana a contatto con la natura. L’isolamento fisico, che complica la vita agli imprenditori locali che devono far viaggiare i loro prodotti, ha però preservato la comunità, che è tuttora molto coesa e legata alle tradizioni.

Un’occasione per visitare il Museo Etnografico è l’apertura straordinaria di domani  domenica 15 dicembre, in occasione dei mercatini natalizi. Ci saranno eventi anche durante il periodo delle feste e altre opportunità di visita. Poi, il museo riaprirà a Pasqua del prossimo anno, anche se è sempre possibile una visita su prenotazione, per i gruppi (scrivere a museo.premana@gmail.com oppure seguire la pagina Facebook Museo Etnografico di Premana).

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