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La Grande Strada delle Dolomiti, ideata da visionari che privilegiavano la bellezza al commercio

Inaugurata nel 1909 andava (e ancora va) da Bolzano a Cortina d’Ampezzo superando i passi Costalunga, Pordoi e Falzarego. Fece conoscere al mondo valli e paesaggi fino a quel momento riservati a pochi

Se la strada di Alemagna, di cui abbiamo scritto, ha una storia che si perde nel Medioevo, un’altra strada che la interseca a Cortina giungendo dal Passo Falzarego venne completata nel 1909, in odore di “Futurismo”. È  la Grande Strada delle Dolomiti, da Bolzano alla conca ampezzana. La ricerca di dinamismo, di contrasti e di vibrazioni luminose prospettata dal Futurismo qui forse è del tutto casuale, ma la genesi di questa “Grande Strada” è dirompente anch’essa per l’idea che ne è alla base.

Oggi la strada statale 48, che inanella i passi dolomitici, è talmente trafficata, sia d’estate che d’inverno, che con frequenza più o meno costante vengono avanzate delle proposte per limitare o escludere il traffico motorizzato. Proposte che finora sono sempre rimaste tali senza un seguito concreto. Ma proviamo a calarci nel periodo della sua costruzione, dal 1900 al 1909. 

Per tutto l’Ottocento l’area dolomitica “interna” era ancora un’isola quasi priva di traffico e quindi di visitatori salvo i pionieri dell’alpinismo mitteleuropeo e britannico, qualche avventuroso nobiluomo o nobildonna in cerca di romantiche emozioni e qualche naturalista illuminato. Le strade più trafficate da carri, carrozze e cavalli erano quella che scendeva dal Brennero, solo lambendo le Dolomiti e appunto la strada di Alemagna, che ne costituiva la porta a Sud, fino a collegarsi con quella della Val Pusteria, la direttrice che definiva il limite delle Dolomiti a Nord. Imperatori, principi, diplomatici, mercanti e pellegrini passavano su quelle vie. Poi c’erano strade minori per raggiungere i singoli paesi solitari e isolati dove si conduceva una vita ritirata e patriarcale, abitati da contadini e pastori. Ma non ancora strade che trovavano possibilità di sbocchi in altre valli. 

Alla base della costruzione di una grande strada attraverso i passi dolomitici c’era un’idea nuova. Non c’era il concetto di collegare il punto “A” con il punto “B”, concetto comune a tutte le altre grandi arterie di allora. Non c’era tantomeno un bisogno di costruire una via commerciale per il trasporto e lo scambio delle merci in luoghi tanto impervi. C’era invece un motivo che distingue la Grande Strada delle Dolomiti da tutte le altre: era una strada concepita al servizio della bellezza del paesaggio e che questa bellezza aiutava a scoprire. Un’idea dirompente che non fu affatto facile da far accettare all’opinione pubblica e agli amministratori tirolesi (siamo ancora nell’Impero austro- ungarico), dai visionari che la proposero. La progettazione di un’opera così costosa, per soli fini estetici e turistici, pareva cosa inaudita.

Ma spinti da un idealismo non comune e da una ferma convinzione nella bontà della loro idea, il bolzanino Albert Wachtler e il Dr. Theodor Christomannos (1854-1911), meranese di adozione, riuscirono a persuadere gli alti uffici ministeriali di Innsbruck dell’utilità dell’opera. La loro era una visione idealistica ma per convincere il governo austriaco puntarono sull’importanza strategica militare della strada che correva lungo i confini con l’Italia. Wachtler era presidente della sezione di Bolzano del Club alpino austro-tedesco (DÖAV) e notevole alpinista (tra l’altro con la guida Santo Siorpaes di Cortina realizzò  la prima ascensione della Croda Rossa d’Ampezzo nel 1870). Christomannos, appartenente a una famiglia facoltosa di origine greca, nato a Vienna, era pure lui valente alpinista e presidente della sezione meranese del DÖAV oltre che un pioniere del turismo. 

La strada

Nel 1895 era terminata la costruzione della strada che attraverso il Passo di Costalunga (1745 m) metteva in collegamento Bolzano a Vigo di Fassa, che ebbe anch’essa come promotori Wachtler e Christomannos. Ma non era ancora ultimata l’opera che i due rilanciarono: prolunghiamo la strada attraverso i passi del Pordoi e del Falzarego fino a Cortina d’Ampezzo, ebbero il coraggio di azzardare. Un conto però era il Costalunga, altra cosa erano il Pordoi (2239 m) e il Falzarego (2105 m), con ben altre difficoltà, dislivelli, e costi da affrontare. Fatto sta che l’idea andò in porto, vennero impiegati 2500 operai e la strada venne inaugurata l’11 settembre 1909. 

Il merito di quella mirabile realizzazione, considerato un capolavoro di ingegneria che ancor oggi desta ammirazione in chi la percorre lungo un tracciato rimasto pressoché lo stesso, anche se allargato, asfaltato, più protetto e sottoposto all’intenso traffico di cui dicevamo, va attribuito a tre ingegneri trentini. Sono: Vittorio de Dal Lago (1861-1934) per il tratto Moena- Canazei- Passo Pordoi- Arabba, Alfredo de Riccabona (1855-1927), per il tratto tra Arabba e Pieve di Livinallongo, e Gualtiero Adami (1878-1971) che realizzò l’ultimo tratto tra Andraz, Passo Falzarego e Cortina d’Ampezzo. In dieci anni, dal 1900 al 1909 la Grande Strada delle Dolomiti, lunga 110 chilometri e larga 5 metri, divenne una realtà. 

Il cambio di percorso da Pocol a Cortina 

Se a de Dal Lago dobbiamo il lungo serpente di 63 tornanti che si snoda sulle rampe del Passo Pordoi, fu Adani a realizzare l’ardito settore sul versante agordino del Passo Falzarego con la svolta in galleria subito sotto il passo. Ma non solo. Si batté anche perché negli 8 chilometri finali da sopra Pocol fino a Cortina, si aggirasse il monte Crepa (dove un tempo saliva la funivia) invece di seguire il progetto originario che prevedeva il passaggio della strada sul più acquitrinoso e instabile versante sotto la Tofana. Ed è a lui quindi che fortunatamente dobbiamo, scendendo da Pocol usciti dalla celebre breve galleria, l’inaspettata sorpresa che spalanca davanti agli occhi la conca d’Ampezzo, con il suo superbo panorama dal Pomagagnon, al Cristallo, al Sorapiss , all’Antelao.

Racconta lo stesso Adani nei suoi cenni sulla costruzione della strada, in un libro uscito per il cinquantenario (La grande strada delle Dolomiti, Arti grafiche Manfrini, 1959, Bolzano) che “L’Ing. Otto Seyller, direttore dei lavori, uomo di rara scienza ma non provvisto di senso pratico, e che per questo fu presto esonerato dall’incarico, accertata la mia disobbedienza ai suoi ordini, decise, in onta delle mie ripetute giustificazioni, di mettermi a disposizione della Centrale. Ne seguì l’ispezione da parte di due consiglieri tecnici superiori di Innsbruck, i quali, ritenuto il mio tracciato come l’unico possibile, trasferirono l’Ing. Seyller a Brunico… Allora per fortuna, la ragione nel campo della tecnica, si dava a chi effettivamente l’aveva.”

Fu subito un successo

Indubbiamente i due visionari avevano visto bene. La Grande Strada delle Dolomiti portò in breve a risultati concreti consentendo lo sviluppo turistico delle Dolomiti anche nelle valli più interne. “Theodor Christomannos – geniale pioniere del turismo dolomitico” contribuì in maniera determinante “a far uscire le genti delle valli tirolesi dal loro secolare isolamento”, come scrive Silvano Faggioni nel volume a lui dedicato. E ancora a lui si deve la fondazione dell’Unione dei grandi alberghi delle Alpi e la costruzione di suoi grandi alberghi dei quali il più lussuoso, che rimase per tutta la vita il suo grande orgoglio fu il Grand Hotel Carezza, che ospitò Sissi, l’Imperatrice d’Austria e il suo consorte, oltre a una serie infinita di ospiti di sangue blu.

Dopo una vita molto intensa, in cui oltretutto ebbe la fama di sciupafemmine (Arthur Schnitzel scrisse che Christomannos “in ogni paese del Tirolo aveva lasciato almeno un figlio“) ebbe la soddisfazione di vedere completata la “sua” strada visto che poco più di un anno dopo morì a Vienna per un’infiammazione polmonare a soli 56 anni. 

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