Alpinismo

Marmolada 1964, Armando Aste e Franco Solina aprono la Via dell’Ideale

60 anni fa - dal 24 al 29 agosto - i due formidabili arrampicatori fecero la storia sulle “placche d’argento” della Marmolada. La loro via divenne un riferimento dell’alpinismo moderno

La sera del 25 agosto 1964, due uomini si raccolgono in preghiera nel cuore di una grande parete rocciosa. Dopo aver sistemato il bivacco, e preparato una minestra con l’acqua delle borracce, mangiano carne in scatola, formaggini e cioccolata. Prima di chiudere gli occhi recitano con devozione il Rosario.

Armando Aste, operaio di Rovereto, è uno dei migliori alpinisti italiani. Ha tracciato molte vie nuove sulle Dolomiti, ha salito la Torre meridionale del Paine, nella Patagonia cilena, ha partecipato alla prima italiana della parete Nord dell’Eiger. Tra le sue solitarie spiccano la via Buhl alla Roda di Vael, la Jean Couzy alla Cima Ovest, la Graffer e la Preuss al Campanile Basso di Brenta.

Aste è un uomo di fede. Cattolico praticante, si raccoglie in preghiera nei momenti importanti, incluse le sere in parete. Aprirà il suo libro “Pilastri del cielo” (del 1975) con il racconto della prima volta in cui ha servito la Messa. Nel libro pone a monsignor Longo, che ha celebrato una Messa sul Campanile Basso, la questione che è al centro della sua vita. È lecito rischiare la vita in montagna? L’alpinismo, pericoloso e gratuito, non è una bestemmia per chi crede che la vita sia un dono di Dio?

Sono sempre stato innamorato della bellezza, penso che ogni uomo ne abbia bisogno. Se fossi stato un miscredente o un ateo avrei potuto fare di più. So di non dover andare contro il quinto comandamento: non ammazzare, neanche sé stessi”, racconterà l’alpinista nel 1995.

L’amico prete lo invita a non smettere, ma Aste si allena poco, non frequenta le falesie, sulle “sue” Dolomiti compie poche ascensioni ogni anno. Negli anni Sessanta, quando tutto il mondo dell’arrampicata parla poco, il suo alpinismo è particolarmente taciturno. Oggi, al tempo della montagna mediatizzata, Aste sembrerebbe un marziano.

Armando scopre la Marmolada nel 1954, quando tenta la via Vinatzer e viene respinto da un temporale. Poi si concentra sulla parte destra della parete, che culmina nel Piz Serauta. Nel 1958 traccia con il fassano Toni Gross una via che dedica a Ezio Polo. Un anno dopo, con Franco Solina, apre un itinerario ancora più duro. I due restano in parete sei giorni, martoriati dal maltempo, escono in vetta a Ferragosto, dedicano la via alla Madonna Assunta.

Poi Armando Aste osserva le placche e le fessure della Marmolada d’Ombretta. A indicargli il percorso è la striscia d’acqua che si forma dopo la pioggia e al disgelo, sulla verticale del punto in cui sorge la Capanna Dallago. Le vie aperte fino ad allora, sulla roccia compatta della Marmolada, utilizzano dei sistemi di fessure. Aste è il primo ad affrontare le placche.

Sei giorni in parete

Al Festival di Trento del 1964 propone di tentare la via al francese Pierre Mazeaud. La risposta è negativa, e la scelta cade sull’amico Solina. Armando e Franco attaccano il 24 agosto. Pensano a una lunga permanenza in parete, non vogliono essere riforniti con un cordino dal basso. Il risultato è un cumulo di materiale gigantesco (tre corde e un cordino, decine di chiodi, materiale da bivacco e cibo, in tutto due zaini e un saccone da tirare) che li fa salire lentamente.

Alla fine del secondo tiro l’uscita di un chiodo fa volare Armando. Dopo cinque lunghezze una nicchia consente uno scomodo bivacco. L’indomani Aste raggiunge la cima di un pilastro, e prosegue su placche compatte. Il secondo bivacco è più comodo del primo. Il terzo giorno si sale verso un grande buco, si traversa a sinistra, poi una fessura con acqua permette di riempire le borracce.

Il tiro di corda che segue porta i due ai piedi di una placca levigata, che Aste supera con alcuni chiodi a pressione e che offre difficoltà di settimo grado inferiore. Armando preferirebbe non forare la roccia, ma gli scarponi rigidi non gli consentono di tentare. “Sarei tentato di buttarmi in libera, ma dalla difficoltà e dalla fatica nel piazzare un chiodo mi accorgo che sarebbe una grave imprudenza” scriverà.

Nei ragionamenti di Aste appare sempre la fede. “Dov’è il punto di equilibrio? Dove finisce il misurato coraggio, il superamento responsabile? Dove si sconfina nella follia, nell’incoscienza, nel dispregio del sommo bene?”, scriverà in Pilastri del cielo.

Un’altra traversata, con un pendolo, porta a un bivacco comodo. Il quarto giorno inizia con altre placche di estrema difficoltà, poi un tratto obliquo conduce a una terrazza. I due alpinisti sono in crisi, ma una colata d’acqua li aiuta. Aste la raggiunge con una traversata acrobatica, beve e riempie le borracce, poi lascia il posto all’amico.

Il passaggio che segue, una placca che richiede sette chiodi a pressione, è tra i più difficili della via. Poi arriva una lastra che vibra a ogni colpo di martello, e Aste urla a Solina di lasciare i chiodi sul posto. Più in alto i due scoprono una grotta, dove passano la notte sdraiati, preparando sul fornello brodo, tè e cognac, tè e latte condensato, limonata. Un altro Rosario precede una notte di sonno. L’indomani, nella grotta, resta la bottiglietta del cognac ormai vuota, con un biglietto. “Nel nome del Signore, 28 agosto ‘64, questa è la Via dell’Ideale, auguri ai ripetitori”.

Ma non è ancora finita. Per uscire dalla grotta servono altri chiodi a pressione, poi una parte del materiale viene stipata nel saccone che viene lanciato verso le ghiaie. Seguono una salita diretta e una traversata a sinistra. Ora tocca attraversare la cascata, ma per farlo occorre attendere l’alba, quando il gelo blocca il diluvio.

Seguono passaggi sporchi di terriccio e ghiaino, e altri ingombri dai rifiuti gettati dalla Capanna Dallago. Quando l’uscita sembra a portata di mano, però, il canale si chiude in un camino intasato di ghiaccio. L’unica è spostarsi a destra, salire in artificiale una fessura e poi il tetto di tre metri che la chiude.

Seguono la felicità sulla cima, e l’abbraccio con gli amici Claudio Barbier e Marco Dal Bianco e con il “vècio” Nino Andreoletti che nel 1908 ha compiuto la prima salita italiana della Sud.

 

Il suggello di Reinhold Messner e il gasolio versato sulla linea di salita dalla stazione della funivia

 

Poi viene il momento dei bilanci. Aste sa che in futuro la via sarà percorsa velocemente e svalutata, e che qualcuno lo criticherà per i chiodi a pressione. Secondo Maurizio Gentilini, autore nel 2021 della biografia “Ho scalato un Ideale”, la via di Aste e Solina è “un nuovo punto di riferimento, un simbolo, un capolavoro per l’impegno globale che richiedeva, proiettando l’arrampicata in Marmolada in una dimensione nuova”.

Oltre al libro di Gentilini merita attenzione il breve film “La parete d’argento” di Camillo Gaifas, girato nel 1964 e che si può vedere su YouTube. Un racconto più organico dell’alpinismo di Aste è nel film “Il cercatore d’infinito” di Andrea Azzetti e Federico Massa, presentato al Festival di Trento del 2020.

Dopo l’apertura della via nel 1964, però, non tutto va come l’alpinista di Rovereto ha previsto. È Reinhold Messner, autore della prima ripetizione, a sottolineare la sua straordinaria bellezza. Oggi, come Aste ha previsto, la Via dell’Ideale viene salita in libera. A volte però la pioggia gonfia la cascata, rende impossibile uscire, e costringe qualche cordata a chiamare i soccorsi.

Nessuno può prevedere il degrado che la Via dell’Ideale subisce dal 1970, quando la Capanna Dallago viene sostituita dalla stazione intermedia della funivia di Malga Ciapela. Accanto ai cocci e ai barattoli trovati da Aste e Solina ne arrivano molti altri. Al posto dell’acqua, sulle placche si allunga una colata di gasolio.

Nel 1987, finalmente, guide alpine, volontari e istruttori della Guardia di Finanza riescono a pulire la parete da quello schifo. Militanti di Mountain Wilderness, con Messner, fotografano putrelle e immondizia in un canalone che scende dal Serauta. Non serve la fede di Armando Aste per dire che inquinare così la montagna è una bestemmia.

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