“Grazie Umanità!” Federico Secchi racconta la sua salita al K2 e la drammatica discesa con il compagno ferito
Una bellissima salita per Secchi, che non ha utilizzato ossigeno supplementare. Il dispiacere per la rinuncia del compagno Marco Majori e un’indimenticabile gara di solidarietà
Partiti il 16 giugno per il Pakistan con l’obiettivo di raggiungere la vetta della seconda montagna più alta della Terra a 70 anni dalla conquista ed effettuarne la seconda discesa con gli sci (impresa riuscita solamente al polacco Andrzej Bargiel nel 2018), i valtellinesi Federico Secchi e Marco Majori rientreranno in Italia domani, giovedì 8 agosto. Per entrambi una esperienza da aggiungere al già ricco bagaglio e, per Secchi, la vetta del K2. Ma quel sogno, la discesa con gli sci per la via Cesen rimane, al momento, tale. Gli dei non hanno ancora deciso se, in futuro, ci riproveranno. Forse sì o forse no, quel che è certo, ci ha raccontato telefonicamente Secchi da Skardu, è che si tratta di una spedizione costosa e pertanto un nuovo tentativo non è scontato.
Li avevamo lasciati nel tentativo di salire il Broad Peak, a malincuore interrotto a quota 6800 a causa del maltempo, e pronti per l’attacco al K2. “Il Broad Peak sarebbe stato certamente per entrambi una bella soddisfazione, ma non essendo l’obiettivo della spedizione ci accontentiamo della discesa con gli sci fino alla base a quota 4850 m, che ci impegna e ci gratifica molto”, pubblicheranno i due alpinisti su Instagram il 24 luglio.
Il gigante, il più impegnativo degli Ottomila, si erge sopra le loro teste. Imponente, maestoso, attende di essere salito e sciato. Nelle settimane trascorse al Broad Peak, i due hanno imparato il valore dell’attesa. Stanno bene e sono acclimatati, nonostante le bizze del meteo, e complice una piccola finestra di stabilità riescono a portare tutti i materiali fino a Campo 3, sulla normale al K2.
Non devono aspettare moltissimo ed ecco che si presenta la finestra. È l’occasione che stavano aspettando e per la quale si sono allenati. Il 29 luglio escono dalle loro tende a C4 (quota 7900 metri) alle 2 di notte circa. Il buio è profondo, tagliato dalla luce delle frontali, il freddo è pungente. Nelle orecchie il battito del cuore, il respiro affannoso. Entrambi sono senza ossigeno supplementare e si portano in spalla anche il peso degli sci con i quali dovranno poi effettuare la discesa. “Così è ancora più difficile, più reale”, scriveranno in seguito sui social.
Salgono costanti. Secchi davanti, Majori alle sue spalle. Marco è un poco più lento, ma rimangono sempre “a vista”. Al “Collo di bottiglia” Marco decide di scaricare gli sci, per alleggerirsi, e di continuare senza. Forse nella speranza di aumentare il ritmo e raggiungere Secchi. Dopo non molto però si accorge che è troppo tardi e, sebbene stia fisicamente bene, decide di fare dietro front e di tornare a C4. Saluta l’amico Federico con la mano. I due si intendono al volo, come sempre d’altro canto. Secchi decide di continuare e di raggiungere la vetta per entrambi, dove arriva alle 17 circa.
“Siamo partiti da casa con un sogno condiviso tra me e Marco, due amici di sempre. Arrivare in cima insieme sarebbe stato il massimo che potessi immaginare, ma su queste montagne non siamo noi a comandare. Quando Marco ha deciso di scendere mi sono voltato, ho alzato il braccio e l’ho salutato. Ho stretto i denti e mi sono ripromesso che avrei provato ad andare in cima un po’ per tutti e due, per concludere quello che avevamo iniziato insieme. Essere arrivato lassù in cima da solo, vedere da una parte il Pakistan e dall’altra la Cina, non sentire nessun altro rumore se non quello del mio fiato e il sibilo del vento… ammetto che una lacrima mi è scappata. Sono questi i momenti che valgono una vita”, scriverà Secchi al rientro.
Una ventina di minuti per fare il cambio di assetto e Secchi è in discesa, sci ai piedi come da programma. “Avrò sciato sì e no 300 metri, poi la neve complicata e crostosa, mista al buio che sopraggiungeva veloce, mi hanno convinto che fosse inutile rischiare”. Abbandonata quindi l’idea della discesa, tolti gli sci per ri-discendere in sicurezza il Collo di bottiglia, Secchi raggiunge Marco a C4. L’indomani sono pronti per continuare la discesa, ma il maltempo ci mette lo zampino e sono avvolti dalla nebbia. Calzano comunque gli sci perché sanno che devono abbassarsi di quota. Federico riesce a trovare la direzione nel momento più propizio e raggiunge il C3 dove inizia a sistemare la tenda in attesa di veder comparire Marco. Che, però tarda ad arrivare. In realtà la nebbia ha fatto perdere l’orientamento a Majori, che cade in un crepaccio di circa 10 metri lussandosi la spalla destra. Segue un’ora di vera lotta durante la quale Marco riesce a “cavarsi fuori” dal buco in cui è caduto e raggiungere Secchi a Campo 3. È sfinito e senza forze. Federico capisce che la situazione è di una certa gravità, prende la radio e allerta chi più di utile potesse esserci in quel momento. A Campo 2 ci sono i forti alpinisti francesi Benjamin Vedrines e Seb Montez, che senza farselo dire due volte salgono fino a Campo 3 con viveri, tenda, medicine e una bombola d’ossigeno che Marco userà durante la notte così da poter riuscire a scendere il giorno successivo.
Il giorno seguente partono all’alba, nella bufera per il campo base. Da Campo 2 si forma, senza che venga richiesto, un team internazionale di soccorso senza uguali, tutti si sentono in dovere di fare qualcosa. “Marco viene seguito passo dopo passo da Federico, Ben, Seb, Silvia, Anna, Federica, Blatch, Liv, Seb, Matteo, Tommaso e molti altri, sino al campo base dove finalmente può considerarsi davvero fuori pericolo. Una cosa grandiosa, questo è il vero risultato, solo questo vale ampiamente la spedizione. Grazie umanità!”, conclude Secchi.