Al via la verifica della stabilità di rifugi e bivacchi d’alta quota. Un progetto del CAI e del CNR
La riduzione del permafrost e dei ghiacciai può causare dei crolli. Il progetto RESALP, presentato dal Club Alpino e dall’IRPI (Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica) del CNR, prevede il monitoraggio di 40 bivacchi e 18 rifugi a quote comprese tra i 2800 e i 4167 metri
Il cambiamento climatico, sulle Alpi, ha spesso conseguenze sulla stabilità dei rifugi. Nell’estate del 2023, la riduzione del permafrost ha causato il crollo del bivacco Francesco Meneghello, 3304 metri, nel massiccio dell’Ortles-Cevedale.
Un anno prima, un fenomeno analogo aveva spazzato via il bivacco Corrado Alberico-Luigi Borgna, 3674 metri, nel massiccio del Monte Bianco, per decenni punto di partenza per gli alpinisti diretti verso la parete della Brenva e le sue grandi vie di ghiaccio e misto.
L’elenco degli eventi di questo tipo avvenuti negli ultimi anni è lungo. Ventuno anni fa, nel 2003, il crollo di un’enorme quinta di roccia sul Cervino aveva messo a rischio la Capanna Carrel, 3800 metri, dove passa la notte chi sale la via normale italiana, e trasformato in una parete aperta il vicino diedro della “Cheminée”. Più a est, qualche anno dopo, lo sprofondamento del suolo ha creato problemi al rifugio Gianni Casati, 3269 metri, sul Cevedale.
All’inizio del 2023, un intervento di Antonio Montani, presidente generale del CAI in un convegno a Novara, ha fatto preoccupare per la Capanna, 4554 metri, il rifugio più alto (e uno dei più simbolici) delle nostre montagne. La stabilità di un altro punto d’appoggio famoso, il rifugio Caduti dell’Adamello alla Lobbia Alta, 3040 metri, visitato da Papa Giovanni Paolo II e dal presidente Pertini, era già stata messa in dubbio dalla riduzione del sottostante ghiacciaio.
Se i due bivacchi che abbiamo citato all’inizio sono perduti (e un terzo, il Sebastiano e Renzo Sberna, 3414 metri, nel massiccio del Gran Paradiso è stato smontato e trasferito nel Museo del Forte di Bard per evitare un altro crollo), per i rifugi di cui abbiamo parlato gli interventi sono iniziati da tempo.
Il pendio che regge il rifugio Caduti dell’Adamello è stato consolidato, il Casati verrà rifatto dalle basi, i lavori per il nuovo Carrel sul Cervino sono in corso. Intorno alla Capanna Margherita, dall’anno scorso, squadre di ricercatori e di tecnici hanno verificato la tenuta delle rocce del Monte Rosa Margherita.
Se vietare l’accesso ai bivacchi è facile (lo avevano fatto tempestivamente il CAI di Firenze per lo Sberna e quello di Valfurva per il Meneghello), la chiusura di un rifugio famoso provoca un serio danno per il territorio. L’eventuale crollo di un punto d’appoggio affollato, d’altronde, potrebbe avere delle conseguenze gravissime. Per questo motivo il Club Alpino Italiano e l’IRPI-CNR, l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, hanno deciso di varare un monitoraggio a tappeto.
Nel corso del progetto RESALP, Resilienza delle Strutture Alpine, nei prossimi due anni saranno indagate in modo sistematico le condizioni di stabilità geo-idrologica dei terreni su cui sorgono 58 punti di appoggio del CAI (18 rifugi e 40 bivacchi) che sorgono oltre i 2800 metri di quota. Come per altre iniziative recenti del Club Alpino, saranno utilizzati fondi del Ministero del Turismo.
L’elenco delle strutture indagate comprende alcuni dei bivacchi più remoti del Monte Bianco (Lampugnani-Grassi, Canzio, Craveri), del Gran Paradiso (Balzola), delle Alpi Pennine (Giordano, Tête des Roèses, Città di Gallarate) e delle Alpi Centrali (Seveso), ma anche storici rifugi non gestiti come il Quintino Sella ai piedi della via dei Rochers del Monte Bianco e la Capanna Resegotti da cui si attacca la cresta Signal del Monte Rosa.
Accanto a strutture visitate ogni anno da poche decine di alpinisti, si indagherà sulla stabilità dei suoli che reggono rifugi celeberrimi e che registrano migliaia di pernottamenti ogni stagione come le capanne Gnifetti ed Eugenio Sella del Rosa, la Marco e Rosa del Bernina, il rifugio del Teodulo tra Monte Rosa e Cervino, il rifugio Boccalatte-Piolti del Monte Bianco e il rifugio Torino, a due passi da Punta Helbronner e dall’arrivo della Skyway.
A causa della quota più elevata e della maggiore glaciazione, il progetto RESALP si occuperà soprattutto dei grandi massicci delle Alpi occidentali e centrali. Sulle Dolomiti, ricercatori e guide alpine raggiungeranno i bivacchi situati su vette alte e remote come il Giuliani del Sassolungo, il Castiglioni del Crozzon di Brenta e il Fiamme Gialle del Cimon della Pala. Sul Monte Vioz, in Trentino, si interverrà intorno al rifugio Mantova, di cui ci siamo occupati da poco.
Nei rilevamenti sul suolo e sul permafrost, insieme a glaciologi e geologi, interverranno anche le guide alpine. A rendere necessaria la loro presenza sono la lunghezza e le difficoltà dell’accesso di gran parte delle strutture coinvolte, e le situazioni scomode ed esposte dove dovranno lavorare i ricercatori.
Inoltre, verrà utilizzato un nuovo modello di analisi messo a punto dal CNR-IRPI, e che consentirà di ottenere dei report uniformi. Il lavoro dei prossimi due anni potrà essere utilizzato come riferimento per altri interventi analoghi, sulle Alpi o in altre aree montane della Terra.
A settant’anni di distanza dalla spedizione italiana del 1954 al K2, nata grazie alla collaborazione tra il CAI e il CNR, il progetto RESALP ribadisce l’importanza del rapporto tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (che dispone di un nuovo Gruppo di Lavoro sulle Montagne) e il Club Alpino Italiano. Al centro – oltre alla scienza – c’è la sicurezza di chi frequenta le montagne.