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Coppa delle Alpi: la montagna come una stanza

Abbiamo partecipato alla quarta edizione della manifestazione riservata alle auto d’epoca che ha toccato i luoghi più belli delle Alpi. Mostrandone le meraviglie ma anche inducendo a riflessioni sui grandi temi dell’unire e dell’attraversare”

Spesso, rispetto alle Alpi, può capitare di incappare in errori di lettura. Pretendere di interpretare le sequenze svizzere di passi, campagna e densificazioni intermittenti aspettandosi la stessa linearità dei sistemi alpini italo-francesi. Usare parole poco adatte, come poco adatte possono essere le azioni. Attraversare, ad esempio. Da Annibale coi suoi elefanti a Napoleone sul Moncenisio a innumerevoli e più o meno famosi Grands Tours sette-ottocenteschi, fino alle più prosaiche ma cruciali colonne di tir al Brennero o al Bianco, è tutto un attraversare, usare la catena come una serie di corridoi. 

È difficile che questa modalità aiuti a percepire una apparentemente non sistematica densità di case, strade, fabbriche, laghi, infrastrutture, pascoli, vacche e ghiacciai in ritirata come parti di una stessa storia, come una piattaforma coesa: bisogna cambiare il modo di percorrerla, per percepirla. Come nel Tai Chi, cambiare le condizioni fisiche della propria posizione, in maniera da percepire cose che prima nemmeno si pensavano. Una questione di scoperta.

La Coppa delle Alpi, alla sua quarta edizione come evento di Mille Miglia e col titolo di Grande Viaggio Alpino, in attesa della grande corsa italiana di giugno, riprendendo lo spirito geografico della sua nascita datata 1921 ha praticato ancora una volta questo cambio di traiettoria e di posizione, percorrendo la catena per lungo, da est a ovest, da Trieste a Courmayeur; e lo ha fatto più stando, esplorando, che non attraversando. Quest’anno, oltre ai 30 equipaggi in gara tra prove cronometrate, regolarità, e divinazione del roadbook –veicoli eleggibili per la Mille Miglia se non già veterani – un’altra decina di auto tra classiche e youngtimer ha avuto il compito di trasportare un gruppo di ricercatori, persone che studiano, fotografano, scrivono, a integrazione del cluster di figure invitate come partecipanti; scopo: saper vedere. 

Cinque tappe, un filo che ha cucito tanti quadri di quelli abitualmente considerati come separati. Una prima tappa da Trieste a Cortina con un detour sloveno a Kranjska Gora, e una seconda crivellata di passi che dopo l’incontro a Brunico con Reinhold Messner ha raggiunto l’Austria di Seefeld in Tirol hanno subito legato mare, città e montagna in un nastro percettivo unico. L’esplorazione si è poi spostata su una matrice di paesaggio solo apparentemente non polarizzata, che dall’Austria va a Livigno, poi St. Moritz, il Liechtenstein, Lucerna, Gstaad, l’alto Lemano di Martigny, il passaggio alla Francia della Forclaz, Chamonix e Megève, la Mer de Glace drammaticamente ridotta, il tunnel e Courmayeur. 

Il percorso, che nella semplice elencazione delle tappe potrebbe evocare una serie di immagini alla James Bond, dall’enorme fascino ma ancora una volta autoreferenziali (in quei casi oltretutto, il più delle volte l’Aston Martin di turno saltava giù da qualche tornante invece di pennellarlo) acquisisce tutto il senso solo nel momento in cui si uniscono i punti, metaforicamente e non: percorrere la campagna-montagna di Coira dopo un salto di valle tra Julierpass e Albula, intravedere le ripe boscose subito dietro le case nella via centrale di Vaduz capitale, balzare di lago in lago, di stanza in stanza nel paesaggio, e in una di queste incontrare l’urbanità di Lucerna prima di ripartire per la stagionalità – chiusa: è primavera – di Gstaad. 

A punteggiare la gara, ogni luogo ha portato diversi incontri e diversi temi, che il viaggio ha messo a sistema.

Come il sociologo Aldo Bonomi, membro di quel drappello osservante trasportato per le Alpi tra Porsche, Triumph e Volvo, ha osservato una volta arrivati a Courmayeur, con questo viaggio si è assunto per la prima volta lo spazio di posizione della macroregione alpina, uno spazio largo “tra l’Europa del Barocco e l’Europa del Gotico” a cui afferiscono anche Milano, Torino, Lione, Stoccarda e le altre, e le tanto invocate “metromontagne” dalla definizione ancora troppo abbozzata. Attraversato in orizzontale, come fanno i treni svizzeri, mette davanti agli occhi quanto insospettabilmente contigui e continui siano certi luoghi ancora raccontati diversamente – basta pensare all’Alto Adige, alla Valtellina e all’Engadina – come se si dovesse guardare l’atlante (molto più adatto rispetto alle mappe web per ragionare su distanze e vicinanze effettive) a partire da una geometria non necessariamente euclidea, come se tutto fosse disposto su una sella, o su una sfera, quale in effetti è.

Come evocato dal paesaggista Claudio Bertorelli e da Francesco Pugliese, ex Ceo di Conad tra i partecipanti, tra una profezia non luminosa che traspare da ghiacciai che scompaiono e centri turistici che prosperano isolati, con vitalità intermittenti, e il suo compimento, c’è lo spazio per una visione. E nel caso della macroregione alpina, è proprio da uno sforzo di saper vedere e sapersi vedere che una visione risolutiva può passare. Riconoscere e farsi riconoscere, consolidando una coscienza di luogo, direbbe Bonomi, coeso e pieno di risorse, che una volta presa coscienza di sé in quanto tale sia capace di non farsi solo attraversare da flussi a cui consegna valore da estrarre, ma di esserne un nodo, una entità sociale ed economica che ne sia attore determinante. 

È questione di ri-raccontarsi, e riscrivere il racconto passa per riscrivere gesti e movimenti, come ha puntato a fare il Grande viaggio alpino, salendo sulle Alpi coll’intento di farne parte, e non solo di scendere il prima possibile. 

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