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Riconsegnato a Reinhold Messner anche il secondo scarpone del fratello Günther

Si chiude così definitivamente la vicenda legata alla tragedia avvenuta nel 1970 sul Nanga Parbat. “Tornerò presto là”, ha detto l’alpinista, “per portare nuovi aiuti alla gente del luogo”

Il cerchio finalmente si chiude. Ieri mattina Reinhold Messner ha ricevuto il secondo scarpone del fratello Günther, morto 54 anni fa sul Nanga Parbat. La calzatura era stata ritrovata nel 2022 e consegnata alla spedizione condotta da Alberto Peruffo in quel periodo impegnata nel tentativo di scalare la stessa montagna fatale al giovane Günther.

“Oggi finalmente il secondo scarpone di Günther è arrivato dal Pakistan, e Liver Khan me l’ha consegnato. Vengono finalmente smentite le teorie del complotto su Günther e sulla tragedia del Nanga Parbat. Günther, grazie, ti penso”, ha scritto sui social l’alpinista altoatesino.

L’emozione di Messner è ampiamente comprensibile. Per ben 35 anni dopo la scomparsa di Günther, è stato da più parti accusato di avere abbandonato il fratello, sfinito dallo sforzo, per potere raggiungere la vetta. Un’ipotesi senza nessuna prova, da bar dello sport, che però aveva trovato fin troppi sostenitori e che aveva profondamente ferito Reinhold. Solo nel 2005 quando i resti di Günther furono trovati, assieme a uno scarpone, alla base della parete Diamir, fu possibile zittire (quasi tutti) i detrattori:

“Il ritrovamento dei resti e di uno scarpone dimostrano senza ombra di dubbio che Günther è morto durante la discesa e non è stato abbandonato da me durante la salita”, dichiarò Reinhold Messner dopo il primo ritrovamento.

Il corpo di Günther fu poi cremato sul posto ma Reinhold riportò in Italia il primo scarpone (da allora custodito al Messner Mountain Museum di Castel Firmiano, alle porte di Bolzano) e alcuni reperti dai quali fu possibile ricavare il DNA che confermò senza più possibilità di smentita quanto affermato fino a quel momento.
Sempre dai suoi canali social Messner ha annunciato che intende tornare al più presto al Nanga Parbat “per assicurare la mia eredità sotto forma di scuole, progetti culturali e aiuti umanitari”.


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