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Tragedia della Tête Blanche: l’invito al rispetto per le vittime e le parole (severe) dei soccorritori

Sei scialpinisti deceduti sulle Alpi del Vallese, in Svizzera. Cosa è successo? Gli errori ci sono stati ma le polemiche sulla pelle dei morti non fanno bene a nessuno

La tempesta perfetta. Tutto quello che non dovrebbe succedere durante un’escursione scialpinistica si è concentrato in poche ore, per di più a una quota intorno a 3.500 metri: bufera, buio, whiteout, attrezzatura al limite, panico, impossibilità di soccorso. Il bilancio è di cinque morti e un disperso. Una strage.

La notizia ha scosso, in tutta la sua tragica grandezza, il mondo intero e non solo il popolo della montagna. Come è potuto accadere? A così breve distanza di tempo è ancora impossibile ricostruire esattamente l’accaduto. Certo è che le vittime sono morte per assideramento e non travolte da una valanga. Sorpresi dal maltempo hanno provato a scavare nella neve per costruire ripari (più di uno) dove attendere i soccorsi, ma non è stato sufficiente. In quelle condizioni meteo gli elicotteri svizzeri non potevano volare, le squadre di soccorritori via terra sono dovute rientrare a causa delle condizioni impossibili della montagna.

Solo la domenica pomeriggio, circa 24 ore dopo l’allarme, gli elicotteri (complessivamente ne sono stati impiegati 11) hanno potuto trasportare nella zona della Cabane della Dent Blanche alcuni soccorritori che in breve tempo hanno trovato i cinque sciatori. Troppo tardi, però.

Come sempre accade in questi casi, ci si interroga sull’accaduto. E spesso fioccano risposte basate sul nulla di concreto di cui si farebbe volentieri a meno per la loro insensatezza, così come sono immancabili le inappellabili sentenze di condanna delle vittime dispensate via social dai commentatori “esperti per un giorno di qualunque cosa”.

Bene ha fatto quindi la procuratrice generale del Vallese Beatrice Pilloud a sottolineare, nel corso di una conferenza stampa, che in montagna le condizioni possono “cambiare repentinamente” ed è importante non giudicare le persone avendo rispetto nei loro confronti e verso le loro famiglie”.
Però, le domande rimangono e saranno le inchieste delle autorità elvetiche a stabilire (forse) cosa è accaduto.

Le dichiarazioni di Anjan Truffer responsabile del soccorso alpino di Zermatt

Interessanti sono le dichiarazioni rilasciate in due interviste – al Daily Mail e al quotidiano di Zurigo Blick – da Anjan Truffer, guida alpina e responsabile del soccorso alpino di Zermatt, che ha preso parte alle ricerche.
Truffer ha stigmatizzato la decisione di partire presa dagli sciatori nonostante i bollettini meteo sfavorevoli:

“Credo che le previsioni del tempo siano state valutate in modo totalmente errato, o che vi sia stata una sopravvalutazione della propria velocità. Forse avevano calcolato di arrivare a destinazione prima dell’annunciato maltempo, ma l’abbondante neve fresca ha rallentato di molto la progressione. Questo particolare andava preso in considerazione”.

Truffer ha poi sottolineato che gli sciatori non indossavano vestiti abbastanza caldi per sopravvivere ai venti estremamente alti e alle basse temperature, aggiungendo inoltre che le loro pale erano troppo piccole e leggere per scavare rapidamente ed efficacemente una grotta di neve in cui ripararsi.

E’ possibile, quindi che i sei fossero in assetto da competizione – alcuni di loro dovevano partecipare alla prossima Patrouille des Glaciers – quindi inadeguato alla situazione in cui si sono trovati. Del tutto legittimo, per quanto controproducente, il panico che deve avere colto le vittime avvolte dal whiteout. I corpi sono stati, infatti,trovati distanti tra loro come se a un certo punto ognuno avesse deciso di  comportarsi in modo autonomo allontanandosi dai compagni.
Un altro errore, certo. Ma siamo tutti saggi quando non tocca a noi in prima persona.

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2 Commenti

  1. “Un altro errore, certo. Ma siamo tutti saggi quando non tocca a noi in prima persona.”

    E allora tacete anche voi.

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