Film

Himalaya – L’infanzia di un capo: nella memoria del Dolpo

Candidato al Premio Oscar come miglior film straniero nel 2000, il film di Éric Valli è una preziosa testimonianza etnografica sulla popolazione dolpo-pa

«Dobbiamo fare un film che sia una testimonianza, prima che la tradizione si sciolga come neve al sole», Thilen Lhondup, attore di Himalaya – L’infanzia di un capo (1999)

Quando si approccia alla realizzazione del suo primo lungometraggio, il regista e fotografo francese Éric Valli ha già avuto esperienze sul set di Sette anni in Tibet (1997) di Jean-Jacques Annaud e su quello di Il piccolo Buddha (1993) di Bernardo Bertolucci. Valli aveva infatti vissuto per lunghi periodi in Nepal, duranti i quali aveva potuto approfondire la sua conoscenza del territorio e della cultura nepalesi ed himalayane. Luoghi e comunità di cui aveva parlato in diverse pubblicazioni etnografiche e che aveva raccontato per immagini lavorando come fotoreporter per testate quali National GeographicGeoLife.

Il suo primo lungometraggio Himalaya – L’infanzia di un capo (1999) pur essendo sulla carta un film di finzione possiede infatti la forza di un documentario etnografico, fedele e rispettoso della cultura locale, affatto occidentalizzato (o meglio, affatto pregiudiziale) nel modo in cui guarda i suoi soggetti. Girato nella regione tibetana del Ḍolpā, il film di Valli è una preziosa testimonianza delle centenarie pratiche socio-culturali dei dolpo-pa, una popolazione tibetana di nazionalità nepalese caratterizzata dal semi-nomadismo.

Himalaya – L’infanzia di un capo nasce dalla volontà di Valli di conservare tale patrimonio etnografico ed è considerato dagli stessi abitanti del Ḍolpā come il loro namdar, ovvero il loro “libro delle memorie”.

Il film è ambientato nel periodo in cui i dolpo-pa compiono la loro annuale migrazione. Dalle quote estive (4-5000 metri), dove coltivano grano e orzo, in autunno i dolpo-pa si recano a fondovalle per vendere il sale che hanno raccolto sulle montagne, così da comprare cereali e altre cose utili per sopravvivere al duro inverno. Valli non si limita però a raccontare la mera pratica nomade, ma ci tesse intorno una storia umana che permette di capire anche le relazioni sociali e i valori che animano tale popolazione.

In breve, la storia è quella (come indica il titolo) di una successione tra capi del villaggio.

Dopo che il capovillaggio Lhakpa muore cadendo in un precipizio durante la raccolta del sale, il padre di questo e a sua volta ex-capo Tinlé accusa il migliore amico del figlio, Karma, di aver causato la morte di Lhakpa per ottenerne il posto. Questa accusa del vecchio Tinlé viene da un’ancestrale lotta tra famiglie, ma l’intero villaggio non la accetta, poiché ben sa della reale amicizia che legava i due giovani. Inoltre, Karma è per le sue qualità l’unico successore possibile all’amico. Testardo e addolorato, Tinlé deciderà di guidare lui stesso la carovana autunnale, trovandosi ad affrontare questioni umane e ad interrogare le forze spirituali e avverse della montagna.

Le lunghe e colorate carovane di yak che scendono con carichi di sale e lana fanno da contrasto agli sterminati paesaggi delle altitudini del Dolpo; dopo averci mostrato i colori ocra e le magnifiche architetture agricole che caratterizzano i mesi estivi dei dolpo-pa, Himalaya – L’infanzia di un capo ci immerge tra gli irti percorsi di alta montagna che portano a valle, cammini ardui e precari come quelli che circondano grandi laghi azzurri, percossi da bufere di neve e infine aperti a colpo d’occhio sulla magnificenza di altitudini minori, con paesaggi grandiosi che abbracciano le catene montuose della regione.

Dopo l’apertura all’Occidente del Nepal nel 1949, la regione di Dolpo, situata nel Nepal occidentale ai confini con il Tibet, fu raggiunta nel 1956 da David L. Snellgrove, che la raccontò nel libro “Himalayan Pilgrimage” e in “Four lamas of Dolpo”. In seguito il libro “Il leopardo delle nevi” (1978), del naturalista Peter Matthiessen fece diventare il Dolpo il sogno di molti viaggiatori, che cominciarono a raggiungerlo dal 1990 con l’apertura della regione al turismo.

Le regioni desertiche e post-himalayane del basso e dell’alto Dolpo sono situate a nord della catena montuosa del Dhaulagiri e si estendono dal Tibet a nord al confine con la Cina (con quote superiori ai 4000 metri), comprendono il lago Phoksumdo, passano foreste e terminano con la valle di Tarap a sud. I Dolpo aderiscono generalmente al Bon, una religione pre-buddista ad oggi accettata come quinta scuola del buddismo tibetano: da qui i magnifici monasteri buddisti che costellano la regione.

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