Domenica 11 febbraio, in un borgo di montagna del Molise, va in scena una delle rappresentazioni tradizionali più suggestive d’Italia. Siamo a Castelnuovo a Volturno, ai piedi delle rocce delle Mainarde, al margine meridionale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Ma il paesaggio, qui, è molto diverso da quello intorno a Pescasseroli, a Civitella Alfedena e a Scanno.
Al posto dei boschi di faggio, normalmente imbiancati dalla neve dell’inverno, si estende un paesaggio mediterraneo dove prevalgono lecci e ulivi. Più in alto sono le rocce del Monte Marrone, che nel marzo del 1944 hanno visto la prima battaglia degli Alpini, schierati a fianco degli Alleati, nella campagna per la liberazione dell’Italia dalle armate di Hitler.
Nella celebrazione de “Gl’ Cierv’”, “il Cervo” nel dialetto locale, le cannonate di ottant’anni fa non ci sono. L’ultima domenica di Carnevale, dopo il tramonto, la musica di fisarmoniche e zampogne accompagna una battaglia diversa, e molto più antica. L’attacco di un cervo infuriato, che simboleggia la forza della natura selvaggia, contro la vita e il lavoro dell’uomo.
Non sappiamo se il rito del cervo fosse già celebrato venticinque secoli fa, quando l’alta valle del Volturno fu contesa tra i Sanniti e le legioni dell’Urbe. Certamente, un uomo travestito da fauno e che indossava un copricapo con le corna partecipava ai Lupercalia, le feste dell’antica Roma che si svolgevano a febbraio, e che invocavano la protezione delle greggi dai lupi.
“Nei Pirenei, l’uomo-cervo era uno stregone che imitava un comportamento animale per propiziare una proficua caccia. Figure di questo tipo, in altre culture rurali, sono diventate il diavolo, il mostro o l’uomo selvatico” spiega l’antropologo e musicista Mauro Gioielli nel suo libro “L’Uomo Cervo”, dedicato alla festa molisana.
Fino a un secolo fa, riti come quello di “Gl’ Cierv’” si celebravano anche in altri paesi delle Mainarde. A Castelnuovo la tradizione è stata ripresa nel 1986, dopo un periodo di abbandono, grazie a un gruppo di appassionati di tradizioni locali coordinati dal musicista Ernest Carracillo. Negli anni successivi la rappresentazione è stata arricchita. Il risultato è un rito di grande suggestione, che si svolge all’ingresso del borgo medievale.
Prima dell’entrata in scena, una truccatrice trasforma due giovani della zona nel Cervo e nella Cerva, le maschere principali del rito. Concludono la vestizione del Cervo una giacca di pelliccia, e un pesante copricapo sul quale sono state fissate delle corna raccolte nei boschi.
Lo spettacolo va in scena alla luce di riflettori e fiaccole, dopo che l’ultima luce ha lasciato le rocce del Monte Marrone. Ernest Carracillo (che suona l’organetto, una piccola fisarmonica) e altri musicisti accompagnano l’intero spettacolo.
Il rullo dei tamburi prepara il pubblico all’arrivo del Cervo infuriato, che scende al galoppo dalla montagna e si scaglia contro la gente del villaggio. Poi la Cerva scende verso la piazza, calma il maschio, intreccia con lui una delicata danza d’amore. Ma questo intermezzo non basta. Il Cervo si ribella di nuovo, e stavolta la sua furia contagia la Cerva.
Per placare i due animali infuriati entra in scena Martino, una maschera simile a Pulcinella, che in altre rappresentazioni serve soprattutto a far ridere. A Castelnuovo a Volturno, invece, simboleggia la forza benefica che la comunità chiama a propria difesa contro l’aggressione del Cervo.
Martino, armato soltanto di un bastone, lotta a lungo contro il Cervo e la Cerva. Alla fine, aiutato dai paesani, riesce ad accalappiare i due animali, che cadono a terra stremati. Ma quando il Cervo e la Cerva si ribellano ancora una volta, l’unico modo per fermarli è la morte.
Per eseguire la sentenza entra in scena il Cacciatore, un uomo in costume che si avvicina, imbraccia il fucile e uccide i due ribelli. Ma è un’immagine che ne nasconde un’altra. Il Cacciatore è in realtà uno sciamano, capace di dare la morte e di restituire la vita. Dopo averli abbattuti si avvicina al Cervo e alla Cerva, e soffia loro nelle orecchie. I due animali si rialzano, si guardano intorno. Poi, storditi ma purificati dal male, tornano tranquillamente verso il bosco.
Alla fine del rito, nella piazza di Castelnuovo a Volturno viene acceso un enorme falò. Intorno alle fiamme ballano le Janare, le streghe, vestite di pelli e campanacci. Dirige la loro danza il Maone, uno stregone vestito di pelli e armato di un pesante bastone.
Secondo la tradizione molisana, le Janare sono creature feroci. Hanno poteri soprannaturali, sono parenti dei lupi mannari, succhiano il sangue dei bambini. Nella festa di Castelnuovo, invece, non sono una minaccia, ma arricchiscono con un’ultima coreografia lo spettacolo.
A un ordine urlato del Maone, le streghe abbandonano la piazza. Tra qualche settimana la primavera tornerà a colorare la valle del Volturno e i suoi monti. Per un anno, grazie al rito celebrato a Carnevale, l’uomo e la natura potranno convivere in pace.
La festa de “Gl’ Cierv’” è organizzata dall’Associazione Culturale il Cervo, 338.7788993, 320.3616375, www.uomocervo.org. Quest’anno la rappresentazione inizierà alle 18.30 di domenica 11 febbraio, preceduta da una sfilata dei Krampus della Vallarsa, in Trentino, ospiti dell’edizione 2024 della festa. Al termine della rappresentazione si balla in piazza con una “jam session popolare”. Sabato 10 sono in programma un concerto e poi (alle 18.30) una conferenza dello storico Mauro Gioielli.