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Marco Anghileri, alpinista fortissimo e uomo amato da tutti

Il 14 marzo 2014, il “Bacc” cadeva sul Pilone Centrale del Freney. Riproponiamo il suo ricordo scritto per montagna.tv dall’amico Serafino Ripamonti

“Sono nel posto più bello del mondo”

(Sms di Marco Anghileri dal Pilone Centrale del Freney, da solo e in inverno)

Il lecchese Marco Anghileri, il Bacc come tutti lo chiamavano (o Butch, nella versione “inglesizzata” del soprannome), è stato uno dei più forti e amati alpinisti italiani degli anni 90 e 2000, autore di numerose e formidabili prime solitarie, prime invernali e concatenamenti, soprattutto fra le pareti dolomitiche e le sue Grigne.

Le sue imprese moderne, ma che conservano il sapore dell’alpinismo d’altri tempi, hanno avuto la capacità di entusiasmare gli appassionati di montagna di ogni generazione e la sua energia contagiosa ha spronato e continua ancora oggi a ispirare tanti giovani amanti dell’avventura.

Ci ha lasciati 14 marzo del 2014, precipitando in circostanze ancora non chiarite quando ormai aveva quasi completato la prima ripetizione invernale e solitaria della via Jori Bardill sul Pilone Centrale del Freney.

La vita e l’alpinismo

Marco Anghileri, nasce a Lecco il 16 settembre del 1972. La sua famiglia ha l’alpinismo nel sangue. Il nonno Adolfo era stato infatti uno degli scalatori lecchesi della generazione degli anni 30 del 900, allievo del grande Gigi Vitali. Il padre Aldo aveva invece segnato momenti importanti nella storia dell’alpinismo italiano fra gli anni 60 e 70, con salite estreme e prime invernali dal Monte Bianco alle Dolomiti.

Inizialmente sembra che, nella successione dinastica, il gene della scalata sia passato soprattutto al fratello Giorgio, di un paio di anni più grande. Giorgio ha un talento genuino, un carattere estroverso e una vitalità esplosiva, che gli consentono mettersi in luce giovanissimo con prime ripetizioni, nuove aperture e salite solitarie. Ma il suo è purtroppo il destino di una meteora, che si interromperà tragicamente nel 1997 a causa di un incidente stradale.

Il Bacc ha un’indole più meditativa. Il suo cammino verso le montagne procede a passi un poco più lenti. L’ambiente in cui cresce però è quello della grande tradizione alpinistica lecchese, che respira attraverso gli amici del Gruppo Gamma, nato da una costola dello storico sodalizio dei Ragni di Lecco e fondato fra gli altri dal padre Aldo. Ben presto anche i suoi sogni cominciano a popolarsi di cime, di pareti, delle imprese e dei nomi di mitici scalatori.

Messner e Casarotto sono gli esempi a cui si ispira: alfieri di un alpinismo puro e selvaggio, che, più che il puro exploit sportivo, cerca l’incontro con l’avventura e l’ignoto. Marco si incammina sulle loro orme con modestia e pazienza, senza pretendere di fare funambolici balzi in avanti, ma seguendo quella che lui chiama “la scala dei sogni”, un percorso che si compie salendo un gradino alla volta, un piolo dopo l’alto, fino ad acquisire la “coscienza della conoscenza”, ovvero la consapevolezza di aver fatto tutto quello che serve per potersi permettere di trasformare in realtà un sogno ogni volta un po’ più grande.

Quella del Bacc è una tranquillità sotto cui brucia il fuoco della passione: chiunque lo incontri non può fare a meno di notarlo e di rimanere contagiato da quel suo sorriso accogliente che è un invito irresistibile a passare all’azione. Attorno a lui si coagula un gruppo di giovani scalatori che presto dalle Grigne passa ad affrontare le grandi pareti, soprattutto quelle delle Dolomiti.

Ma è nella scalata solitaria che Marco trova la sua dimensione ideale, quella in cui riesce ad esprimere tutte le sue potenzialità e in cui ritrova il senso del suo percorso di crescita umana e alpinistica. Nel 1994, sale in prima invernale e prima solitaria sulla Aste alla Punta Civetta; nel 1997 è il primo, in inverno e da solo, a ripetere Olimpo, una delle vie della sud della Marmolada che portano la firma di Maurizio Giordani; nella stessa stagione eccolo impegnato, ancora in prima invernale e prima solitaria, sulle mitiche linee tracciate da Casarotto alla Cima della Busazza e alla Quarta Pala di san Lucano.

Assieme alla solitudine c’è dunque un altro filo rosso a legare queste ascensioni: è quello del freddo e dell’inverno. La sua scala dei sogni ha una direzione precisa, che si palesa nei cinque giorni di gennaio del 2000, quando Marco diviene il primo a superare da solo, nella stagione più fredda, la mitica Solleder alla parete nordovest del Civetta. È il suo capolavoro, non solo per la difficoltà dell’impresa, ma anche per il significato intrinseco in questa salita, in cui si condensano i valori, la storia e il mito della tradizione e della cultura alpinistica di cui si è nutrito.

Il suo amore per la scalata è fatto però anche di leggerezza e solare libertà. Sin dall’inizio ha adorato correre veloce fra gli appigli, macinare centinaia di metri in verticale, magari limitando al massimo, o rinunciando del tutto, alla sicurezza della corda.

Seguendo questo ideale, nell’agosto del 2000, mette a segno uno straordinario concatenamento: in 14 ore complessive sale la Vinatzer-Messner in Marmolada, la Solleder al Civetta e lo spigolo nord dell’Agner, spostandosi in bici e a piedi fra una parete e l’altra.

Sembra che la scala dei sogni possa allungarsi all’infinito, ma, nel mese di maggio del 2001, un piolo si spezza… Scendendo in moto dai Resinelli il Bacc cade rompendosi un braccio. Pare un infortunio banale, ma le cose non vanno per il verso giusto nella riabilitazione: una delle ossa dell’avambraccio si rifiuta di tornare nella posizione naturale, causando un indebolimento dell’arto che praticamente gli impedisce di scalare.

Per gli amici lecchesi pare quasi un triste film già visto: ricorda l’incidente sugli sci che, nel 1961, fu causa della menomazione alla gamba che fermò la carriera di alpinista estremo di Carlo Mauri. Il destino del Bacc per fortuna è differente e, dopo più di tre anni di calvario, il problema finalmente si risolve quasi del tutto e lui ha altri sogni verso i quali arrampicarsi.

Certo negli anni successivi, come per tanti altri alpinisti dilettanti, anche per lui gli impegni della vita adulta pongono vincoli all’attività alpinistica. Anche il Bacc deve ricavare lo spazio per le sue “zingarate” facendo lo slalom fra il lavoro nell’azienda di articoli sportivi fondata dal padre e la gestione del suo locale ai Piani dei Resinelli: il mitico “Ristorante 2184”, punto di ritrovo di tutti gli scalatori della Grigne. Poi ovviamente c’è il tempo da dedicare alla famiglia: la moglie Barbara e i figli Giulio e Carlo.

Ma ci sono ancora giorni in cui, come lui ama dire: “la Grigna chiama!”. Giorni in cui non si può dire no e bisogna andare…

In quei giorni nascono altri concatenamenti, come quello delle sette vie sulla Corna di Medale (2000 metri totali di scalata!), quello delle sei vie iconiche di Cassin in Grignetta percorse nell’arco delle 24 ore con spostamenti a piedi, o quello delle cinque vie tracciate da Bonatti sulle montagne lecchesi, fra Resegone, Medale e Grignetta (sempre concatenate spostandosi a piedi).

Poi altre avventure, ancora da solo, ancora d’inverno, ancora nelle Dolomiti e, infine, un’idea cullata a lungo, coccolata e preparata meticolosamente, confidata a pochi intimi, un ulteriore gradino sulla scala dei sogni: una via sulla parete più bella e selvaggia del Monte Bianco, quel Pilone Centrale del Freney, dove sono state scritte tante epiche pagine di alpinismo.

Il 13 marzo le mani di Marco si posano sugli appigli di granito rosso della via Jori Bardill, che nessuno scalatore ha mai sfiorato nella stagione più fredda. Ancora una volta è da solo. Arrampica per tutto il giorno e bivacca in parete. L’amico guida alpina Arnaud Clavel è la sua sentinella giù fra le case di Courmayeur. Il Bacc gli invia un Sms prima di addormentarsi: “Sono nel posto più bello del mondo!”.

Il mattino dopo la scalata di Marco riprende. Verso le 13 Arnaud lo individua con il binocolo alla base della Chendelle e un altro Sms sembra confermare che la situazione è sotto controllo: “Sto bene, è tutto a posto. Conto di uscire in giornata”.

Più avanti è silenzio e mistero.

Il corpo senza vita del Bacc viene recuperato qualche giorno dopo alla base del Pilone Centrale. All’imbrago è legato uno spezzone di corda e ai piedi ha le scarpette da arrampicata, segno che l’incidente è avvenuto mentre ancora stava arrampicando, ma nessuno è in grado di dire con certezza cosa abbia causato la caduta e perché la corda con cui faceva auto sicura si sia tranciata.

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