Itinerari

Sul Monte Guglielmo, il Golem dei bresciani

Dalla vetta a 1957 metri di quota cara a papa Paolo VI, si gode un panorama indimenticabile sul Lago d’Iseo. E, più distanti, ecco le Orobie, l’Adamello e le Dolomiti di Brenta

Molto più di una montagna. Per gli escursionisti bresciani il Monte Guglielmo è il “Golem”, la meta di uscite di medio impegno in qualunque periodo dell’anno: a piedi, con gli sci, con le ciaspole, a volte anche in bici. Su quella vetta tondeggiante a 1957 metri di quota che separa il Lago d’Iseo dalla Val Trompia ci si “deve” salire almeno una volta a stagione celebrando una sorta di rito collettivo e identitario. Ma guai a pensare che il luogo sia riservato ai bresciani. Il Golem accoglie e abbraccia tutti, non a caso più di uno si spinge ad affermare con orgoglio che si tratta della cima più frequentata della Lombardia. Esagerazioni campanilistiche, certo, ma che sottolineano il potente richiamo di questa montagna, che pure non spicca per le sue forme, anzi.

Dalla vetta, però, lo sguardo spazia su gran parte della Pianura padana, il Lago d’Iseo si distende proprio ai piedi della montagna e tutto intorno ci si perde tra le Prealpi bresciane e gardesane fino ad ammirare in lontananza la Presolana, l’Adamello e le Dolomiti di Brenta. Uno spettacolo straordinario al quale si assiste a poco prezzo. La salita al Golem, infatti, da qualunque versante lo si affronti non è mai troppo lunga e non presenta difficoltà tecniche di sorta. Inoltre, come se non bastasse, le pendici del Golem raccontano innumerevoli storie, che accompagnano verso la vetta rendendo l’ascesa ancora più interessante.

La prima riguarda proprio il toponimo. Difficile resistere alla tentazione di abbinare quel nome alla “massa ancora priva di forma” della mistica ebraica, in fondo il Golem bresciano si presenta come una grande muraglia verde sormontata da un lungo crinale di vetta apparentemente pianeggiante. Insomma, materia prima ancora da scolpire. Invece no, “quel” Golem non c’entra niente, ma secondo la versione più accreditata non è altro che la deformazione del latino “culmen”, culmine. E visto che una storpiatura tira l’altra, a un certo punto il Golem divenne Guglielmo. Accadde nel XVII secolo e da allora è così, almeno fino alla prossima puntata.

La salita dalla Val Trompia

Ci si mette in marcia direttamente dal parcheggio di Pezzoro (911 m). Sebbene il primo tratto segua una strada carrozzabile, le pendenze sono subito importanti e con i muscoli ancora freddi si fanno sentire. In meno di un’ora tra faggi e abeti si raggiunge la conca prativa dove sorge il Rifugio Cai Valtrompia (1.258 m), un ex casotto di caccia convertito all’accoglienza degli escursionisti negli anni 40 del secolo scorso e più volte rimodernato. Gli ultimi interventi hanno riguardato il sistema di riscaldamento dell’acqua tramite pannelli solari e la fitodepurazione delle acque reflue. I tavoli sulla terrazza soleggiata costituiscono una tentazione alla quale occorre resistere, la strada è ancora lunga.

Pochi minuti oltre il rifugio si raggiunge una selletta che regala la prima spettacolare vista sulla vetta del Guglielmo, riconoscibile per il grande monumento al Redentore posto sulla sommità. Ancora seguendo una interpoderale si raggiunge Malga Pontogna (1.384 m) utilizzata solo d’estate per il pascolo in quota dei bovini. Agli albori dello sci, qui batteva il cuore sportivo del Golem. Sui pendii intorno alla Malga vennero addirittura installati negli anni 60 due skilift, che però ebbero vita breve e di cui fortunatamente non rimane traccia.

Anche in caso di neve la traccia di salita è bene evidente grazie al passaggio dei numerosi escursionisti e alle indicazioni disegnate su pali. Meno male, perché da Malga Sompogna inizia il tratto più faticoso della giornata, che in 300 metri di dislivello porta a Malga Stalletti Alti (1.690 m). E’ stato ribattezzato ratù (richiamando in dialetto la fatica di pagare le rate) e conviene affrontarlo con ampi zig zag nella neve. Da Malga Stalletti Alti la cima torna in bella vista e questa volta non è più tanto lontana. La si raggiunge percorrendo il crinale di vetta, che alterna tratti pianeggianti abrevi strappi.

All’inaugurazione del monumento di vetta partecipò anche il piccolo Giovan Battista Montini. Che, una volta diventato Papa Paolo VI lo fece restaurare

La salita è completata, ma è quassù che il Golem racconta la sua storia più peculiare. Il Monumento al Redentore che, come un faro, ha accompagnato per buona parte della salita, abbaglia con le tessere dei quattro mosaici che ne ricoprono le pareti esterne. A queste opere, realizzate tra il 2002 e il 2008 e che ritraggono i temi della Redenzione, dell’Annunciazione, della Creazione e della Resurrezione, si è aggiunto in seguito un quinto mosaico dedicato alla Madonna dell’Accoglienza e collocato all’interno del monumento proprio sopra il piccolo altare.

Ma non è stato sempre così. Il monumento venne infatti edificato nel 1902 su volere di Giorgio Montini, che prese parte alla cerimonia di inaugurazione accompagnato dal figlio Giovan Battista. Il piccolo al tempo aveva 5 anni ma qualche decennio dopo, il 21 giugno 1963, diventò Papa Paolo VI. E non dimenticò il “suo” Golem e quel monumento, tanto che lo fece restaurare nel 1966. La statua in bronzo che raffigura il Pontefice bresciano e posta accanto al monumento è del 1988 e da allora accoglie gli escursionisti, senza distinzioni, con lo sguardo rivolto verso il cielo. Ma forse un pezzettino di Paradiso lo ha fatto portare proprio qui.

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