Meridiani Montagne

Il mondo e le montagne di Lino Lacedelli

Sul numero 123 di Meridiani Montagne dedicato al Cristallo e alla Valle del Boite, ora in edicola, Giuseppe Mendicino racconta la storia del conquistatore del K2. Con rigore storico e le testimonianze della figlia Alberta

Un uomo tranquillo. Questo il titolo dell’articolo dedicato alla vita e alle scalate di Lino Lacedelli, scritto da Giuseppe Mendicino per il numero di Meridiani Montagne dedicato al Cristallo e alla Valle del Boite attualmente in edicola. Tranquillo, sì. Ma capace di imprese che hanno issato lo scalatore di Cortina nell’Olimpo dell’alpinismo. L’articolo ripercorre l’intero arco dell’esistenza di Lacedelli, dalle difficoltà adolescenziali fino al ritorno al Campo Base del K2 nel 2004, all’età di 79 anni, esattamente 50 anni dopo la conquista della seconda vetta della Terra. In mezzo tante salite sulle montagne di casa e sulle Alpi con i “suoi” Scoiattoli e gli amici Ugo Pompanin, Guido Lorenzi e Bibi Ghedina, le polemiche mai sopite legate alla conquista del K2, i ricordi della figlia Alberta a cui è sempre stato legatissimo.

Di seguito alcuni stralci dell’articolo di Mendicino pubblicato su Meridiani Montagne.

Un’infanzia sulle Cinque Torri

Lacedelli, come tanti altri ragazzi della valle, comincia ad arrampicare sulle Cinque Torri, insieme al fratello Leo. Quando però un amico muore cadendo dalla Torre Lusy, Leo decide di smettere, Lino invece continua. La prima vera salita, poi descritta nel suo quaderno alpinistico, è la parete nordovest della Torre Grande (Cinque Torri), il 9 luglio del 1944; le scalate di sesto grado inizieranno due anni dopo, quando entrerà nella Società degli Scoiattoli di Cortina. Altri grandi amici sono gli alpinisti Guido Lorenzi e Luigi Ghedina “Bibi”; insieme raggiungono le cime più impegnative delle Dolomiti d’Ampezzo, ma Bibi Ghedina e Lacedelli si spingono anche sulle Alpi Occidentali, per ripetere la difficile Bonatti al Grand Capucin, del 1951. Tutti quei ragazzi svolgono lavori manuali: Lacedelli è fabbro, e può realizzare anche i chiodi per arrampicare, Lorenzi è un falegname.

Soccorritori dell’impossibile

La maggior parte degli interventi avviene sulle Tre Cime di Lavaredo, da sempre massima attrattiva per scalatori provenienti da tutto il mondo. Proprio lì, il 17 luglio del 1947, si svolse il primo difficilissimo salvataggio in cui fu coinvolto Lacedelli, insieme ad altri sette tra guide e Scoiattoli: salvarono quattro austriaci, rimasti bloccati sulla Dimai-Comici a causa del grave ferimento di uno di loro in seguito a una caduta. Ci vollero molte ore per recuperarli, lavorando di giorno e di notte, tra pioggia, vento e nevischio, rocce coperte di vetrato e corde irrigidite dal gelo. La difficoltà maggiore consistette soprattutto nel portarli dal punto dell’incidente sulla vetta della Grande, trecento metri più in alto, per poi farli scendere lungo la Normale. Lacedelli, che aveva 22 anni, rischiò molto in quella occasione, soprattutto congelamenti alle mani. Intervistato da Fulvio Campiotti, definirà quel salvataggio un “tremendo strapazzo”. Tanti anni dopo, Lino chiederà a Pompanin: “Secondo te quante persone abbiamo soccorso?” “Non le ho mai contate” rispose lui. “Sono 300, in 160 salvataggi. Le ho segnate tutte”.

Flashback nel Karakorum

Nel 2004, la seconda grande impresa di Lacedelli sul K2: Lino ha 79 anni, e vuole tornare al Campo base, con le sue gambe. Si prepara con cura, camminando ogni giorno sulle montagne intorno Cortina, si sottopone a esami medici, studia mappe e percorsi con gli altri alpinisti della spedizione. Ci tiene molto, per due motivi: supportare con la sua partecipazione l’obiettivo degli Scoiattoli di salire in cima al K2, a cinquant’anni dalla prima scalata, e rendere un ultimo omaggio all’amico Mario Puchoz, la guida valdostana con lui nella spedizione del 1954, morta al Campo II per edema polmonare…
La figlia Alberta è la più decisa a incoraggiare Lino, lo accompagnerà in Pakistan insieme al marito. Mi racconta che suo padre amava da sempre il formaggio, ma il medico aveva finito per vietarglielo, concedendogli solo il parmigiano: «Così in vista del trekking abbiamo passato giornate a preparare fette di grana e pezzi di speck da mettere sottovuoto e portare con noi ».

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