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E-bike in montagna, opportunità o inganno?

Lungo tutte le Alpi, la rincorsa alle “ciclovie” per le bici elettriche è il nuovo Eldorado. Ma nobili propositi, volti a intercettare nuovi turisti, stanno modificano in modo irreversibile sentieri e mulattiere

La bicicletta, in special modo l’e-bike, fa parte di un “megatrend” che sta rivoluzionando la mobilità del pianeta. Si tratta di un’esplosione della diffusione delle due ruote, in particolare quelle supportate dalla tecnologia elettrica. Persino la Harley-Davidson Motor Company, la casa motociclistica statunitense, da sempre associata a cavalli, benzina e rumore, si è aperta al mondo dell’e-bike, con nuovi modelli.

Quest’espansione presenta importanti vantaggi per la mobilità urbana, perché riduce in modo significativo traffico ed emissioni, oltre a introdurre salute e benessere. In parallelo, la crescita dei praticanti dell’e-bike anche per uso ludico e sportivo, soprattutto in montagna, evidenzia però tante ombre e criticità.

Lungo tutte le Alpi, la rincorsa alle “ciclovie” per le bici elettriche sembra essere il nuovo Eldorado. Ma nobili propositi, volti anche a intercettare nuovi turisti, si accompagnano spesso con interventi sul territorio totalmente dissonanti e fuori misura. Ciò accade quando, anziché adattare i percorsi su due ruote alla rete escursionistica esistente, si modificano in modo irreversibile sentieri e mulattiere per far combaciare il tempo libero con quello del consumo.

Scassare l’impervio e livellare gli ostacoli lungo antiche vie è il sacrificio che tante vallate stanno offrendo per abbattere la barriera della fatica e consentire ai ciclisti di andare ovunque. Questo significa rinunciare completamente ad accogliere i nostri limiti, senza accettare la meravigliosa imperfezione di sentieri, rocce, boschi e pascoli, perdendo la possibilità di trovare un senso, relazioni ed esperienza autentica con le nostre montagne.

I promotori delle “ciclovie”,  che cannibalizzano gli antichi tracciati, sono spesso gli stessi abitanti, obnubilati da una cultura massificante, che non sanno più riconoscere i propri luoghi, incapaci di vedere l’unicità e valore di questi spazi e di prendersene cura preservandone l’identità. Ne vale la pena? Sacrificare il patrimonio incalcolabile rappresentato da sentieri e mulattiere storiche per la nuova mobilità “green” da offrire al turista su due ruote? Far confluire ciclisti con pedoni non può che generare conflitti.

Le nuove ciclovie sono realizzate con l’impiego sistematico di miniescavatori; così, in pochi istanti, la lentezza con cui pietre, muschi, terra e radici si sono incastrati perfettamente uno nell’altro, viene dissolta. Una privazione banalizzante, che conferma quanto poco ci vuole per cancellare natura e cultura, oltre a produrre nuovi paesaggi davvero brutti.

Non bastano centinaia di chilometri di strade e stradine già esistenti per convogliare le biciclette in montagna? Perché non sfruttare le agro-silvo-pastorali, le rotabili di servizio a seconde case e a mille infrastrutture già esistenti in quota? Non sono più adatte ai “biker” intenditori le tracce secondarie invase dal bosco a media quota? Con interventi funzionali alla guida su due ruote da condursi prevalentemente a mano? E gli enormi spazi già modificati delle piste da sci non possono ospitare tracciati sterminati per ogni categoria di ciclisti?

 

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