Itinerari

Sui sentieri dei camosci, dove vederli nel Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise

I 3 itinerari più amati dagli escursionisti per vedere uno degli abitanti più celebri del parco, il camoscio d'Abruzzo, dalla Val di Rose al Monte Amaro di Opi e alla elegante vetta della Meta

Da qualche tempo, quando si parla della fauna dei Parchi, si discute soprattutto del lupo e dell’orso. Invece vale la pena ricordare che le prime aree protette italiane sono state istituite soprattutto per proteggere gli erbivori.

Gli stambecchi del Gran Paradiso, ovviamente, la cui caccia più di un secolo prima era stata riservata ai sovrani di Casa Savoia. E i camosci d’Abruzzo, più snelli ed eleganti dei loro fratelli delle Alpi, che erano sopravvissuti all’espansione della pastorizia e alla caccia nelle valli più ripide e boscose della Marsica e della Ciociaria. Una di queste, non a caso battezzata la Camosciara, era al centro del progetto di tutela che ha portato nel 1922 all’istituzione del Parco.

Qualche decennio fa, grazie alle nuove aree protette dell’Appennino, esemplari di camoscio d’Abruzzo sono stati via via trasferiti dalle aree protette e dal Corpo Forestale dello Stato (e poi dai Carabinieri Forestali) e dal WWF verso la Maiella, il Gran Sasso, i Monti Sibillini e il Sirente. Altre montagne protette, dal Velino fino alle dorsali boscose dei Simbruini, attendono di ricevere qualche esemplare.

Fino a oggi, comunque, l’espansione del territorio ha fatto crescere la popolazione complessiva dei camosci fino agli oltre 3.000 esemplari (prima ce n’erano meno di 500). In più, dividendo la popolazione in nuclei non comunicanti, ha ridotto se non eliminato il rischio di estinzione della sottospecie Rupicapra rupicapra ornata in caso di epidemia.

Oggi degli splendidi branchi di camosci si possono osservare al Gran Sasso sul Pizzo d’Intermesoli, sul Pizzo Cefalone e sul Monte Camicia, e nell’Anfiteatro delle Murelle e in altre zone della Maiella. Anche le creste del Monte Bove sui Sibillini e il roccioso versante settentrionale del Sirente offrono degli incontri interessanti.

I “sentieri dei camosci” più amati dagli escursionisti, però, restano quelli dello storico Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, dalla Val di Rose al Monte Amaro di Opi e alla elegante vetta della Meta, che può essere raggiunta per tre itinerari diversi. Da metà luglio a fine agosto, come accade da anni, sui percorsi che abbiamo appena citato entrerà in vigore il numero chiuso, e l’obbligo di partecipare a escursioni organizzate. Le regole e i riferimenti per iscriversi saranno disponibili sul sito del Parco (www.parcoabruzzo.it).

Per tutto giugno e nelle prime settimane di luglio però, e di nuovo alla fine dell’estate, i sentieri dei camosci possono essere percorsi liberamente. L’invito è a farlo con rispetto e in silenzio, senza schiamazzi e senza avvicinarsi troppo agli animali. Con un po’ di fortuna, in queste escursioni, si potranno incontrare anche cervi, lupi e orsi. I panorami sono tra i più belli delle montagne italiane.

Dalla Val Fondillo al Monte Amaro di Opi

(780 m di dislivello, 4 ore a/r, E)

Monte Amaro di Opi
Monte Amaro di Opi. Foto di Stefano Ardito

Non lunghissimo, ma ripido e faticoso, il sentiero che sale al Monte Amaro di Opi offre panorami sul Monte Marsicano e sulle spettacolari faggete della Val Fondillo e della Val Cacciagrande. Sull’aerea cresta sommitale è facile incontrare i camosci.

Da Opi o da Villetta Barrea si segue la statale Marsicana fino al bivio della Val Fondillo e al vicino posteggio a pagamento (1087 m). A piedi, per la strada sterrata di fondovalle, si aggira la vecchia Segheria di Opi e si arriva al piazzale di Grotta Fondillo (1097 m, 0.15 ore). Si traversa su un ponte il torrente, poi si va a sinistra (segnavia F1) accanto all’acqua.

Da un bivio si sale a svolte nella faggeta, si tocca un crinale roccioso e si continua a salire. Si traversa a destra ai piedi di una fascia di rocce e si raggiunge una sella erbosa (1690 m, 1.30 ore). Si riparte sui pendii a destra della cresta che diventa via via più ripida e affilata, si tocca l’anticima (1850 m), si scende a una sella e si risale, superando delle rocce elementari, fino alla vetta (1862 m, 0.45 ore). In discesa occorrono 1.30 ore.

Da Civitella Alfedena a Passo Cavuto e a Forca Resuni

(1180 m di dislivello, 5 ore a/r, E)

Camosci a Passo Cavuto
Camosci a Passo Cavuto. Foto di Stefano Ardito

Questo sentiero, tra i più classici del Parco, affianca alla bellezza della faggeta della Val di Rose la possibilità di fotografare i camosci intorno a Passo Cavuto. In discesa consigliamo di seguire la Valle Jannanghera. Il sentiero (segnavia I1) inizia dalla circonvallazione di Civitella Alfedena (1107 m). Si può lasciare l’auto nel posteggio a monte del paese o partire dal Museo del Lupo e traversare a piedi il borgo.

Il sentiero inizia con un tratto sassoso, diventa più comodo, entra nella faggeta e torna a sinistra su un ripido costone. Più in alto si tocca un terrazzo erboso (1350 m) da cui appaiono il Monte Boccanera e l’alta Val di Rose, poi si entra nella faggeta. Toccata una radura con i ruderi di uno stazzo (cartello) si superano gli ultimi faggi e si prosegue sui pascoli. Un canalone di erba e sassi porta al Passo Cavuto (1980 m, 2.15 ore), da cui appare l’imponente Monte Petroso.

Si scende in vista della selvaggia conca della Camosciara, si risale a tornanti aggirando il Monte Capraro e si continua a mezza costa fino al valico e al rifugio di Forca Resuni (1952 m, 0.30 ore), sul confine con il Lazio. La salita alla vetta del Petroso è vietata.

In discesa, poco a valle del rifugio, si piega a destra sul sentiero (segnavia K6) che scende, entra nella faggeta della Valle Jannanghera e raggiunge una radura dominata dal Monte Jamiccio. Si scende a lungo sulla sinistra orografica della valle, si traversa un’altra radura e si scende alla Sorgente Jannanghera (1305 m, 1.30 ore) e a un bivio. Verso sinistra, un sentiero a mezza costa (segnavia I4) si affaccia sul Lago di Barrea e Civitella Alfedena, e poi riporta al paese (0.45 ore).

Dai Prati di Mezzo alla Meta

(850 m di dislivello, 4.15 ore a/r, E)

La Meta dal Passo dei Monaci
La Meta dal Passo dei Monaci. Foto di Stefano Ardito

La Meta, la più meridionale tra le grandi vette del Parco, che gli escursionisti ciociari chiamano “Monte Meta”, oltre che dal Lazio può essere raggiunta anche dall’Abruzzo (Piano di Campitello) e dal Molise (Piano delle Forme). L’itinerario che sale dal versante ciociaro si svolge in ambiente solenne e modellato dal carsismo. Dalla vetta, nelle giornate serene, si vedono il Gran Sasso, la Maiella, il Mar Tirreno e il Vesuvio.

Da Picinisco si segue la lunga e tortuosa strada che sale ai Prati di Mezzo (1402 m). Qui si imbocca il sentiero (segnavia N1) che inizia a sinistra del rifugio Il Baraccone, sale a tornanti ed entra in Valle Tabaccara. Il sentiero si alza a sinistra del fondovalle, lo traversa, poi supera un tratto a mezza costa che porta alla conca carsica di Pratolungo (1829 m, 1.15 ore).

Qui si lascia a sinistra un sentiero (segnavia K3) per il Monte Tartaro, si sale a svolte, poi un tratto pianeggiante porta al Passo dei Monaci (1967 m, 0.30 ore), dove arrivano i sentieri da Campitelli e dalle Forme. Dal valico un sentierino, (segnavia L1) sale verso la vetta, si sposta a sinistra per evitare delle rocce e poi torna a destra sulla cresta di blocchi calcarei, fino alla vetta della Meta (2242 m, 0.45 ore), magnifico belvedere. La discesa richiede 0.30 ore fino al Passo dei Monaci e 1.15 ore da qui a Prato di Mezzo.

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