Itinerari

Pantalica, archeologia e natura

Tra paesaggi solitari e selvaggi, un itinerario meraviglioso ideale in primavera

“Arrivammo a Pantalica, l’antichissima Hybla, ci arrampicammo su per sentieri di capre, entrammo nelle tombe della necropoli, nelle grotte-abitazioni, nei santuari scavati nelle ripide pareti della roccia a picco sulle acque dell’Anapo”. “Il vecchio parlava sempre, mi raccontava la sua vita, la fanciullezza e la giovinezza passate in quel luogo. Mi diceva di erbe e di animali, dei serpenti dell’Anapo, e di un enorme serpente, la biddina, un fantastico drago, che pochi hanno visto, che fàscina e ingoia uomini, asini, pecore, capre”.
Con queste parole, scritte ne Le pietre di Pantalica, un racconto del 1988, lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo racconta il suo incontro con i canyon e le necropoli rupestri di Pantalica, una delle mete di archeologia e natura più sorprendenti dell’isola. Siamo a un’ora di viaggio da Siracusa, più o meno alla stessa distanza da Noto e dai suoi monumenti barocchi, ma l’atmosfera e l’ambiente non potrebbero essere più diversi.

I canyon calcarei dell’Anapo e della Cava Grande, popolati da rapaci e ricchi di resti archeologici, offrono paesaggi solitari e selvaggi, e l’incontro con una natura integra e i resti di civiltà lontane. Pantalica conserva le testimonianze di due civiltà diverse, separate da oltre mille anni di storia.
La prima è quella dei Sicani, i primi abitatori dell’isola, costretti ad abbandonare la costa intorno al XIII secolo avanti Cristo dallo sbarco dei Siculi e di altre popolazioni italiche. Sono loro a costruire edifici imponenti come l’Anaktoron, il Palazzo del Principe, e a scavare nelle pareti dei canyon migliaia di sepolture rupestri.
Il sito, abbandonato ai tempi del potere di Siracusa e poi di Roma, viene rioccupato nell’alto Medioevo, quando le genti della costa, per sfuggire alle scorrerie provenienti dal mare, tornano a rifugiarsi all’interno. Nasce così la Pantalica bizantina, dove le tombe rupestri vengono riutilizzate come case, e le chiesette rupestri di San Micidiario e di San Nicolicchio vengono decorate da semplici affreschi.

A esplorare i palazzi e le sepolture di Pantalica, dal 1895, è l’archeologo Paolo Orsi, originario di Rovereto. Un uomo nato ai piedi delle Alpi, ma innamorato dell’archeologia e della storia della Calabria e della Sicilia orientale, e al quale è dedicato il Museo archeologico di Siracusa.
Secondo Orsi, l’Anaktoron dimostra che i Sicani dell’antica Pantalica si ispiravano alle architetture della Grecia micenea. Qui ha forse vissuto il mitico re Hyblon, che secondo gli storici concesse nel 728 avanti Cristo ai coloni arrivati dalla Grecia il permesso di fondare sulla costa la città di Megara Hyblaea.
Tra il 1915 e il 1922, tra le rocce della valle dell’Anapo, viene tracciata la ferrovia che unisce Siracusa con Palazzolo Acreide e Ragusa. La pittoresca strada ferrata, come altre linee secondarie italiane, viene abbandonata negli anni Sessanta. La zona dal 1997 è tutelata da una Riserva naturale della Regione Sicilia.

Dal 2005, insieme al centro storico e alle aree archeologiche di Siracusa, Pantalica entra nel Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. Oggi il tracciato della ferrovia abbandonata è una piacevole pista ciclabile. I sentieri che s’inerpicano verso le tombe e gli altri resti offrono delle interessanti camminate.
La Riserva Naturale di Pantalica è gestita dall’AFDS, l’Azienda Foreste Demaniali della Sicilia (www.parks.it), i suoi sentieri possono essere percorsi tutto l’anno, ma sono piacevoli soprattutto in primavera e in autunno. In estate può fare molto caldo. Non esistono segnavia, ma i cartelli sono abbondanti e precisi, come la mappa in scala 1:20.000 della Riserva, distribuita gratuitamente all’ingresso.

Il sentiero dell’Anakroton, delle necropoli rupestri e dell’Anapo
(200 metri di dislivello, 2 ore, E)

Pantalica si raggiunge da Ferla, che ospita le scenografiche chiese di San Sebastiano, San Giacomo Maggiore Apostolo e Sant’Antonio Abate, ricostruite in stile barocco dopo il rovinoso terremoto del 1693. Una tortuosa strada asfaltata porta a un centro informazioni e a una trattoria con area camping, poi scende alla Sella di Filipporto, da cui appare la valle dell’Anapo, e risale fino a un posteggio (386 m, 8 km da Ferla).
A piedi si va a destra per una strada sterrata che porta in pochi minuti alle rovine dell’Anaktoron (403 m) il “Palazzo del Principe”. Qui inizia la lunga e tortuosa discesa verso la Valle dell’Anapo. Il sentiero, ben indicato da cartelli, si dirige a sud su terreno via via più ripido, lascia a destra un tracciato per la chiesetta di San Micidiario, e raggiunge una caverna utilizzata come tomba e poi come abitazione.

Un sentierino conduce ai resti della chiesetta di San Nicolicchio (291 m, 0.30 ore), con resti di affreschi bizantini, e a un terrazzo che offre un sensazionale panorama. C’è una ringhiera, ma è bene fare attenzione. Il sentiero riparte toccando altre tombe, taglia un salto roccioso e raggiunge il tracciato abbandonato della ferrovia Siracusa-Ragusa. Lo si segue a destra fino alla stazione di Pantalica Necropoli (228 m, 0.30 ore), recuperata dall’ARFD che vi ha installato un piccolo museo. Non ci sono sorgenti.
Si riparte sulla linea ferroviaria, si costeggia un giardino di limoni, poi si imbocca a destra l’evidente sentiero del ritorno. Si sale a un crinale che offre uno spettacolare panorama sul canyon. Si superano delle balaustre e dei tratti di strada antica con gradini scavati nel calcare.

Più in alto si toccano altre sepolture trasformate in abitazioni rupestri, si lascia a destra il sentiero a mezza costa per l’Anaktoron, e si va a sinistra affacciandosi sulla necropoli di Filiporto e le sue centinaia di tombe. Una discesa porta alla chiesetta di San Micidiario, anch’essa realizzata in una sepoltura antica. Un percorso a saliscendi porta a un fossato aperto a scopi difensivi, e poi alla Sella di Filipporto. Seguendo verso destra la strada, in vista delle rocce della Cava Grande e di Sortino, si torna al punto di partenza (1 ora).

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