Itinerari

Monte Gennaro, la vetta più amata dai romani

Due itinerari nel Parco dei Monti Lucretili, dove da millenni vivono e lavorano allevatori e pastori.

La vetta più frequentata del Lazio non è il Terminillo o il Viglio, né tantomeno il Gorzano, che pure è la cima più alta della regione. L’onore, vero o presunto che sia, tocca al Monte Gennaro, il Mons Januarius degli antichi, la vetta che sorveglia la Campagna Romana, e che gli antichi romani consideravano sacra a Giano, il dio delle partenze e degli arrivi.
Caro da sempre ai camminatori romani, inserito da più di trent’anni nel Parco dei Monti Lucretili, il “pizzo” triangolare del Gennaro domina la Campagna Romana, e si lascia vedere da gran parte della città. Quando ci si avvicina a Palombara Sabina o a Tivoli, o si imbocca la A24 in direzione dell’Aquila, la sua presenza diventa davvero imponente.

L’uomo, intorno al Monte Gennaro, ha lasciato dei segni sorprendenti. Sul Pratone, gli archeologi hanno riportato alla luce le tracce (raschiatoi, punte di freccia, chopper) lasciate dai cacciatori preistorici. Le vacche e i cavalli al pascolo brado, insieme ai fontanili di Campitello, ricordano che quassù, da millenni, vivono e lavorano allevatori e pastori.
Non mancano memorie più illustri. Presso Licenza, a est del Monte Gennaro, un ombroso bosco di querce circonda le rovine della villa che Mecenate, proverbiale benefattore romano, donò al poeta Quinto Orazio Flacco, arrivato nell’Urbe dalla Puglia. “Fauno veloce lascia spesso il Liceo / per l’ameno Lucretile e difende / ognora le mie pecore dal fuoco / dell’estate e dal vento procelloso” scrisse il poeta nei Carmina.
Il Pratone, tra il Cinque e il Seicento, ha visto le esplorazioni botaniche di Federico Cesi, principe di Monticelli (l’odierna e vicina Monte Celio), fondatore nel 1603 dell’Accademia dei Lincei, il più illustre cenacolo della cultura italiana.
“Su questo monte quale varietà di piante! Quale incantevole fioritura verso la fine di maggio! Che copiose scaturigini di limpidissime acque!” ha annotato nel 1628 uno dei suoi compagni di escursioni, Giovanni (o Johann) Faber, un medico nato a Bamberga, in Baviera.

Oggi, per gli escursionisti il Gennaro è un fantastico belvedere. Chi si affaccia dalla cima verso ovest scopre le anse del Tevere, il Soratte e la Campagna Romana, e poi l’Urbe al completo, con tanto di Cupolone e Monte Mario. Sullo sfondo, nelle giornate migliori, scintilla luminoso il Tirreno. Dall’altra parte, una catena dopo l’altra, si schiera imponente l’Appennino. La Maiella che chiude il panorama verso est, la piramide del Corno Grande e il Velino, la sagoma del Terminillo affacciata sulla Sabina e i suoi borghi.
Più vicini, una giogaia dopo l’altra, compaiono i boschi e i crinali dei Lucretili. La vetta arrotondata del Pellecchia, la più alta della catena, e poi via via fino alla sagoma aguzza del Morra, sulle cui rocce si sono formate generazioni di arrampicatori romani. In basso, simile a un lago d’erba, si distende il Pratone, una delle più belle sorprese delle montagne del Lazio.

La quota di queste cime consente agli escursionisti di muoversi con piacere tutto l’anno. La primavera e l’autunno sono le stagioni migliori, in estate le faggete limitano la calura. D’inverno la neve si trattiene raramente. Il Monte Gennaro (1271 metri), viene normalmente salito da Prato Favale per il sentiero che raggiunge e traversa il Pratone.
Il vallone della Scarpellata, sul versante rivolto alla Campagna Romana, offre un percorso faticoso e ripido, di quasi mille metri di dislivello, apprezzato da chi si vuole allenare per le grandi montagne o per un trail. Completano l’elenco il Sentiero dei 25 tornanti da Palombara Sabina, e quello che sale dalla Villa di Orazio al fontanile di Campitello. Su tutti gli itinerari, il contrasto tra gli altopiani di pascoli e i faggi, le fioriture e gli agrifogli, i canaloni e le rocce rende l’escursione affascinante.

Da Prato Favale al Monte Gennaro per il Pratone
(500 metri di dislivello, 3.45 ore a/r, E)

L’itinerario da Prato Favale al Gennaro è uno dei più frequentati dell’Appennino laziale. Senza forti dislivelli, ma a saliscendi, permette di scoprire la faggeta della Valle Cavalera, il Pratone e i pendii sassosi intorno alla vetta. La segnaletica è abbondante, ma è bene fare attenzione all’orientamento.

Da Marcellina si esce dal paese verso San Polo dei Cavalieri, e prima di una cava abbandonata si svolta a sinistra per una strada che sale a svolte verso Prato Favale. Si posteggia alla fine del tracciato (830 m, 6 km dal paese). A piedi si segue il sentiero (segnavia 303), che traversa una zona rocciosa e sale al Poggio di Valle Fura (890 m), dove arriva da destra un sentiero da San Polo.
Si scende brevemente, poi si risale nella Valle Cavalera, dal fondo spesso fangoso, tra faggi secolari e agrifogli. Superati degli spuntoni rocciosi si scende a una conca e a un bivio (920 m), si va a sinistra (il sentiero di destra conduce a Campitello) e si continua fino a sbucare sul Pratone (1024 m, 1 ora), in vista del Monte Gennaro.

Si riparte verso sinistra su un tratturo, poi si piega a destra per un sentiero ben segnato che riporta alla faggeta. Il sentiero (segnavia 305) s’inoltra in un valloncello, tocca dei faggi secolari e uno stagno, poi sale a zig zag toccando dei magnifici agrifogli. Un tratto sulle ghiaie porta alla vetta (1271 m, 1 ora), dove sono una piattaforma in muratura e una croce.
Il panorama si apre verso la Campagna Romana, Roma, i Monti della Tolfa e il Tirreno. Verso est e nord, nelle giornate limpide, appaiono Gran Sasso, Velino, Terminillo e Maiella. Bellissimo il colpo d’occhio dall’alto sul Pratone. In discesa occorrono 1.45 ore.

Da Marcellina al Monte Gennaro per la Scarpellata
(950 metri di dislivello, 5 ore a/r, E)

Il ripido vallone della Scarpellata, che sale da Marcellina, offre un ambiente solitario e un discreto dislivello, ed è frequentato da chi si vuole allenare. In discesa consigliamo di traversare il Pratone. Si posteggia in Via Generale Cantore, a Marcellina, in uno slargo (331 m) accanto a delle palazzine. Si può proseguire in auto sulla strada, ma gli spazi per lasciarla sono pochi.

A piedi si segue la strada (segnavia 301), tra uliveti e frutteti. A un bivio si sale a destra per un viottolo sassoso, si lascia a sinistra una carrareccia, e si oltrepassano un cancello (550 m, 0.45 ore) e dei ripari per il bestiame.
Da qui il sentiero sale con pendenza sostenuta nel bosco di querce e poi di faggi. Dopo dei tornanti si va a destra in diagonale fino a uscire dal vallone in località Bammocci (1000 m, 1.15 ore). Da qui si obliqua a sinistra (ancora segnavia 301) per un pendio sassoso. Il sentiero entra in un vallone, lo risale tra grandi faggi, poi sale a sinistra, esce dal bosco e prosegue su terreno sassoso fino alla cima (1271 m, 0.45 ore).
Da un bivio poco sotto la vetta si piega a sinistra (segnavia 305) sull’itinerario precedente, che riporta al Pratone. Si va a destra, si attraversa il pianoro (segnavia 301A) e si torna ai Bammocci (1 ora). Sull’itinerario di andata si scende a Marcellina (1.30 ore).

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