Alpinismo

Catamarca, alla scoperta dei “seimila” sconosciuti

Eduardo Salas, andinista e geologo, ci racconta le "sue" montagne

Quasi centodieci anni fa, nel dicembre del 1913, un geologo nato nella lontana Vienna affronta una delle cime più imponenti delle Ande. Si chiama Walther Penck, lavora da tempo sull’altopiano, e per questo motivo è già acclimatato alla quota. Sale a dorso di mulo fino a 5600 metri, poi prosegue un passo dopo l’altro, su terreno ripido ma elementare, fino ai 6638 metri del vulcano Incahuasi, sul confine tra l’Argentina e il Cile.
Penck annota che sull’opposto versante la vetta è difesa da un “impressionante precipizio alto 600 metri”. Sa che in lingua quechua Incahuasi significa “la casa dell’Inca”, e non si stupisce di trovare sulla vetta dei muri di pietra e un ometto sormontato da un bastone. Il reperto più importante verrà scoperto tre quarti di secolo dopo, quando la cima sarà stata raggiunta molte altre volte.

Nel 1985, l’antropologo e archeologo statunitense Johan Reinhard, protagonista di numerose avventurose esplorazioni sulle Ande, in Tibet, in Nepal e in Europa (è stato lui a studiare un’imbarcazione preistorica sul fondo del Lago di Bolsena, nel Lazio) studia il piccolo santuario Inca che sorge sull’altopiano sommitale.
Tra il 1990 e il 1991 il suo lavoro viene proseguito da ricercatori e andinisti della Agrupación de Montaña Calchaqui, un’attiva associazione locale. Tra gli oggetti che gli argentini riportano a valle dall’Incahuasi spicca un’elegante statuetta di bronzo, realizzata tra il 1480 e il 1530 e “vestita” con panni di lana colorati.
Oggi questo piccolo e prezioso reperto è esposto nel Museo del Hombre di Fiambalá, all’inizio della strada che sale verso l’altopiano e i vulcani dalla provincia argentina di Catamarca, accanto a ceramiche e mummie ritrovate in altri siti della zona.
Un’altra sala dell’edificio ospita il Museo de los Seismiles, il “Museo dei Seimila”, dedicato alle gigantesche montagne di quest’angolo poco conosciuto delle Ande. A poca distanza dall’Incahuasi si alzano infatti l’Ojos del Salado (6893 metri), il Pissis (6795 metri) e molti altri giganti.

“Altre zone delle Ande argentine, dall’Aconcagua fino al Parque Los Glaciares, dove si alzano il Cerro Torre e il Fitzroy, sono celebri in tutto il mondo. Le nostre montagne no, e invece meritano di essere visitate. Qui da noi sono 5 delle 10 vette più alte delle Americhe, e 6 dei 10 vulcani più alti della Terra spiega Eduardo Salas, andinista e geologo di San Fernando del Valle, capoluogo della Catamarca.
Da decenni, in tutto il mondo, le collezioni di vette vanno sempre più di moda. Sono celebri quelle dei 14 “ottomila” della Terra e delle Seven Summits, le cime più alte dei sette continenti. Sulle Alpi si alzano gli 82 “quattromila” divisi tra Italia, Francia e Svizzera, sull’Appennino c’è un elenco (in parte sbagliato, ma l’idea è quella) di ben 256 “duemila”. La prima collezione della storia, completata già nel 1901, è quella dei Munros, le 276 cime della Scozia e del Galles che superano i 3000 piedi, pari a 914 metri.
Nella sala, modesta ma affascinante, del Museo de los Seismiles di Fiambalá si scoprono altre due possibili collezioni. La prima, che Eduardo Salas ha completato da tempo, è quella dei 22 “seimila” della Catamarca, divisi tra i territori di Tinogasta (16 vette) e di Antofagasta (6 vette).
La seconda, molto più impegnativa della prima, è quella delle 15 vette delle Ande che superano quota 6500 metri. Nell’elenco, dopo l’Aconcagua, l’Ojos del Salado e il Pissis, compaiono cime impressionanti e tecniche del Perù come lo Huascarán Norte e Sur (rispettivamente 6746 e 6655 metri), nella Cordillera Blanca, e lo Yerupayá (6617 metri) nella Cordillera de Huayhuash.

“L’esplorazione dei “seimila” della Catamarca è iniziata tra l’Otto e il Novecento, da parte di visitatori europei, soprattutto inglesi, tedeschi e polacchi. Gli argentini sono entrati in gioco molto più tardi, nel 1958, con la prima ascensione dell’Ojos del Salado per il versante occidentale. Conserviamo scarponi, ramponi e una tenda di quell’impresa, e sono rudimentali” spiega Magdalena Acevedo, direttrice del Museo.
In una teca, dei ritagli di giornale raccontano l’odissea di Alberto Angeleri, un alpinista di Córdoba che è stato tra i protagonisti dell’impresa, in discesa si è perso e ha vagato per una settimana prima di essere ritrovato e salvato. “È anziano ma sta bene, ci è venuto a trovare molte volte” spiega ancora Acevedo.

Grazie al Museo dei Seimila, o attraverso il sito del Centro Cultural Argentino de Montaña, si scopre la controversia sulla quota del Pissis, che secondo una misurazione effettuata una trentina di anni fa da Johan Reinhard sembrava essere più alto dell’Ojos del Salado, e che studi più recenti hanno riportato al terzo posto.
Proprio sul Pissis, nel 1990, quattro alpinisti di San Martino di Castrozza (Renzo Corona, Luciano Gadenz, Silvio Simoni e Giuliano Zugliani) hanno aperto una delle vie più impegnative delle vette che separano la Catamarca dal Cile, risalendo un ripido ramo del ghiacciaio con pendenze fino a 45°.

“Le nostre montagne sono belle, sono selvagge e possono essere quasi tutte raggiunte senza affrontare difficoltà tecniche” spiega ancora Eduardo Salas. “Per chi è già acclimatato alla quota il San Francisco, 6018 metri, può essere raggiunto con una facile camminata dalla strada che unisce l’Argentina con il Cile, e che traversa la frontiera a 4741 metri di altezza”.
“Prima di spingersi così in alto, però, chi vive al livello del mare, poco importa se a San Fernando del Valle, a Buenos Aires o in Europa, ha bisogno di una settimana di acclimatazione a La Cortadera o a Las Grutas, poste rispettivamente a 3300 e a 4000 metri di quota. Le nostre montagne, inclusi l’Ojos del Salado e il Pissis, sono pochissimo frequentate, mi è capitato di andare in giro per cinque giorni senza incontrare nessuno. Essere autonomi e autosufficienti è essenziale”.
“Sulle vette della Catamarca, al contrario che sull’Aconcagua, non esiste una Patrulla de Rescate, un Soccorso Alpino organizzato e dotato di un elicottero” prosegue Salas. “Più volte, a seguito di allarmi, sono partite squadre di volontari, che però a causa della mancanza di adattamento quota sono servite a poco. Facciamo tutto con amore, ma a volte può non bastare”.

Nei prossimi mesi, questa situazione potrebbe iniziare a cambiare. Luis Reales, responsabile dell’Ufficio del Turismo di Fiambalá, spiega che nella prossima estate australe (da dicembre a marzo) verrà migliorato e riaperto il Campamento de base di Las Grutas, dove acclimatarsi prima di salire verso le cime, abbandonato negli ultimi anni a causa del Covid-19.
Come ultima domanda, chiediamo a Eduardo Salas quali vette affrontare per un primo contatto con le Ande della Catamarca. “Una volta acclimatati, suggerisco di salire il Volcán San Francisco, un “piccolo seimila” a portata di mano. Poi, se si è pronti a salire di quota, la scelta è tra l’Incahuasi, l’Ojos del Salado e il Pissis”.
“Per puntare alle cime il mese migliore è marzo, quando il clima è ancora relativamente caldo, e i venti sono meno violenti che a dicembre o gennaio” prosegue l’andinista. “Ai piedi delle vette ci sono molte possibilità per escursioni tranquille. A chi non vuol proprio faticare consiglio il Balcón del Pissis, uno straordinario belvedere che si può raggiungere in fuoristrada”.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close