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Valanga di Rigopiano, il processo si chiude con 5 condanne e tanta delusione

Cinque condanne e 25 assoluzioni. Questo il quadro della sentenza pronunciata nel pomeriggio di ieri, giovedì 23 febbraio, dal Gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, al termine del processo svoltosi con rito abbreviato, avviato per fare luce sulle responsabilità connesse alla tragedia di Rigopiano. Era il 18 gennaio 2017 quando un distacco valanghivo travolgeva l’Hotel Rigopiano di Farindola, trasformandolo in un cumulo di macerie. Morirono in 29 tra ospiti e dipendenti. Tanta la delusione, e la rabbia, espressa dai parenti delle vittime al termine della pronuncia della sentenza.

Dopo 22 mesi di inchiesta della Procura durante i quali erano emersi i nomi di 30 imputati (29 persone fisiche e una società) accusati a vario titolo dei reati di disastro colposo, omicidio plurimo colposo, lesioni, falso, depistaggio e abusi edilizi, si è giunti a una assoluzione quasi totale. Assolti l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, dell’ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco e vari dirigenti regionali e prefettizi. Tra i 5 condannati due dirigenti della viabilità della Provincia di Pescara: Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, condannati per omicidio plurimo colposo e lesioni multiple colpose a 3 anni e 4 mesi ciascuno di reclusione. Il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, per il quale sono stati richiesti 2 anni e 8 mesi di reclusione per non aver emesso una ordinanza di inagibilità e sgombero dell’Hotel. E infine Bruno Di Tommaso, gestore dell’albergo Rigopiano, e Giuseppe Gatto, autore della relazione tecnica allegata alla richiesta della Gran Sasso SPA di intervento su tettoie e verande dell’albergo, accusati di falso. Per entrambi è prevista una reclusione di 6 mesi.

Condanne per un totale di 10 anni e 4 mesi, di gran lunga inferiore ai 151 anni e mezzo che nel complesso erano stati richiesti nei mesi scorsi dalla Procura. La pena più alta, pari a 12 anni di reclusione, era stata richiesta per l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo, assolto dal Gup. In merito alla mancata definizione della carta di localizzazione del pericolo valanghe, non sono state riconosciute responsabilità.

Delusione e rabbia tra i parenti, “è una vergogna”

Nell’aula si solo levate alte le voci di dissenso da parte dei parenti delle vittime. “Vergogna”, “assassini”, “venduti”, ha gridato qualcuno a gran voce. Sono dovute intervenire le Forze dell’Ordine per ristabilire la calma.

“La catastrofica gestione dell’emergenza da parte della Regione, completamente assente da questo processo – ha dichiarato all’ANSA Rossella Del Rosso, sorella di Roberto, proprietario dell’Hotel Rigopiano, una delle vittime della valanga – ; le telefonate del povero Gabriele D’Angelo al Coc di Penne e in Prefettura, in gran parte ignorate; la responsabilità di tutti i politici per la mancata attuazione della legge regionale 47 del 1992 che avrebbe impedito questa tragedia e per ultimo, non di poco conto, il ruolo esercitato dalla Dicomac nella fase dell’emergenza”.

“Non me lo aspettavo. Oggi è morto lo Stato italiano – le parole di Giampaolo Matrone, uno tra i sopravvissuti, che nella tragedia ha perso la moglie Valentina – . Questa tragedia ha colpito noi in primis, ma poi tutta l’Italia. Ho messaggi di vicinanza da parte di tutti. È andata come non speravamo”.

“Attenderemo le valutazioni della sentenza per valutare il ricorso all’Appello”, le parole del capo della Procura pescarese, Giuseppe Bellelli, evidenziando che nella sentenza sia stato cancellato il reato di disastro colposo.

Il dolore che tutti hanno provato di fronte a questa tragedia è stato il motore di questo ufficio, e a questo dolore vogliamo dare una risposta”, dichiarava il sostituto procuratore Anna Benigni qualche mese fa, auspicando a una sentenza ristoratrice. La ferita resta e forse oggi fa ancora più male.

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