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Incidente al Cerro Torre, colpito da una roccia muore giovane alpinista argentino

Un giovane alpinista e medico argentino, originario di Bariloche, ha perso la vita sul Cerro Torre nella giornata di martedì 31 gennaio. Colpito da una roccia, è caduto nel vuoto per oltre 50 metri. Il compagno di cordata, che si trovava a circa 80 metri di distanza, ha assistito al distacco roccioso e ha lanciato l’allarme via radio. L’incidente si sarebbe verificato alla base della montagna, sul Cerro Mocho.

Come raccontato a Màs Rìo Negro da Leonardo Viamonte, uno dei coordinatori della Commissione di Soccorso di El Chaltén, che ha gestito i soccorsi, il compagno di cordata non era in grado di vedere dove l’amico fosse caduto e in che condizioni si trovasse. “Ha visto cadere solo le pietre”. Successivamente il compagno ha avvisato il Soccorso di aver trovato Marcos, purtroppo privo di vita. 5 soccorritori trasferiti sul posto in elicottero non hanno potuto fare altro che confermarne il decesso.

Il corpo del giovane medico, recuperato mercoledì mattina da un elicottero dell’esercito argentino, è stato trasferito a El Chaltén, per essere messo a disposizione delle autorità di El Calafate e successivamente riconsegnato ai parenti.

Una stagione “diversa”?

Si tratta del quinto incidente mortale verificatosi nella stagione estiva patagonica, a una decina di giorni dal precedente incidente in cui hanno perso la vita due alpinisti baschi, travolti da una valanga sul monte Fitz Roy. C’è qualcosa che non va? Come sottolineato dallo stesso Viemonte, il percorso su cui si trovavano i due alpinisti non è rischioso ma negli ultimi giorni abbiamo avuto temperature elevate.”

La sensazione che vi sia un collegamento diretto tra stagione estremamente mite e incidenti causati da distacchi rocciosi o valanghe è diffusa tra chi vive e/o segue da tempo le stagioni alpinistiche in Patagonia. Colin Haley, reduce dalla prima solitaria in stile alpino del Pilastro Goretta sul Fitz Roy, ha dichiarato di non aver seguito la linea di salita di Casarotto a causa del caldo che ha reso pericolosa l’accesso alla via originaria, optando per un piano B, ovvero “Mate, Porro, y Todo lo Demás”, più difficile a livello tecnico, ma più sicura in questa particolare stagione.

Commento simile giunge dal londinese Jacob Cook, protagonista di una recente ripetizione del Care Bear Traverse, che racconta “quella notte, mentre tutti erano a bivaccare sulla vetta (del Fitz Roy, ndr), ci è giunta notizia di due scalatori erano morti scendendo da La Brecha quel giorno (parte della nostra discesa). Questo combinato con la morte del nostro amico John Bolte nello stesso posto lo scorso anno ha reso la giornata successiva estremamente stressante.” Jacob racconta di aver tremato letteralmente dalla paura in fase di discesa “fin quando ci siamo ritrovati a correre lungo il ghiacciaio attraverso i detriti di valanga che il giorno precedente avevano trascinato i due scalatori in un crepaccio.”

“Onestamente – conclude – la frequenza con cui le persone muoiono e la misura in cui le montagne si stanno decomponendo all’interno di ogni finestra di clima caldo, porta a sentirsi quasi un suicida se si decide di arrampicare qui. È difficile conciliare questo con la bellezza e il significato che si trovano in esperienze come questa. Detto questo, non credo di poter gestire bene il grado di stress psicologico e ho deciso di non arrampicare più qui in questa stagione”. 

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