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“Le otto montagne”, un viaggio nella Valle d’Aosta autentica

La parola clapey, nel patois della Valle d’Aosta, significa “pietraia” o “ghiaione”. Chi frequenta l’Emilius, la Grivola, le vette della Valpelline e altri luoghi desueti di quella meravigliosa regione sa bene che quando i prati lasciano il posto alle pietre si fatica, si perde il ritmo, si rischia di farsi del male alle caviglie o alle gambe. Circa a metà de Le otto montagne, il film che Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch hanno tratto dal libro di Paolo Cognetti, il protagonista Pietro (Luca Marinelli) lascia il cantiere della baita, e parte verso la cima del Grenon sulle tracce di suo padre. Bruno (Alessandro Borghi), l’amico ritrovato, lo incita a partire, “dai, prenditi la giornata!”, e si rimette al lavoro.

Pietro va, leggero e felice, contento di aver ritrovato la montagna. E quando arriva a un micidiale clapey, invece di faticare e bestemmiare come i comuni mortali, inizia a far piroette, a saltare, a giocare. L’arrivo alla croce della vetta, e al libro dove scopre le parole scritte tanti anni prima da suo padre, è un momento-chiave del film. Ma è il ghiaione trasformato in un luogo di gioia a far capire che Le otto montagne è prima di tutto una fiaba.

Quando un libro di successo si trasforma in un film, il regista e lo spettatore, sia pure in ruoli diversi, rischiano di cadere nel medesimo errore. Il primo, insieme allo sceneggiatore suo complice, rischia di seguire in maniera troppo pedissequa la storia, rinunciando alla magìa della musica e delle immagini per inseguire la parola stampata. Il secondo, affezionato alle stesse pagine, rischia di infastidirsi, una volta seduto al cinema, per ogni differenza di toni, di ambientazione, di luoghi.

Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, registi e sceneggiatori (insieme a Cognetti, che è rimasto dietro le quinte) sono riusciti a evitare l’errore. Non lo hanno fatto differenziando la trama, che è rimasta più o meno la stessa, con al centro la difficile amicizia tra Pietro e Bruno. Ma dando al film, che è bellissimo e merita di essere visto, un tono diverso, favolistico e più leggero rispetto al libro che ha vinto nel 2017 il Premio Strega, e che ha reso il suo autore celebre in Italia e nel mondo.

Non ci credete? Il libro uscito dalla testa e dal computer di Cognetti è duro, semplice, senza compromessi, e il suo fascino sta anche in questo. A dare a Le otto montagne di Van Groeningen e Vandermeersch un tono diverso, più da fiaba, è prima di tutto il formato. Il 4:3, quello dei televisori di una volta, che crea immediatamente nello spettatore l’impressione di un tuffo nel passato.

Fa lo stesso l’abbigliamento dei protagonisti, con camicie di cotone a scacchi e maglioni di lana che non lasciano mai lo spazio al Gore-tex e al pile che fasciano i camminatori e gli alpinisti di oggi. Fanno lo stesso gli zaini, con forme e colori degli anni Settanta od Ottanta, con giacche e sacchi a pelo infilati sotto alla patta, e con grandi borracce appese fuori. Crea un’atmosfera d’antan il fumo di un milione di sigarette, che evocano il Sessantotto e non gli anni a cavallo tra il vecchio e il nuovo millennio.

I colleghi che si occupano regolarmente di cinema, come Giammaria Tammaro su La Stampa di qualche giorno fa, ci informano che la versione cinematografica de Le otto montagne ha fatto centro. A un mese dall’uscita, con in mezzo le vacanze di Natale e Capodanno, il film di Van Groeningen e Vandermeersch è ormai diventato un fenomeno, un must.

Lo è diventato come pubblico e incassi, perché sta per arrivare al mezzo milione di biglietti staccati e ai quattro milioni di euro, superando star del botteghino come Aldo, Giovanni e Giacomo e Fabio De Luigi. Lo è diventato, ed è la cosa più importante, perché riesce a coinvolgere gli spettatori in delle emozioni speciali, che lo fanno consigliare sia a chi ha letto e riletto il libro, sia a chi si accosta per la prima volta a Pietro e a Bruno.

“Le feste sono finite, e le persone sono di nuovo a scuola, al lavoro, risucchiate dalla loro quotidianità. Ora devono scegliere, e preferiscono scegliere qualcosa di diverso, che promette di rimanere e colpire” scrive Tammaro. “Dopo le commedie, arrivano le storie vere, di vita vissuta, che portano gli spettatori in un altro mondo e in un’altra dimensione”.

Ho frequentato a lungo le montagne valdostane, e in passato l’ho fatto più spesso di oggi, e lungo percorsi più faticosi e impegnativi. Può sorprendere che il merito sia di due autori belgi, arrivati dal “Plat pays” di Jacques Brel, ma nella Val d’Ayas de Le otto montagne c’è tanta, tantissima Valle d’Aosta di una volta.

Non ci credete? Le mucche sono protagoniste del paesaggio, accanto ai sentieri non compare nemmeno un segnavia, i ghiacciai sembrano più a portata di mano di oggi. L’unico rifugio che si vede, e solo in poche immagini, è il Mezzalama ai piedi del Castore, e che nonostante i vari ampliamenti sembra quello inaugurato ottantanove anni fa, nel 1934.

Fa piacere, leggendo le interviste e i servizi dedicati a Le otto montagne da siti, televisioni e quotidiani, scoprire che in Valle d’Aosta dal 2011 sono stati girati 180 tra film e puntate di serie, e che dalle strade grigie e innevate del capoluogo, teatro delle indagini del poliziotto Rocco Schiavone (Marco Giallini) i registi e le loro macchine da presa si siano messi a guardare verso l’alto.

Può sorprendere, forse, che questa Valle d’Aosta che stravince sugli schermi, fatta di mucche, luoghi solitari e torrenti, sia agli antipodi di quella glamour e consumista dello sci, dei ristoranti alla moda, del turboturismo che dilaga nella promozione e nei media.

La Vallée che Le otto montagne racconta, e che gli spettatori sembrano amare e apprezzare, ha poco o nulla a che vedere con quella della Skyway di Punta Helbronner, degli spettacoli RAI in onda dal Casinò di Saint Vincent, dell’ansia di collegare a ogni costo i caroselli e le piste da sci.

Non conosco Paolo Cognetti di persona, ma qualche giorno fa ho apprezzato la sua intervista al Corriere della Sera. “Da tempo sono coinvolto nel dibattito ambientalista. Un tema importante è il turismo del futuro in montagna: se da un lato vogliamo contrastare la costruzione di nuovi impianti e di nuove infrastrutture, dall’altro occorre dare risposte a chi si chiede come immaginare un’economia che sia redditizia”.

Nella prossima estate, intorno a Graines (Grana nel film), in Val d’Ayas, partiranno delle escursioni guidate nei luoghi de Le otto montagne. Auguro agli organizzatori successo, perché so che tra le tante magìe del cinema c’è quella di spostare la gente. E’ successo a Matera con La Passione di Cristo di Mel Gibson, intorno al Lago di Braies con la fiction A un passo dal cielo, a Viterbo con Il maresciallo Rocca.

Basta un’occhiata a una mappa per scoprire che la magica Graines/Grana di Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, e naturalmente di Paolo Cognetti, è a due passi dal Vallone delle Cime Bianche che si vuole sacrificare in nome dello sci. Mi piacerebbe che il successo de Le otto montagne, con la sua Vallée silenziosa, riuscisse a far fare un passo indietro ai promotori degli impianti.

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2 Commenti

  1. Storia ben congegnata di uno dei tanti cittadini frustrati che pensano di essere uomini di montagna, dopo un po’ tradiscono gli amici, capiscono poco, falliscono in tutto e scappano rimanendo dei frustrati.
    Questa storia non i piace se non per il sogno dell’amico (come sempre abbandonato) che muore.
    Però vedo fino ad ora che questa storia alla gente piace, oggi così si guadagna e si diventa famosi 🙂

  2. La Valle d’Aosta autentica oramai la si può ritrovare solo su un libro come quello di Cognetti, bello ma pregno di retorica e di luoghi oggi scomparsi, oppure in un film come Otto Montagne. La realtà sulle nostre montagne ahimè è ben altra. È quella delle olimpiadi invernali, dei nuovi caroselli sciistici, dei nuovi rifugi e bivacchi che sembrano astronavi o lussuose spa.
    Quanto alla speranza che un libro vincitore di premio strega e un film di successo possano riportare quei luoghi al fascino di un tempo e a un passo indietro nel devastante dilagare di impianti e luna park di alta quota, temo che possa invece accadere esattamente il contrario, basti vedere l’assalto di masse di turisti “televisivi” al lago di braies o sulla skyline a helbronner dopo la fiction rai.

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