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“Prima o poi ci scappa il morto”, i dubbi di un volontario CNSAS sull’attivazione dei soccorsi in quota

All’indomani del recupero di 3 giovani bloccati tra ghiaccio e neve, privi di attrezzatura adeguata, ai Piani di Bobbio, realizzato nel giorno dell’Epifania dal Soccorso Alpino lombardo, un volontario del Soccorso Alpino ha diffuso pubblicamente tramite alcuni quotidiani lecchesi una lettera in cui si esprime profonda preoccupazione sulle attuali modalità di attivazione dei soccorsi in quota. In particolare si pone l’accento sui ritardi legati al rimbalzo di chiamate tra diversi enti preposti a intervenire a seguito della richiesta effettuata tramite il Numero Unico di emergenza 112. Ritardi che potrebbero, prima o poi, causare qualche tragedia.

Di seguito la lettera a firma di Graziano Plati, volontario CNSAS.

“Se si continua così è inevitabile che presto o tardi capiterà una sciagura, e non me la sento di aspettare, senza fare nulla, che ci sia il morto per mettere un po’ di ordine a delle procedure e a degli atteggiamenti che portano ad aumentare il rischio delle persone che chiedono soccorso e di chi le va a salvare.

Mi chiamo Graziano Plati, e da più di trent’anni faccio parte del Soccorso Alpino, l’intervento di ieri per recuperare tre persone bloccate sui Campelli può sembrare un successo per il soccorso in montagna, ma per chi conosce le dinamiche e i fatti è l’esatto contrario, è uno dei tanti che sono capitati ultimamente frutto di una cattiva collaborazione e di decisione sbagliate a diversi livelli.

Nel dettaglio ieri la chiamata di aiuto fatta dai tre, arrivata alla centrale è stata smistata ai Vigili del Fuoco. non so per quale motivo un intervento con delle persone bloccate a 2000 metri di quota, in inverno, nel tardo pomeriggio, in cima a una montagna sopra a degli sbalzi non indifferenti, (tant’è che ci sono volute più di dieci calate per portarle in un terreno relativamente sicuro), venga dato in carico ai Vigili del Fuoco…

Gli stessi dopo un po’ (senza partire) chiedevano l’aiuto del Soccorso Alpino per risolvere l’intervento, attivati gli uomini del soccorso alpino si veniva nuovamente bloccati perché di nuovo i Vigili del Fuoco dichiaravano che avrebbero recuperato i malcapitati a carico Ioro con l’uso deII’eIicottero. Successivamente comunicavano nuovamente che abortivano la missione perché l’elicottero non partiva e non so per quale motivo le squadre terrestri dei vigili del fuoco non erano già partite.

Nel frattempo le condizioni meteo sono peggiorate e la presenza di nebbia non ha permesso il decollo dell’eIicottero della centrale, tutto ciò ha comportato un grave ritardo nella partenza delle squadre territoriali che hanno dovuto operare da subito al buio in terreno come dicevamo prima impervio e senza conoscere l’esatta posizione degli infortunati, cosa che non sarebbe successa se si fosse stati attivati con la prima chiamata attorno alle 16 del pomeriggio, il tempo perso nel rimbalzare le chiamate e neII’attivare un corpo che è preparato per tante emergenze ma non certo per Iavorare in queste condizioni e in questi ambienti poteva trasformare il recupero di tre escursionisti infreddoliti nel recupero di tre salme, e come ho già detto, non è la prima volta che questo succede.

La colpa di questi fatti è da dividere fra diversi soggetti, di certo colpa abbiamo anche noi come Soccorso Alpino perché non siamo capaci di farci valere presso gli enti preposti alla gestione delle emergenze, alla nascita del 118 la collaborazione fra la centrale e il Soccorso Alpino era proficua, in quanto vi era un dialogo costruttivo fra l’operatore e i referenti del Soccorso Alpino tra i quali si svolgeva una valutazione per individuare la migliore strategia per raggiungere le persone bisognose di aiuto, il Soccorso Alpino da parte sua metteva la competenza territoriale la conoscenza dei luoghi la preparazione tecnica alpinistica e la conoscenza della situazione di quella specifica zona, in quello specifico periodo, data dalla continua frequentazione, questi patrimoni non possono averli altri enti che non frequentano giornalmente e capillarmente le nostre montagne, non è una colpa ma è un’ovvietà.

Altra nostra colpa è il fatto di aver fermato praticamente da un anno la scuola tecnica non permettendo così la formazione dei nuovi entrati, le selezioni e i vari corsi per chi volesse entrare. di questo passo anche i volontari di lungo corso vedranno scadere le qualifiche ottenute e non avendole rinnovate si troveranno a non essere più operativi dal punto di vista normativo, naturalmente noi continueremo lo stesso a fare interventi come li facevamo prima che nascesse la scuola e prima che venisse codificato in modo così rigoroso e rigido la formazione e il mantenimento dei tecnici, ma di certo la qualità del servizio non potrà migliorare.

Le persone ai vertici dei vari enti coinvolti nella gestione dell’emergenza, mi dicono siano persone preparate e professionali, e per quello che ho potuto constatare personalmente mi sembrano tutte persone valide e di buon senso, pertanto non capisco perché non si riesca a trovare la soluzione per ottimizzare al meglio la gestione delle emergenze, ognuno con le sue competenze e nel suo ambito. Spero che questo grido di allarme scuota i soggetti interessati e li sproni a trovare al più presto la soluzione, prima che ci scappi il morto, non so di chi sia la competenza, se del Prefetto, del responsabile della centrale operativa, o del soccorso alpino, ma di certo se dovesse succedere qualcosa di grave, non si potrà dire che non lo sapevamo, non ne eravamo a conoscenza, che è una casualità perché i segnali sono chiari e è una fortuna che non sia ancora capitato qualcosa di irreparabile”.

La risposta del Soccorso Alpino

Alla lettera di Plati ha scelto di rispondere in prima persona il presidente del Soccorso Alpino e Speleologico lombardo, Luca Vitali. Di seguito le sue riflessioni.

“Nei giorni scorsi, alcune testate giornalistiche hanno pubblicato una lettera, inviata da un nostro volontario, che esprimeva preoccupazione rispetto alle modalità con cui vengono attivati i soccorsi. Si tratta di considerazioni a titolo personale, che comunque sollevano alcune questioni importanti, alle quali stiamo lavorando da tempo, per correggere a monte le procedure di attivazione dei soccorsi e per trovare una soluzione che tuteli al massimo sia i nostri volontari, sia le persone da soccorrere.

Un intervento può essere molto complesso e i modelli tuttora utilizzati, che sono dei veri e propri algoritmi (processi con un certo numero di regole e di operazioni da eseguire), possono a volte non rispondere nel modo migliore. Esiste una normativa che definisce l’operatività del Cnsas – Corpo nazionale Soccorso Alpino e Speleologico: la legge n. 126/2020, che modifica la precedente n. 74/2001, dice che le mansioni specifiche del Cnsas sono il soccorso degli infortunati, dei pericolanti, dei soggetti in imminente pericolo di vita e a rischio di evoluzione sanitaria, la ricerca e al soccorso dei dispersi e il recupero dei caduti nel territorio montano, nell’ambiente ipogeo e nelle zone impervie del territorio nazionale.

Come però spesso accade, la normativa lascia spazio a interpretazioni: per esempio, il termine “impervio” è generico e arbitrario, applicabile a contesti differenti. La legge (art. 1) dice anche che ‘… Restano ferme le competenze e le attività svolte da altre amministrazioni o organizzazioni operanti allo stesso fine; nel caso di intervento di squadre appartenenti a diversi enti ed organizzazioni, la funzione di coordinamento e direzione delle operazioni è assunta dal responsabile del CNSAS’.

A noi competono gli interventi tecnico – sanitari, perché i nostri soccorritori sono tutti certificati per svolgere questo tipo di attività. Già in queste ore ci sono stati dei confronti per analizzare la dinamica di attivazione e sono emerse alcune considerazioni che saranno poi utili sui futuri tavoli tecnici. A fine mese sono in programma degli incontri con le realtà interessate per trovare e introdurre variabili specifiche, che mettano in chiaro competenze e ambiti d’intervento di ciascuno.”

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