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Appennino all’asciutto. Le Regioni chiedono aiuto

Più volte, negli scorsi inverni, gli albergatori, i maestri di sci e gli impiantisti delle Dolomiti e della Valle d’Aosta hanno guardato con un pizzico di invidia verso sud. In quegli anni, mentre la neve sulle Alpi era rara, Roccaraso e le altre stazioni invernali dell’Abruzzo erano letteralmente sepolte dal bianco. Lo stesso, qualche chilometro più a nord, avveniva tra l’Abetone, il Corno alle Scale e il Cimone. Quest’anno la situazione è rovesciata. Mentre sull’arco alpino sono tornati la neve e lo sci, l’Appennino, nelle vacanze di Natale e Capodanno 2022-’23 è rimasto desolatamente pelato. Sulle Alpi, dopo un autunno straordinariamente mite, tra novembre e dicembre è arrivata la neve naturale, e le basse temperature hanno consentito di “sparare” abbastanza neve artificiale per garantire un buon inizio di stagione.

Sull’Appennino all’inizio è accaduto lo stesso. Roccaraso e Rivisondoli hanno aperto piste e impianti in anticipo, seguite a ruota da Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Poi il clima ha diviso in due parti l’Italia, e mentre sulle Alpi altre nevicate e qualche giornata di freddo hanno consentito di sciare anche durante le festività natalizie, sull’Appennino sono arrivati il caldo e il vento. Il libeccio e gli scrosci che a dicembre hanno colpito Roma e il litorale del Tirreno, e che hanno contribuito alla tragica frana di Ischia, hanno cancellato la neve sull’intera catena, dalla Toscana e dall’Emilia fino alla Calabria. In questi giorni sulla Maiella e sul Gran Sasso c’è neve solo sulle cime più alte, oltre i 2200/2400 metri di quota, buona per ascensioni alpinistiche ma non certamente per sciare. Più in basso si trovano solo prati, boschi e sentieri scoperti. Anche lo scialpinismo è possibile solo nei canaloni del Corno Grande.

Per chi vuol passare il weekend dell’Epifania con gli sci ai piedi, l’unico consiglio possibile è di dirigersi a nord, e a quote sufficientemente elevate. Tra Natale e Capodanno, infatti, il caldo anomalo è arrivato anche sulle Alpi, e molte stazioni a quote medio-basse hanno iniziato a soffrire. Nel Canton Ticino, un angolo di Svizzera a portata di mano per gli sciatori italiani, piccole stazioni come Nara e Bosco-Gurin hanno dovuto chiudere per carenza di neve, e solo il comprensorio di Airolo-Pesciüm funziona. Oltre i 1500 metri, e su fino ai 3000 e oltre, le piste sono invece in condizioni perfette. I prezzi degli skipass sono aumentati tra il 5% e l’8%, ma questo non ha fermato gli appassionati. In Piemonte gli impianti sono praticamente tutti aperti al Sestriere e nel resto della Via Lattea, e lo stesso vale per Courmayeur e per il Monterosa Ski in Valle d’Aosta. A Cervinia sono aperte 90 piste su 91, ed è attivo il collegamento con Zermatt. Buone notizie per gli sciatori, e per chi con la neve lavora, arrivano anche dall’alta Valtellina, e da gran parte delle Dolomiti. Nel Superski Dolomiti, che vanta 1200 chilometri di piste, è aperto quasi il 90% degli impianti.   

Se sulle Alpi si ride, a sud della Pianura Padana la situazione è tragica. Sul Monte Cimone, in Emilia, funziona solo un campo-scuola realizzato portando la neve dall’alto. A Pescasseroli, Roccaraso e Ovindoli è attivo un impianto per stazione, per consentire escursioni panoramiche. A Ovindoli, il 28 dicembre, la giornata promozionale delle guide alpine dell’Abruzzo, invece di ciaspolate e sciate in neve fresca, ha proposto camminate e arrampicate. “Il borgo di Filettino è pieno di gente, e ha salvato la stagione. In alto arrivano in pochi, noi abbiamo sostituito le ciaspolate con camminate” spiega Mauro Venditti del rifugio Viperella, punto di riferimento a Campo Staffi, nel Lazio. Sul Gran Sasso, dove la funivia di Campo Imperatore funziona, il sindaco di Calascio Paolo Baldi, insieme ai suoi colleghi di Santo Stefano di Sessanio e Castel del Monte e con la collaborazione del Comune dell’Aquila, è riuscito a far riaprire dalla Provincia la strada che attraversa l’altopiano. Resta chiuso solo il tratto che dal bivio di Sant’Egidio sale verso l’Albergo. Gli automobilisti e gli escursionisti hanno risposto con entusiasmo all’invito.

L’impressione è che nei paesi dei Parchi, dove le guide ambientali, gli accompagnatori di media montagna, gli istruttori di mtb e i e maestri di sci sono stati in grado di proporre attività alternative, si sia riusciti a evitare il crollo. Nelle stazioni più tradizionali come il Terminillo, nel Lazio, le cose sono andate peggio. Per le prossime settimane, i metereologi non prevedono cambiamenti di rilievo.

Per gli imprenditori dello sci e gli amministratori delle Regioni appenniniche, però, le attività alternative allo sci non bastano. Il 29 dicembre Sergio Polmonari, sindaco di Lizzano in Belvedere (la località dell’Appennino emiliano che comprende il Corno alle Scale e le sue piste), in un’intervista alle pagine di Bologna di Repubblica, ha espresso la sua preoccupazione per “il centinaio di famiglie che vivono di questo lavoro”. Poi si è scagliato contro ambientalisti e scienziati. Quando la collega Caterina Giusberti gli ha chiesto “Quindi non crede al cambiamento climatico?”, Polmonari ha risposto “è la guerra alla montagna, che noi contrastiamo nei limiti della democrazia. Ma noi non possiamo farci condizionare da queste persone”.   

I vertici delle Regioni appenniniche usano toni diversi, ma l’allarme è evidente. Il 3 gennaio l’Emilia-Romagna, la Toscana e l’Abruzzo hanno chiesto un incontro urgente con il ministro del Turismo Daniela Santanchè, per mettere a punto “un piano straordinario per le nostre montagne senza neve”. “Gli operatori dell’Appennino, dopo le stagioni cancellate dal Covid, sono alle prese con un altro momento nero che rischia di avere effetti irreversibili” spiegano Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e il suo assessore al Turismo Andrea Corsini. “Il Governo deve stanziare fondi per compensare i danni causati da questa anomalia climatica, e per mettere gli operatori nelle condizioni di resistere, senza abbandonare le montagne” aggiungono gli assessori Leonardo Marras (Toscana) e Daniele Damario (Abruzzo).

Dopo avere chiesto fondi e sussidi, però, le tre Regioni chiedono a Roma “aiuti per la sostituzione dei vecchi impianti di innevamento con quelli di ultima generazione che permettono di mantenere la neve artificiale anche a temperature più elevate”. E qui qualche dubbio può venire. Anche se i “cannoni” sparassero neve con temperature notturne oltre lo zero, nelle ore centrali del giorno la neve si scioglierebbe rapidamente. Anche se il sindaco di Lizzano in Belvedere non ci crede, il cambiamento climatico non fa piacere a nessuno. Ma spendere milioni di euro per accumulare in montagna altra ferraglia inutile non sembra un intervento utile, ma un modo per allungare l’elenco delle stazioni sciistiche abbandonate, sempre più numerose sulle Alpi e sull’Appennino.

Già, quante sono le località dove lo sci è rimasto un ricordo, ma sbancamenti e piloni ingombrano ancora il paesaggio? L’ultimo rapporto Neve Diversa di Legambiente elenca 180 località in abbandono, ma sui siti dovesciare.it e funivie.org il numero sale a 311. Di fronte al cambiamento climatico, gli imprenditori dello sci sembrano più pessimisti dei difensori dell’ambiente.

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2 Commenti

  1. Nonostante da decenni le temperature siano aumentate e l’innevamento sia diminuito, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Toscana si ostinano nel progetto di funivia Doganaccia-Scaffaiolo. A che scopo? Per consentire agli sciatori toscani di raggiungere in breve tempo il Corno alle Scale. E lí sciare sull’erba.

    Tanto pagano i contribuenti…

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