News

Ötzi non è unico? Lo studio: forse altre mummie simili nei ghiacciai alpini

A distanza di 31 anni dalla scoperta casuale della mummia di Ötzi sul passo Tisenjoch nelle Alpi dell’Ötztal, un nuovo studio apre a un inedito scenario: di antiche mummie risalenti all’epoca preistorica conservate per millenni dal ghiaccio, potrebbero essercene ulteriori sulle Alpi, che aspettano solo di essere scoperte.

Una conclusione cui il team austro-svizzero-norvegese autore dello studio, i cui risultati sono stati di recente pubblicati sulla rivista scientifica The Holocene (“Ötzi, 30 years on: A reappraisal of the depositional and post-depositional history of the find”), è giunto a seguito di una rivalutazione delle teorie finora elaborate sulla conservazione del corpo dell’Uomo del Similaun, ritenute sbagliate.

Il “mistero” della perfetta conservazione di Ötzi

“Il principale investigatore del ritrovamento (il ricercatore della University of Innsbruck Konrad Spindler, nda) ha sostenuto che si trattasse di un caso unico nel suo genere, preservatosi grazie a una serie di circostanze fortuitescrivono gli autori – . È stato ipotizzato che la mummia con i relativi manufatti fosse stata rapidamente ricoperta dal ghiaccio del ghiacciaio e fosse rimasta sepolta fino allo scioglimento nel 1991. Sono trascorsi più di 30 anni dalla scoperta di Ötzi. In questo articolo, diamo uno sguardo più da vicino a come il reperto possa essere analizzato oggi, beneficiando di una maggiore conoscenza acquisita in oltre due decenni di indagini su altri siti archeologici glaciali e da precedenti indagini paleobiologiche realizzate sui reperti.

Sulla base di datazioni al radiocarbonio realizzate nel canalone in cui fu ritrovata la mummia e di nuove evidenze glaciologiche riguardanti il ​​bilancio di massa del ghiacciaio, i ricercatori ipotizzano che il corpo di Ötzi non sia rimasto permanentemente sepolto nel ghiaccio dalla sua morte, avvenuta nell’Età del Rame, circa 5000 anni fa, al 1991, ma che abbia potuto andare incontro a più cicli di ri-esposizione all’aria.

Le carenze della teoria di Spindler

Konrad Spindler ipotizzò che Ötzi fosse un pastore, fuggito a fine estate/autunno dalla valle sottostante attraverso le montagne, con indosso delle attrezzature danneggiate nel corso di uno scontro e addirittura alcune incompiute, come se non avesse avuto tempo di finirle e ripararle, morendo poi in un canalone privo di neve. Esposto all’aria, il corpo andò incontro a un processo di mummificazione a secco, e fu successivamente ricoperto, insieme ai suoi artefatti, dalla espansione di un ghiacciaio in un periodo di raffreddamento del clima terrestre.

Ricoperti dal ghiaccio, i reperti sarebbero rimasti sepolti e protetti (dall’aria ma anche dallo scorrere del ghiacciaio sovrastante grazie alla conformazione del canalone) fino a quella insolita estate 1991, caratterizzata da alte temperature e un cospicuo afflusso sulle Alpi di polvere sahariana, una combinazione di fattori che promosse una intensa fusione, nel punto del ritrovamento come in altre parti dell’arco alpino.

La sua teoria, detta “del disastro” non trovò approvazione unanime e vi fu chi elaborò altre ipotesi, ma si è affermata nel tempo come teoria di riferimento. La si ritrova anche citata sul sito del Museo Archeologico dell’Alto Adige, iceman.it.

Ma in essa c’è qualcosa che non torna. “La teoria del disastro riteneva che Ötzi fosse morto nel canalone in cui fu trovato – spiegano gli autori – . Il fatto che sia i resti umani che i manufatti siano stati trovati giacenti a terra, è stato preso come prova che il canalone fosse privo di neve al momento della morte. Si credeva che la stagione della morte fosse la fine dell’estate o l’autunno. Alla base di tale conclusione la presenza di resti di prugnolo selvatico vicino alla mummia, un frutto che matura a fine estate. C’erano anche minuscoli pezzi di grano conficcati nei vestiti di Ötzi e si credeva che vi fossero finiti durante la trebbiatura. La fine dell’estate o l’autunno si adatterebbero anche all’interpretazione del canalone senza neve al momento della morte e all’interpretazione di Ötzi come pastore.”

Già nel 1993 l’ipotesi della morte a fine estate ha iniziato a vacillare, a seguito di un ritrovamento di polline di carpino nero in un campione dell’intestino di Ötzi. Polline che viene prodotto nei mesi di marzo e aprile nella valle di sua provenienza. Inoltre, la presenza di foglie fresche (contenenti clorofilla) di acero rinvenute in un contenitore di corteccia di betulla potrebbe indicare che il periodo in cui con maggiore probabilità morì fosse maggio/giugno. Un periodo in cui il canalone avrebbe dovuto essere ricolmo di neve.

L’ipotesi dei ricercatori è che sia morto sulla neve primaverile e sia dunque stato ricoperto da neve e ghiaccio in un primo momento. Ma in una successiva fase di disgelo, o più fasi, il corpo e l’attrezzatura sarebbero stati trascinati dalle acque nel canalone. Neve e ghiaccio ricoprirono poi il canalone, con formazione di un cosiddetto “campo di ghiaccio” immobile (e non un ghiacciaio in scivolamento continuo).

Nel corso di calde estati, per circa 1500 anni dopo la sua morte, corpo e artefatti furono probabilmente esposti nuovamente all’aria a più riprese. E probabilmente si ritrovarono anche per mesi immersi in acqua. Nel corso di tali cicli di gelo e disgelo è possibile che siano andati incontro a un parziale danneggiamento. Il corpo dell’Uomo del Similaun presenta uno stato di decomposizione maggiore nella parte superiore, in particolare la zona posteriore della testa, che nella parte inferiore. Se fosse andato incontro a un congelamento immediato e persistente lo avremmo trovato in condizioni ancor migliori.

Si spiegherebbe in tal modo lo stato di danneggiamento delle sue attrezzature, che dunque non è corretto ipotizzare che fossero già rotte in partenza. La riesposizione dei manufatti all’aria potrebbe spiegare anche perché alcuni oggetti siano stati trovati anche a 7 metri di distanza, spostati da vento e acque di fusione.

Ciò non esclude che si possa dare per buona l’idea di una morte violenta. Sulla spalla sinistra della mummia sono stati ritrovati tracce di sangue e una punta di freccia, elementi che hanno condotto all’ipotesi di uno scontro mortale. Semplicemente non va considerato il danneggiamento dell’attrezzatura come prova a supporto di tale tesi.

Ulteriore conferma del fatto che il sito del ritrovamento non sia da interpretarsi come una capsula del tempo, rimasta intatta per millenni, deriva dalla datazione al radiocarbonio di reperti ritrovati sotto il corpo di Ötzi, in uno strato di “ghiaccio sporco”, quali erba, sterco, muschio e altro materiale organico, risultati essere più giovani di lui, e dunque entrati nel canalone dopo la sua morte, nelle fasi di esposizione all’aria del sito.

Se il corpo di Ötzi e i relativi manufatti sono stati ripetutamente esposti nei 1500 anni successivi alla deposizione originale, perché sono ancora straordinariamente ben conservati?Stiamo iniziando a capire che la combinazione di un ambiente freddo e d’alta quota con un’esposizione stagionale intermittente e breve impedisce una rapida distruzione del materiale organico – spiega il team – . I reperti si deteriorano ma non è che se vengono esposti all’aria un anno, spariscono il successivo.”

Ad ogni modo, “quante volte si sono verificate tali esposizioni e quanto tempo sono durate è difficile da accertare sulla base delle prove disponibili”.

Niente di eccezionale

Chiarito dunque che Ötzi non sia giunto a noi protetto in una capsula del tempo glaciale ma abbia anzi affrontato cicli ripetuti di esposizione all’aria e nuova sepoltura nel ghiaccio, il team arriva ad affermare che, per quanto continui a rappresentare il più importante ritrovamento archeologico effettuato nel ghiaccio finora, non sia da considerarsi un caso eccezionale. Il suo stato di conservazione non è da considerarsi frutto di una sorta di miracolo, di condizioni fortunate, ma di normali processi naturali.

Nei passi vicini al sito di ritrovamento sono riaffiorati dai ghiacci reperti di materiale organico databili dal Neolitico all’epoca romana. Nulla esclude che, in conseguenza della progressiva e sempre più intensa fusione dei ghiacciai alpini, non emergano in ambienti caratterizzati da una topografia paragonabile a quelle del Tisenjoch pass, altri corpi risalenti all’epoca preistorica, “perché non serve una serie di circostanze speciali ad assicurarne una conservazione di tal genere”. Ad accrescere tale convinzione è il fatto che reperti provenienti da altri siti delle Alpi suggeriscano che i passi di montagna fossero nella Preistoria delle zone di confine e di conflitto tra gruppi.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close