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Il Club Alpino e il Governo Meloni: il presidente Montani fa il punto sui dossier da affrontare

Il quadro politico dell’Italia è cambiato. Dopo i Governi del centro-sinistra da Letta a Renzi e a Gentiloni, dopo i due Governi Conte, dopo i tecnici guidati da Mario Draghi, a Palazzo Chigi si è insediato il Governo di centro-destra (o destra-centro) guidato da Giorgia Meloni. Al suo interno Nello Musumeci, ex-Presidente della Regione Siciliana, è diventato il Ministro del Sud e del Mare.   

Molti appassionati di sci, escursionismo e alpinismo, e molti residenti dell’Appennino e delle Alpi, hanno salutato la notizia con la battuta “perché non c’è anche il Ministero della Montagna?” Il Club Alpino Italiano, una grande associazione nazionale che svolge compiti importanti per la comunità, dialoga e si confronta con tutte le forze politiche, e con chi governa a Roma, nelle Regioni e negli altri enti locali. Abbiamo chiesto ad Antonio Montani, che in questi giorni festeggia i suoi primi sei mesi come Presidente generale del CAI, di fare il punto sui rapporti con il nuovo Governo, e di presentarci i dossier attualmente sul tavolo. Ecco qui. 

Una delle novità del Governo Meloni è la presenza di un Ministero del Sud e del Mare. Lei ha pensato che sarebbe servito anche un Ministero della Montagna?

E’ una vecchia idea del CAI, lo abbiamo proposto anche ai Governi precedenti, ma non se n’è mai fatto niente.

A me sembra che chi governa l’Italia, a qualunque schieramento appartenga, ignori o sottovaluti l’importanza della montagna. E quindi anche il ruolo del CAI…

E’ così. Nei giorni scorsi sono stato invitato a Chianciano, in Toscana, agli Stati Generali del Turismo, dove la montagna e tutte le nostre attività sono state quasi completamente ignorate. Nel settore dell’outdoor, a parte il mio intervento, si è parlato di sci di pista e maestri, di caravan e campeggi, di ciclismo sulle strade asfaltate.

Di chi è la colpa se la montagna è ignorata? E cosa si può fare per rimediare?

Non so dire dei politici, ma certamente i funzionari e i dirigenti dei Ministeri ignorano il Club Alpino Italiano e la sua presenza capillare sul territorio. E’ anche colpa nostra, un po’ di autocritica ci vuole.

E dopo l’autocritica che si fa? Come si può uscire dall’angolo?

Ci vogliono numeri, informazioni precise da fornire ai nostri interlocutori. Quando dico che il CAI ha 715 rifugi molti restano a bocca aperta, e lo stesso accade se cito i nostri 300.000 soci.

La casa editrice Terra di Mezzo, che si occupa di Vie francigene e cammini, ogni anno presenta un rapporto sul mondo dell’escursionismo italiano. Parla solo dei “suoi” itinerari, ignora il CAI e i suoi sentieri. Ma lo fa con delle cifre precise, che vengono riprese da quotidiani e televisioni.

Penso che dovremmo fare lo stesso anche noi, facendo rete con tutte le realtà a noi vicine. Il problema è che i numeri del turismo sostenibile sono in gran parte delle stime. Invece per pesare sulle scelte del Governo e delle Regioni, ci vogliono dati precisi. Stiamo iniziando a lavorarci.    

Cosa vuol dire per lei “fare rete”?

Le faccio un esempio concreto. In primavera, quando sono stato eletto, ho annunciato di voler far riavvicinare le guide alpine e gli istruttori di alpinismo del CAI. Qualche giorno fa, a Genova, ho portato il presidente delle guide Martino Peterlongo al convegno degli istruttori nazionali. Abbiamo scoperto che sul 90% delle cose siamo d’accordo, e che del restante 10% si può discutere.

Con chi altro vi volete confrontare, per far pesare di più la montagna nelle scelte di chi ci governa?

Prima di tutto con chi in montagna lavora, dai gestori dei rifugi ai maestri di sci.

Questo ci porta a una questione annosa e dolorosa. La diatriba tra le guide ambientali da un lato e gli accompagnatori di media montagna e quindi le guide alpine dall’altro. Il CAI può fare qualcosa?

Il problema è molto serio, oggi c’è una “guerra tra poveri” che non fa bene a nessuno dei due, e invece gran parte dei problemi sono in comune. Mettersi in mezzo tra due litiganti è pericoloso, non posso promettere risultati concreti, ma posso mettere in campo l’autorevolezza del CAI. Promuoveremo un confronto, e sono certo che parteciperanno entrambe le parti.

Un’altra questione aperta è legata alla legge, entrata in vigore il 1° gennaio 2022, che impone l’obbligo di ARTVA, pala e sonda in tutte le attività su terreno innevato. La legge è troppo generica, il suo predecessore Vincenzo Torti ha scritto per chiedere a Valentina Vezzali, ex Sottosegretaria allo Sport, ma la risposta è stata puramente formale. Lei farà un altro tentativo?

Ho la massima stima di Torti, ma la logica dev’essere rovesciata. Non si può chiedere alla politica di spiegare una cosa del genere al CAI, dev’essere il CAI a spiegarla a chi governa. I nostri accompagnatori e i nostri istruttori sanno bene dove serve l’ARTVA e dove no, e sanno anche che indossarlo non serve a nulla se non si è capaci di usarlo. Il CAI deve andare per la sua strada, e decidere autonomamente dove l’ARTVA serve e dove no. Se poi arriveranno delle multe ingiustificate le contesteremo come CAI nazionale.

In questo c’è un aspetto identitario, un orgoglio di essere il CAI?

Sì, ma in questo campo mi sembra legittimo e logico. I nostri 6.000 titolati conoscono la montagna e la neve, gli accompagnatori di altre associazioni le conoscono meno di noi. Il CAI si deve distinguere per la qualità della sua proposta.

Per il Club Alpino sono importanti anche i rapporti con la Protezione Civile e con il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Come vanno le cose? Avete delle questioni importanti in agenda?

Tutto va bene, non ci sono discussioni o diatribe. Da mesi stiamo lavorando per rendere più facile da utilizzare Georesq, la app che consente di dare l’allarme e di essere soccorsi, anche per i frequentatori della montagna che arrivano in Italia dall’estero.

Mi può ricordare con quali Ministeri ha dei rapporti ufficiali il CAI?

Il Ministero del Turismo ha il compito di vigilare sul CAI, i rapporti sono buoni, e spero che con il nuovo Ministro Daniela Santanchè miglioreranno. Il rapporto con il Ministero dell’Ambiente era nato grazie a Sergio Costa, titolare del dicastero nel primo Governo Conte, ma poi si è fermato. Il Ministero dell’Istruzione ci riconosce come un ente fondamentale per la formazione.

Resta il Ministero dei Beni Culturali, ora ribattezzato della Cultura.

E’ vero. Con l’ex-MIBAC c’è un tavolo di confronto aperto, dobbiamo far capire anche a Roma che in Italia la cultura è anche cultura di montagna. Prossimamente ci impegneremo per rilanciare il Museo della Montagna di Torino, per far confluire al suo interno la Cineteca, per trasformarlo in un polo culturale di livello europeo. Al Ministro Franceschini il progetto piaceva, aspettiamo di sapere cosa ne pensa il suo successore Sangiuliano.

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2 Commenti

  1. Dall’intervista penso si possa dedurre che di tutte le attività che il cai promuove, forse, ma solo forse, quella turistica è un poco riconosciuta.
    Comunque direi che la “caccia” ad una buona “poltrona” politica sembri essere una priorità !
    L’Alpinismo ormai è uno sconosciuto.

  2. “…e sanno anche che indossarlo non serve a nulla se non si è capaci di usarlo.“
    Non mi sembra una dichiarazione da fare, poco rispettosa nei confronti dei soccorritori e dei loro famigliari. L’impegno globale dei soccorritori negli interventi in valanga e l’esposizione al rischio operativo sono molto diversi nella ricerca di persone con o senza artva. Ma questo non è un problema del CAI… prendo atto.
    Alla domanda come vanno le cose col Soccorso Alpino avrei preferito una risposta onesta: non ci parliamo, la dimostrazione è l’affermazione sugli artva…che addirittura è meglio non indossarli! Paradossale. Se potessi inviterei il Presidente a partecipare ad un operazione di soccorso in valanga, capirebbe ció che voglio dire nel giro di due minuti.
    Sarebbe stato meglio consigliare di indossarlo, di avere pala, sonda e di saperli utilizzare bene. Dopodichè, in mancanza di capacità di utilizzo, almeno indossarlo tutti e acceso…
    …così in caso di valanga qualche decina di minuti di lavoro, pochi soccorritori, finisce tutto e torniamo a casa prima, teniamo famiglia.

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