Fitz Roy. Colin Haley in solitaria invernale sulla Supercanaleta: “Un’esperienza molto intensa”
Colin Haley è tornato sulla Supercanaleta, capolavoro che sale lungo il canalone della parete ovest del Fitz Roy, realizzando lo scorso 19 settembre la prima solitaria invernale della via. Un ritorno, sì, perché la storia dell’americano sulla via aperta nel 1965 dagli argentini Carlos Comesaña e José Luis Fonrouge ha già tante pagine scritte: la sua prima ripetizione è del dicembre 2007 con Maxime Turgeon; la sua prima solitaria, la seconda della via (Dean Potter la sale da solo nel 2002), è del gennaio 2009; nel 2016, in cordata con Andy Wyatt, mette invece a segno la prima salita in giornata.
Il ritorno al Fitz Roy
“Avevo già percorso la Supercanaleta in solitaria nel 2009, quest’anno l’unico fattore aggiuntivo alle mie ambizioni era la stagione invernale – racconta Colin sul suo blog -. Tuttavia, in due precedenti viaggi a Chaltén nella stagione invernale mi sono reso conto che è un fattore che può fare una grande differenza, ma queste esperienze mi hanno aiutato a elaborare una buona strategia. Una delle maggiori difficoltà dell’arrampicata alpina in solitaria è che non si ha nessuno che dà una mano a portare il peso che normalmente viene condiviso tra due persone, e di conseguenza ci si ritrova a portare zaini molto pesanti. Questo aspetto è decisamente esacerbato in inverno, dal momento che bisogna portare anche l’abbigliamento e l’attrezzatura da bivacco necessari per sopravvivere comodamente in un ambiente invernale con temperature notturne solitamente attorno ai -20C. Così, dopo essere arrivato a El Chaltén la notte del 29 agosto, mi sono diretto in montagna già la mattina del 31 agosto per portare un carico di attrezzatura fino a Piedra Negra. Il 3 settembre ho approfittato di un’altra piccola tregua del tempo burrascoso per trasportarne altro e portare la maggior parte della mia attrezzatura fino al piccolo circo immediatamente sotto la Supercanaleta. Al ritorno da questo trasporto di carichi, sono sceso dal Paso del Cuadrado in una bufera di neve, alla luce della lampada frontale, guadando la neve profonda e polverosa, e la natura desolata della catena in inverno era particolarmente palpabile”.
Il primo tentativo e la decisione che sarebbe stato l’ultimo, per sempre
La neve, racconta ancora l’alpinista, non ha dato tregua per giorni. Il primo tentativo è avvenuto il 12 settembre, ma le condizioni secche con ghiaccio duro e fragile ne hanno rallentato nella salita mentre la finestra di tempo favorevole si stava chiudendo. “In estate, in una finestra di bel tempo, non sarebbe stato irragionevole proseguire da quel punto a quell’ora del giorno. Tuttavia, si prevedeva che il bel tempo sarebbe terminato bruscamente all’una di notte del 13 settembre e, con le temperature invernali, sapevo che non potevo rischiare di trovarmi in alto sul Fitz Roy con il brutto tempo. Era abbastanza chiaro che l’unica scelta ragionevole era quella di rinunciare. Non avevo fretta di calarmi nel canalone, visto che stava ricevendo il sole più forte della giornata, così ho passato 30 minuti a riflettere sulla vita, sull’arrampicata, sulle persone che amo, sulle solitarie, sull’ambizione, sul rischio e sul desiderio di rimanere vivo. Sentivo, come molte altre volte, che quello che stavo facendo era ridicolo, troppo stressante e spaventoso per essere piacevole. Già prima di preparare la prima calata, pensavo che sarebbe stato molto improbabile fare un altro tentativo. In effetti, ancora una volta, ho concluso che era giunto il momento di lasciarmi alle spalle l’alpinismo duro e solitario”. Un certo numero di calate dopo, accompagnate dal crollo di pietre che fortunatamente gli hanno causato solo lievi contusioni, Haley è nella sua tenda colpita dalla tempesta sempre più convinto che un secondo tentativo non sarebbe mai avvenuto. Il ritorno Piedra Fraile tra le raffiche di vento che lo facevano cadere in ginocchio sul ghiaccio e poi la pioggia torrenziale; sulle spalle lo zaino pesante con tutta l’attrezzatura da riportare a casa.
Il Fitz Roy e la Supercanaleta chiamano
Ma sappiamo bene come sono fatti gli alpinisti e che spesso, quando hanno un sogno, è difficile rinunciare. “Proprio il giorno dopo il ritorno in città, ho ricominciato a pensare alla Supercanaleta. Ho pensato a come migliorare la mia strategia e ho metabolizzato che non era poi così male lassù. Ben presto fu chiaro che stava per arrivare un altro periodo di bel tempo, anzi un periodo di bel tempo di gran lunga migliore. Dopo un paio di giorni dal ritorno in città iniziai a fare i bagagli e a pianificare un altro tentativo. Ero certamente frustrato per aver portato via tutto il mio equipaggiamento, dopo aver investito tanti sforzi all’inizio del viaggio per metterlo a posto”.
La mattina del 17 lo statunitense è già in direzione del Fitz Roy, che comincia a scalare il 19 mattina, nonostante le gambe stanche dall’avvicinamento nella neve profonda. “Sui 1000 metri di canalone inferiore fino al Bloque Empotrado le condizioni erano più o meno equivalenti a quelle precedenti” racconta Haley, che alle raggiunge il punto più alto toccato in precedenza. “Pur sentendomi ancora piuttosto intimidito, mi sentivo molto più sicuro di me rispetto al tentativo precedente. Inoltre, le previsioni indicavano che l’intera notte sarebbe stata tranquilla e potevo permettermi un ritmo lento. In questo tratto, inoltre, le condizioni erano più asciutte rispetto al passato, con un bel po’ di roccia nuda, e questo è stato sicuramente d’aiuto” racconta.
Alle 20 circa è fuori dalla sezione più difficile, ma non è finita. “Essere da solo sotto la cima del Fitz Roy, in inverno, al buio, è una sensazione assurda” confessa. Le cose però vanno meglio: “La salita è stata abbastanza facile, ma ha aumentato la tensione sapendo che avrei dovuto scendere su ghiaccio duro durante la discesa. Ho raggiunto la cima del Fitz Roy alle 21:23 e ho potuto vedere le luci di El Chaltén 3000 metri più in basso. Mi sono chiesto se qualcuno in città fosse fuori a prendere un po’ d’aria fresca e potesse vedere la mia lampada frontale a 3000 metri di altezza. Per tutto il giorno ero stato estremamente fortunato ad avere un vento quasi nullo, ma alla fine, sulla vetta, c’era una leggera brezza da nord. Mi sentivo estremamente ansioso per la discesa e ho iniziato a scendere solo un paio di minuti dopo essere arrivato in cima”.
Nonostante i grossi timori iniziali, la discesa non è stata dura come previsto. Il rientro alla tenda è avvenuto verso le 5:00 del 20 settembre “estremamente distrutto fisicamente, mentalmente e psicologicamente”. Dopo un po’ di meritato riposo, nel tardo pomeriggio del 20 Haley ha intrapreso il trekking di ritorno, la sua avventura è finita il 21 mattina.
Le riflessioni finali
“Al momento in cui scrivo, la sera del 22 settembre, mi sento ancora piuttosto stanco fisicamente per la salita, ancora un po’ privo di sonno e certamente ancora stordito dall’esperienza. Non c’è un tiro della Supercanaleta che sia estremamente difficile o pericoloso, ma la lunghezza della via, il fatto di dover rimanere in uno stato di iper-concentrazione senza sosta per 21,5 ore e il fatto di farlo nel freddo e nella solitudine dell’inverno l’hanno resa un’esperienza molto intensa” dice Colin tirando le somme della sua esperienza. “È difficile per me valutare o quantificare quanto sia stato più difficile rispetto al salire la via in solitaria in estate, nel 2009. Sicuramente è stato un passo avanti significativo, anche se nel 2009 le condizioni estive erano particolarmente sfavorevoli, e anche se questa volta ho avuto, credo, condizioni invernali abbastanza buone, e sicuramente del bel tempo. È anche difficile per me valutare, almeno nel mio stato di stanchezza, la posizione di questa salita tra le mie altre realizzazioni alpinistiche, o come questa salita sarà vista dagli altri. Spesso trovo che la reazione del pubblico alle varie imprese alpinistiche non sia molto correlata con la difficoltà effettiva dell’impresa. Al giorno d’oggi sembra che conti di più fare film piuttosto che fare salite difficili. In realtà non ha importanza. So che l’intensità della mia esperienza mi ha fatto sentire molto forte e non ho bisogno di un’affermazione esterna che me lo confermi”.