AlpinismoAlta quota

“Una spedizione che è stata un’avventura”. Ratti ci racconta l’estate in Pakistan tra le Torri Trango

“È una delle spedizioni più belle a cui ho partecipato”. Non ha dubbi Francesco Ratti, Guida alpina e Istruttore nazionale delle guide e atleta Millet, nel definire il progetto che l’ha portato insieme ad Alessandro Baù e Leonardo Gheza in Pakistan, nel gruppo delle Trango Towers. Quando l’avevamo intervistato prima della partenza, ci aveva raccontato che non si erano prefissati un obiettivo particolare (“Vogliamo solo sfruttare al meglio le 5 settimane del viaggio“). Risultato? L’apertura di Refrigerator Off-Width, una linea di oltre 500 metri nel mezzo della parete est dell’Uli Biaho Spire, con difficoltà fino a 7a/A2/M5. Ma non solo: “Grazie al meteo favorevole, siamo riusciti anche a scalare “quasi” due vie sulla Trango Tower, detta anche Nameless Tower, arrivando in cima il giorno prima di lasciare il campo base per rientrare in Italia“.

Il bilancio della spedizione pare molto positivo, quindi…

Questa è stata senz’altro una delle spedizioni più belle a cui ho partecipato, sotto tanti punti di vista. Innanzitutto avevo voglia di confrontarmi con un terreno molto tecnico ad alta quota, cosa che avevo già sperimentato l’autunno scorso in Nepal ma in un contesto di arrampicata su terreno misto, mentre qua le grosse difficoltà le abbiamo incontrate prevalentemente in arrampicata su roccia. Poi c’era anche la novità della squadra: anche se io conoscevo bene sia Alessandro che Leo, in realtà non avevamo mai veramente scalato tutti e tre insieme e quindi c’era un po’ l’incognita di capire come avremmo “funzionato” tutti e tre insieme. A tutto questo c’erano poi da aggiungere le varie problematiche tipiche di una spedizione classica: organizzazione logistica, definizione degli obiettivi e soprattutto la variabile del meteo da cui dipende tantissimo la riuscita o meno di qualsiasi progetto in quota.

E com’è andata?

Alla fine tutto è andato alla grande: l’esperienza su questo tipo di terreno è stata davvero fantastica, ho imparato molto e mi sono divertito tantissimo. Il team ha funzionato alla perfezione: ci siamo subito sentiti in sintonia insieme e siamo sempre stati allineati su piani e priorità, cosa non sempre evidente in situazioni difficili. Infine, grazie anche a un meteo favorevole, siamo riusciti ad aprire Refrigerator Off-Width, una nuova via sulla parete est dell’Uli Biaho Spire (che era il nostro principale obiettivo) e anche a scalare “quasi” due vie sulla Trango Tower (detta anche Nameless Tower), arrivando in cima il giorno prima di lasciare il campo base per rientrare in Italia. Poi la ciliegina sulla torta è stata anche la presenza di Ettore Zorzini, che ha documentato con professionalità tutta la spedizione e, grazie alla sua grande abilità col drone, è riuscito ad immortalarci anche con immagini in parete davvero molto belle! Direi che più di così non avrei potuto immaginare, alla vigilia della partenza.

Com’è nata Refrigerator Off-Width?

Refrigerator è una linea fantastica che segue il grande diedro nel mezzo della parete est dell’Uli Biaho Spire. La linea l’abbiamo individuata osservando le foto delle pareti nella zona delle Torri di Trango e analizzando le possibili linee “vergini” potenzialmente apribili. La parete est dell’Uli Biaho Spire ha subito attratto la nostra attenzione, perché su di essa era presente un solo itinerario sul lato sinistro della parete. Incredibilmente, però, il grande diedro nel centro della parete rimaneva inesplorato, quindi ha subito attratto la nostra attenzione. Al nostro arrivo al campo base e osservando la parete dal vivo ci siamo sempre più convinti che quello doveva essere il nostro obiettivo primario e, dopo l’acclimatamento e un veloce tentativo su Eternal Flame durante una parentesi di tempo non perfetto, ci siamo subito lanciati su questa parete.

Una bella avventura già l’avvicinamento…

Alla vigilia immaginavamo che in un paio d’ore saremmo stati all’attacco della via. Dopo aver salito un canale faticoso, e a tratti anche abbastanza pericoloso, pensavamo di essere arrivati ad una selletta da dove, in breve, avremmo potuto attraversare fino alla base della parete. In realtà l’attraversamento della sezione di misto e la risalita del pendio ghiacciato fino alla base della parete ci ha dato non poco filo da torcere e ci ha richiesto praticamente una giornata di sforzi! Poi un’altra giornata è andata via aprendo i primi due tiri della via: questi due tiri ci hanno impegnato molto perché si trovano su roccia assai compatta, che ha richiesto molto tempo e tecniche di scalata artificiale per essere superata. Per questo, una volta superati anche questi due primi tiri, arrivati finalmente al grande diedro della parete siamo stati costretti a rientrare al campo base per fare rifornimenti e recuperare un po’ di forze. Per fortuna la finestra di bel tempo era bella lunga e abbiamo avuto il tempo di tornare in parete e continuare la via.

Poi avete dovuto affrontare il grande diedro…

Per tutta la sua lunghezza questo diedro presenta una fessura davvero larga e molto faticosa da salire. In più, proprio da questa fessura off-width che sembrava infinita usciva un’aria gelida proveniente da dentro la montagna che ci ha fatto davvero soffrire un gran freddo, soprattutto a chi stava in sosta ad assicurare chi scalava. Da qui è nato il nome della via! Dopo il bivacco abbiamo poi deviato a sinistra lungo un sistema di fessure più facilmente proteggibili, che però ci ha ancora riservato delle belle sorprese prima di arrivare a prendere il sole in cima all’Uli Biaho Spire.

Un bel risultato! Quali aspetti della spedizione ti sono rimasti più impressi?

Diciamo che tutta la spedizione è stata un’avventura, dall’avvicinamento, alle salite, fino al rientro davvero faticoso con i ponti crollati lungo la strada a causa delle improvvise piene dovute al caldo anomalo anche in quella parte del mondo. La cosa più bella è stato il continuo buon umore che regnava nella squadra, che ci permetteva di scherzare sempre su qualsiasi cosa. Al campo base poi avevamo un cuoco e un aiuto cuoco davvero eccezionali: con i pochi mezzi che avevano lì, in quel posto sperduto, riuscivano a proporci sempre piatti super buoni. Tutte le mattine ci accoglievano in tenda mensa, salutandoci con un “good morning sir!” un po’ cantato nel loro accento pakistano, che ci è rimasto talmente impresso che siamo andati avanti per un bel po’ a salutarci anche tra noi in quel modo…

Adesso che hai ripreso la tua attività di guida del Cervino, com’è la situazione anche in seguito alle settimane in cui la normale italiana è stata chiusa?

Al mio rientro ho ripreso regolarmente la mia attività di guida alpina. Fortunatamente la nostra attività non si riduce solo al Cervino e alla salita della Cresta del Leone, quindi ho potuto lavorare senza problemi su altri itinerari. Ovviamente, a causa di questo caldo anomalo, le condizioni in alta montagna erano delicate non solo sul Cervino ma anche su altre montagne e i ghiacciai in generale hanno sofferto molto. Scegliendo le salite giuste siamo riusciti comunque a poter far godere ai nostri clienti delle belle giornate in montagna. È però chiaro che il problema del riscaldamento globale deve diventare una priorità per la nostra società, non solo per le montagne ma per tutto l’ecosistema ovviamente. Da pochi giorni, con l’abbassarsi delle temperature anche la Cresta del Leone (la via normale italiana al Cervino) è stata riaperta e quindi si potrà riprendere ad accompagnare gli appassionati anche su questo stupendo itinerario.

Hai già all’orizzonte qualche altro progetto?

Al momento mi godo le montagne di casa senza pensare troppo al futuro, però nel cassetto ci sono ancora tanti sogni. Mi piacerebbe tornare in Patagonia e magari poi andare in qualche zona del mondo in cui non sono ancora stato. Per il momento, però, sono solo idee, niente di concreto.

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