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I Carabinieri tra le montagne della Guerra Bianca contro i saccheggi dei reperti storici

Nei giorni scorsi i Carabinieri del Nucleo per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) di Udine -in collaborazione con il 3° Raggruppamento Aeromobili di Bolzano, l’Arma Territoriale e con l’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento – hanno realizzato un’operazione di perlustrazione allo scopo di prevenire e reprimere i reati commessi ai danni del patrimonio culturale afferente alla Guerra Bianca e ai reperti archeologici in area montana.

Il sorvolo in elicottero ha interessato l’area tra la Cima Trafoi (3553 m), il Cevedale (3378 m), il Vioz (3644 m), la Punta S. Matteo (3692 m), Crozzon di Lares (3354 m) e Corno di Cavento (3402 m). Lì durante la Prima guerra mondiale i soldati italiani e austro-ungarici combatterono trasformando queste le montagne in scenari di guerra dove vennero costruite strade, gallerie e ponti, con mascheramenti per nascondere i movimenti di truppe e rifornimenti. Vennero scavati ripari nel ghiaccio sull’Adamello e sulla Marmolada, dove fu costruita la “Città di ghiaccio”, comprendente 8 chilometri di gallerie, ricoveri e depositi. Furono impiegati treni e camion, teleferiche e decauville. Nelle retrovie si realizzarono magazzini, depositi, baracche e alloggiamenti per le truppe, cucine e ospedali da campo. A modificare queste montagne anche i bombardamenti, le cui tracce sono facilmente riscontrabili anche oggi, a distanza di più di un secolo. Ma si trattò anche di guerra dell’uomo contro la natura: si stima che le valanghe, nell’inverno 1916-17, uccisero non meno di 10.000 uomini.

Tutto ciò è di estremo interesse storico e viene studiato dalla “archeologia glaciale”, una specialità che mira alla salvaguardia di manufatti e resti antropici in alta quota (sopra i 3.000 m) e che indaga la relazione tra la variabilità del clima e l’intensità dell’uso umano dei paesaggi alpini.

Durante il sorvolo si è data particolare attenzione all’area dove recentemente sono stati recuperati dodici corpi scheletrizzati rinvenuti in una fossa comune sopra il Passo del Tonale da parte dell’Ufficio beni archeologici della Soprintendenza per i beni culturali della Provincia autonoma di Trento.

L’attività di controllo si è conclusa senza che venissero rilevate particolari criticità, se non quelle già note riguardanti le evidenti tracce che la sconsiderata attività di ricerca, danneggiamento e furto lasciano come nel caso della baracca del Monte Cevedale, come si vede dalle immagini scattate dai Carabinieri operanti. Il monitoraggio congiunto in quota proseguirà fino a che la bella stagione lo consentirà.

Il fenomeno dei “recuperanti”

In queste aree, proprio per la grande quantità di reperti che emergono dai ghiacci che si stanno ritirando, si è affermato il fenomeno dei cosiddetti “recuperanti”, appassionati della Grande Guerra, che si armano di strumenti, come i metal detector, per rinvenire nel terreno oggetti che appartengono a quella vicende storiche.

Bisogna però fare attenzione alla legge. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che recepisce la normativa nazionale di settore (L. n° 78 del 7 marzo 2001, “Tutela del patrimonio storico della prima guerra mondiale”), passando attraverso la Legge provinciale 17 febbraio 2003, n. 1, stabilisce regole precise per il recupero da parte di privati di tali reperti. 

La raccolta e la ricerca di beni mobili di questa natura è consentita, purché si tratti di reperti e cimeli individuabili a vista o affioranti dal suolo (la legge vieta esplicitamente il distacco e l’appropriazione d’iscrizioni e cippi della Grande Guerra); lo scavo è assolutamente vietato; l’attività deve inoltre essere svolta al di fuori di “aree archeologiche” e nei siti individuati quali “cimiteri di guerra”.

Inoltre, chiunque rinvenga o possieda reperti mobili o cimeli relativi al fronte terrestre della Prima Guerra Mondiale “di notevole valore storico o documentario” deve darne comunicazione al Comune del luogo della raccolta; in caso contrario si realizza il reato previsto dall’art. 518-bis (furto di beni culturali).

Poiché si parla di aree dove si sono svolti combattimenti, bisogna tenere conto che i reperti non derogano alle responsabilità in materia di detenzione di materiale bellico o esplosivo.

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