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Vette proibite. 5 montagne sulle quali è vietato salire

Esistono montagne sul nostro Pianeta che possiamo solo sognare di scalare. E non stiamo parlando di ascese al di là dei nostri limiti fisici personali ma di effettivi divieti assoluti di salita imposti dai Governi locali, per ragioni generalmente legate a tradizione e religione. Montagne sacre dunque, da guardare e non toccare. Oggi vi accompagneremo in un viaggio tra 3 continenti, alla scoperta di 5 vette off limits.

Shiprock

Partiamo dal continente americano, con lo Shiprock o Shiprock Pinnacle, una formazione rocciosa molto particolare che raggiunge quota 2.188 m, innalzandosi nel deserto del New Mexico (USA). In lingua Navajo una simile struttura viene definita Monadnock, ovvero un rilievo che si innalza in una pianura. Shiprock è il nome attribuito alla formazione dai coloni europei, che videro in essa una sorta di clipper, una nave a vela, mentre il nome tradizionale attribuito dai Navajo è Tse Bitai, la “roccia alata”. Le leggende ad essa legata sono molteplici. Il mito popolare connesso al nome Tse Bitai narra che la roccia fosse un tempo un grande uccello che avrebbe portato in salvo gli antenati dei Navajo, in fuga da una tribù bellicosa, dal Nord al New Mexico. In risposta alle preghiere degli sciamani, il terreno sotto i loro piedi si sollevò a formare un enorme uccello che portò così sulle sue spalle la popolazione fino alla sede attuale dello Shiprock, dove si ritrasformò in roccia. C’è chi sostiene che ancora oggi da alcune angolazioni sia possibile scorgere le sembianze di un volatile. Fin dall’antichità il pinnacolo è stato meta di pellegrinaggi. Nel 1939 ne fu realizzata la prima salita ufficiale, oggi non più possibile in quanto vige un divieto assoluto di ascesa, introdotto nel 1970 per rispetto di un luogo sacro ai Navajo.

Uluru

Dall’America facciamo un salto in Oceania, alla scoperta di un altro luogo avvolto dalla leggenda: il massiccio di Uluru o Ayers Rock, in Australia. Il suggestivo monolite di arenaria rossa si trova all’interno del Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta e la sua scalata è interdetta dal 2019 per rispetto delle tradizioni delle tribù aborigene “Anangu”, per le quali il luogo è sacro. Secondo la tradizione degli aborigeni, la zona di Uluru era un tempo abitata da uomini sacri. Inoltre alla località è legato il mito della Lucertola rossa, Tatji, che si dice abitasse le pianure circostanti e, arrivata al monolite, lanciò in aria il suo boomerang, che si andò a conficcare nella roccia, scomparendo. La lucertola iniziò a cercarlo, scavando nell’arenaria i buchi visibili ancora  oggi (che sono in realtà frutto di erosione). Questo è uno dei pochi racconti noti ai non aborigeni ma la tradizione Anungu è ricca di aneddoti su creature ancestrali vissute a Ayers Rock, racconti trasmissibili solo tra aborigeni. Pochi sanno inoltre che ciò che vediamo del monolite è solo “la punta dell’iceberg”, 380 metri di formazione rocciosa, che si estende per 7 km sottoterra.

Kailash

Il viaggio prosegue in Asia, dove si concentra il più alto numero di vette vietate agli alpinisti. Iniziamo dal Tibet occidentale, con il Kailash, montagna sacra per buddhisti, induisti, bön (la più antica religione del Tibet) e giainisti. Venerata da un quinto della popolazione  mondiale, è di fatto considerata la montagna più sacra del Pianeta. Dalle sue pendici nascono 4 fiumi tra i più importanti dell’Asia: l’Indo, il Brahmaputra, il Sutlej e il Karnali (uno dei più grandi affluenti del Gange). Kailash deriva dal sanscrito kelasa, che significa cristallo. Secondo il testo sacro dell’induismo, il Purana, i suoi versanti sarebbero fatti di cristallo e pietre preziose. Raggiungerne la vetta (6638 metri) è vietato. Sarebbe infatti come raggiungere le porte del paradiso. Solo la vetta è vietata all’uomo. La montagna è da secoli meta di pellegrinaggi induisti e buddhisti. Il kora, l’itinerario per i pellegrini, si sviluppa ad anello attorno al Kailash, per circa 50 km ed è piuttosto impegnativo. Il kora viene effettuato in senso orario da induisti e buddhisti e in senso antiorario dai bön. Per non urtare la sensibilità dei fedeli lo stesso Reinhold Messner, invitato dal Governo cinese nel 1980 a compiere il kora e, volendo, salire anche in vetta, rifiutò di violarne la cima.

Machapuchare

Tra le vette sacre del Nepal troviamo il Machapuchare (6993 m), nel massiccio dell’Annapurna. La montagna si erge di fronte alla città di Pokhara e il suo nome significa coda di pesce, in virtù della doppia cima. Ma è anche nota come “Cervino del Nepal”. Venerata in particolare dagli induisti, è considerata la dimora del dio Shiva. In termini ufficiali, risulterebbe inviolata. Unico tentativo documentato di ascesa risale al 1957, ad opera dell’inglese Wilfrid Noyce, che per rispetto delle tradizioni, si fermò a 50 metri dalla vetta. Sulla montagna è interdetta l’attività alpinistica.

Gangkhar Puensum

Il Monte Gangkhar Puensum si trova invece al confine tra Bhutan e Cina. La vetta principale, che ricade entro i confini del Bhutan,  raggiunge i 7570 m, e non è mai stata raggiunta. L’ascesa è interdetta dal Governo del Bhutan per ragioni di carattere spirituale. Fino al 1983 non era consentito in maniera più ampia di svolgere attività alpinistica nel Paese. A seguito di una momentanea apertura di vedute, con abolizione di tale divieto nel 1983, il Gangkhar Puensum è divenuto oggetto di interesse e la sua salita è stata tentata tra il 1985 e il 1986 da varie spedizioni, senza successo. Nel 1994 è scattato il divieto di salita su vette al di sopra dei 6000 metri, per rispetto degli spiriti che popolano le alte quote. Nel 2003 si è tornati nuovamente a vietare del tutto l’alpinismo. Una vetta secondaria della montagna, che ricade in territorio tibetano, è stata raggiunta nel 1998 da un team giapponese, passando naturalmente dal versante tibetano.

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2 Commenti

  1. Purtroppo e senza ragioni spirituali, ne scenitifiche, ma solo ideologiche, almeno la metà delle montagne del Parco Nazionale d’Abruzzo sono vietate a causa delle decisioni paranoiche di chi gestisce l Ente parco. E ancora purtroppo, senza che nessuno contesti l’assurdità dei divieti, CAI compreso. Semmai tali politiche dovessero propagarsi in modo epidemico nel resto dei parchi italiano dovremmo dire addio all’escursionismo, all’alpinismo e a tutte le altre attività di montagna. Una vera tragedia per accontentare i nostrani ecologisti da divano.

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