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Jordan Women’s Everest Expedition, la curiosa storia di un tentativo

Mio figlio Giacomo, che si occupa di studi mediorientali, mi ha inviato il link a una storia davvero curiosa: la prima spedizione tutta femminile giordana all’Everest. Se non ne avete mai sentito parlare, i motivi sono semplici: la spedizione non era davvero tutta femminile, tanto che il suo ideatore era un uomo (ma è una contraddizione veniale, venendo da un Paese ancora fortemente patriarcale), e soprattutto non è mai arrivata in cima. La notizia era stata data con grande enfasi da The Jordan Times e se ne trova traccia in un video promozionale su YouTube, trailer di un film peraltro mai realizzato.

Curiosi sono i protagonisti della storia, a partire proprio dal capospedizione, Mostafa Salameh, oggi un simpatico cinquantenne dalla testa tonda, folgorato dall’alpinismo a 34 anni, mentre lavorava come food & beverage manager in un hotel scozzese. Un fisicaccio, si direbbe dalle nostre parti, perché pur privo di ogni esperienza, Salameh tra il 2008 e il 2012 non solo ha completato le Seven Summit, ma ha anche raggiunto Polo Sud e Polo Nord. Per gli appassionati di questo genere di record, la corsa si chiama Explorers Grand Slam, e sono appena una settantina di persone al mondo ad averla completata. La salita di Salameh all’Everest è avvenuta nel 2008, il 25 maggio che è anche la festa dell’indipendenza giordana. Va da sé che il nostro è stato coperto di onorificenze dalla sua patria, ha scritto un libro, è andato in televisione eccetera eccetera.

First all-female?

Nel 2015, in cerca di nuove emozioni, Salameh ha avuto un sogno: “Ho visto” sue testuali parole “Imam Al Majali vestita di bianco sulla cima dell’Everest”. La Majali è una delle più instagrammate modelle e influencer della Giordania. Insomma, è come se qualcuno di noi sognasse di portarsi sul Tetto del Mondo la Chiara Ferragni. Da quell’immagine profetica, nasce nel 2017 il RISE, first all-female team di tutto il Medio Oriente a tentare l’impresa himalayana. Lo scouting di Salameh ha messo insieme un gruppo di cinque donne, tre modelle, un’architetta-designer (Abeer Seikaly, è famosa anche all’estero) e una donna medico: il fatto che nessuna di queste sia mai salita oltre i mille metri non lo preoccupa. Fortissime continuano a essere le sue motivazioni: “Tra i 4000 summiters dell’Everest, ci sono solo due donne arabe, e nessuna giordana” dichiara alla stampa, e ancora dice “il mio team spera di essere di ispirazione per la gente di tutto il Medio Oriente, perché cambi la percezione che i media globali hanno delle donne arabe, come di una categoria oppressa e inferiore. Ancora una volta, è lui, maschio, a capo di tutto, ma ciò non lo turba.

Come da pronostici, le cinque giordane falliscono e di RISE si perde ogni traccia. Il trailer dimostra che si sono portate comunque fino al campo base e forse anche sull’Ice Fall, nel giugno 2017, come allenamento per l’exploit previsto per l’anno seguente. Le si vede con i ramponi sulle scalette di alluminio, o allenarsi alla piolet traction sui primi seracchi. Dai loro movimenti, sembra di vedere Samy Diakhaté, il personaggio protagonista del film L’Ascension, alle prese con la piccozza: solo che lui, scalatore altrettanto improbabile, sulla cima ci è arrivato davvero.

Vogliamo proprio trarre una morale da questa remota storiella mediorentale? Primo: l’Everest è ormai una passerella consunta per chiunque sia in cerca di celebrità. Secondo: i movimenti di liberazione femminile nascono dalle donne, e ogni alternativa non porta da nessuna parte. Tanto meno in cima all’Everest.

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