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Buzzati ha mai scritto di castagne?

In Cordata

Un nuovo blog sulla montagna? Dio ce ne scampi! Sapete, non sono un appassionato del genere, il bla bla dell’alpinismo intendo, e ho smesso di sviscerare di passaggi, materiali, Etica (con la maiuscola) alpinistica quando al potere c’era ancora Gorbaciov. Quindi niente blog.

E allora, che ci fai qui? Sono qui, mi verrebbe da dire, perché mi piacciono le castagne. Tanto quanto mi piace l’alpinismo, quello praticato in silenzio per il gusto di farlo. Mi spiego.

Quando mi hanno chiesto di contribuire con una rubrica su Montagna.tv, in qualità di direttore di Meridiani Montagne, mi sono venuti in mente mille soggetti di cui parlare. Record, competizioni, 9b/c? No, robette di contorno. Magari un po’ frivole, come le castagne appunto, e quel paesello nel Casentino che ha rischiato di perdere la sua preziosa produzione di maròn a causa dei perfidi industriali del Nord. Tantissime cose mi sono venute in mente, che stanno alla periferia dell’alpinismo. Ma hanno a che fare con la vita, la gente, la storia, la cultura (minuscola) della montagna.

Benissimo, ho risposto allora con entusiasmo, iniziamo questa rubrica! E prometto che parlerò di alpinismo, o meglio di alpinismi, a partire dal suo occhiello: In cordata. Ma dal punto di vista delle castagne, cioè tutte quelle piccole e grandi cose che compongono il mondo della montagna, la montagna vissuta e la montagna sognata.

A proposito di sogni, c’è appena stato un anniversario che è passato un po’ sotto silenzio, forse perché siamo tutti impegnati in cose più preoccupanti tipo la pandemia o la guerra. Il 28 gennaio di cinquant’anni fa moriva a Milano Dino Buzzati. Altri, al nome di Buzzati, pensano subito al Deserto dei tartari, al grande giornalista, allo scrittore del mistero. Io invece lo associo sempre a due cose. A quel quadro che si intitola Piazza del Duomo di Milano, in cui le guglie della cattedrale si trasformano in campanili dolomitici che spuntano da un verde pascolo: è il suo dipinto più famoso, del 1952. E a un passo del suo primo romanzo (del 1933), Bàrnabo delle montagne, laddove si decide di seppellire Del Colle in un buco di roccia “proprio in cima alle ghiaie”, e il corteo col feretro si incammina per il ripido canalone. “I sassi rotolano rimbombando ma nessuno apre bocca per parlare”. Il rumore dei sassi che rotolano nella nebbia è reso in modo magistrale anche in una delle scene iniziali del film di Mario Brenta, tratto dal romanzo. Per me, Buzzati è distillato in queste due immagini. Pura nostalgia.

Era un grande pittore, Buzzati? Era un grande alpinista? I critici d’arte storcono il naso e gli accademici del Cai, a cui lo scrittore era associato per meriti più letterari che alpinistici, pure loro lo storcono. Pittore e alpinista avrebbe voluto esserlo, così si immaginava nelle sue inquiete ambizioni. Tutto per non ammettere la propria autentica identità. Di Grande Scrittore. Anzi, di Grande Scrittore Nostalgico. Guardate quel quadro, e lo struggente desiderio che la città per magia diventi montagna. Ascoltate quel rotolio di sassi, e il fruscio del vento sulle crode: un attimo incantato, che il frastuono della metropoli spazza via.

Buzzati milanese d’adozione con la Schiara nel cuore, vive l’infinita nostalgia delle montagne, che riecheggiano nelle sue pagine anche quando sono assenti, e quell’assenza è il motore della nostalgia. Dei tanti articoli dedicati alla montagna, non è un caso che due dei più belli parlino di questo. Quello del 1953, scritto in occasione della conquista dell’Everest, in cui Buzzati rimpiange la perduta sacralità del trono degli dei: “Era l’ultima occasione della nostra fantasia, la superstite rocca dell’ignoto, il residuo frammento d’impossibile (…) Oggi l’incanto è rotto, oggi siamo sicuri che la cima favolosa sia fatta come tante altre, che non vi abitano gli dei della montagna”. E quello mestissimo del 1966, dove il vecchio scrittore si strugge per le montagne dell’infanzia: “O Pale di San Martino, o vecchia, o patria! In automobile io risalgo la valle e vi guardo, la mia giovinezza è lassù. E non è rimasto più niente”.

Buzzati continua a incantare, a mezzo secolo dalla scomparsa. Come ha scritto lui di alpinismo, citando raramente o mai il sesto grado, nessun altro l’ha fatto. Nessuno quanto lui sa risvegliare in noi il sentimento puro della nostalgia.  Se avete voglia di rileggerlo, vi consiglio i due volumi I fuorilegge della montagna (a cura di Lorenzo Viganò, Mondadori) che raccolgono tutte le sue cronache alpine. A me rimane un dubbio: Buzzati ha mai scritto di castagne? Stando a Google, sui cui accoppio i due nomi, no. L’unico riferimento è nella fiaba illustrata La famosa invasione degli orsi in Sicilia, in cui si racconta che i plantigradi “se ne stavano nelle caverne, mangiando le castagne, i funghi e le bacche…”. Mi devo accontentare di questo, forse a Buzzati le castagne non piacevano. Però mi impegno a tornare, prossimamente, sull’argomento. E vi racconterò dei maròn del Casentino…

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