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La storia di Joseph Zumstein e della lettera che salvò lo stambecco dall’estinzione

Il Parco Nazionale del Gran Paradiso festeggia oggi 99 anni. Il primo Parco Nazionale d’Italia veniva infatti istituito il 3 dicembre 1922. E mentre inizia il conto alla rovescia per il suo centenario, vogliamo raccontarvi una storia legata alla nascita del Parco e al suo animale simbolo, lo stambecco delle Alpi.

Una specie quasi estinta

La specie (Capra ibex ibex) ha rischiato sulle Alpi l’estinzione nel XIX secolo. La ragione? Come nel caso del lupo: il difffondersi della caccia con armi da fuoco. Ne rimasero un centinaio di esemplari , in quelle valli che oggi rientrano nel PNGP. Grazie a programmi di protezione e reintroduzione (anche in altre aree alpine, come le Orobie), oggi la popolazione è in espansione e sull’arco alpino si stima la presenza di oltre 50.000 esemplari. Ma chi e quando ha invertito la rotta?

Joseph Zumstein, il “salvatore” degli stambecchi

Nel marzo 1820, un tale Joseph Zumstein De La Pierre inviò alla Reale Accademia delle Scienze di Torino una lunga missiva in cui evidenziava quanto la popolazione di stambecco alpino stesse diminuendo nel tempo in maniera significativa, suggerendo di proibirne la caccia. Ma chi era questo Zumstein e perché tutto questo interesse per gli stambecchi?

Nato a Gressoney-Saint-Jean il 24 marzo 1783, era un appassionato alpinista, ma anche un naturalista, nonché ispettore forestale in Valsesia e membro della comunità walser della valle del Lys. Era inoltre corrispondente della Reale Accademia delle Scienze di Torino e membro dell‘Istituto ducale per la caccia e la gestione forestale di Sassonia Gotha – Meiningen. Per citare la sua maggiore impresa alpinistica, fu uno dei membri della spedizione che realizzò la prima ascesa di Punta Zumstein (4.563 metri), la terza vetta del Monte Rosa.

La lettera inviata all’Accademia si fondava dunque sulle sue competenze da naturalista. E difatti i destinatari, coscienti di avere di fronte un esperto in grado di parlare con cognizione di causa, lessero con impegno le sue parole.

“Tutta la sua specie è vicina all’estinzione, se ne trovano ancora solo più sui più impervi ghiacciai della valle di Cogne, che è inserita nella Valle d’Aosta. Secondo le mie pluriennali osservazioni, possono ancora esserci in tutta Europa trenta, quaranta esemplari, facilmente si calcola questa cifra, poiché abitano solo in piccoli cerchi dei ghiacciai e all’infuori di questi non se ne incontrano da nessuna parte. Orgoglioso che il mio paese solo ancora possegga questo raro tesoro, avverto con devoto rispetto di prendersi cura di questi animali e di voler drasticamente proibire la loro caccia mediante un severo divieto, scriveva Zumstein.

Piccola nota: la lettera fu redatta in tedesco. Abbastanza singolare come scelta, considerando che i destinatari torinesi utilizzassero come lingua madre l’italiano. Probabilmente l’intento del naturalista fu di far comprendere all’Accademia che la medesima lettera sarebbe stata portata a conoscenza del mondo accademico e scientifico di lingua tedesca. Un po’ come per dire “se non agite voi, chiederò a loro”. Certamente non fu soltanto per questo giochetto d’astuzia ma in ogni caso l’appello fu accolto.

1821. Viene istituita la Riserva Reale di Caccia

Nel 1821 venne emanato un provvedimento di protezione dello stambecco in tutto il territorio dello Stato sabaudo. Nel preambolo delle regie patenti a firma del luogotenente generale Ignazio Thaon di Revel, vicerè sotto Carlo Felice di Savoia, si legge “l’utilità della scienza de’ naturali, ed in particolare della zoologia, esige che con ogni maggior cura si conservino le specie di quegli animali, che trovandosi ridotte a piccol numero d’individui, corrono rischio d’annientarsi. Tale appunto né regii Stati è la specie dello Stambecco, ordiniamo quanto segue: rimane fin d’ora proibita in qualsivoglia parte dei regi domini la caccia agli stambecchi”.

In sostanza con le regie patenti, il re proibiva la caccia allo stambecco a tutti. Tranne che a se stesso.

1856. Nasce la Riserva Reale del Gran Paradiso

Nel 1856 Vittorio Emanuele II istituì la Riserva reale del Gran Paradiso. Fra il 1860 e il 1900 furono realizzati 325 chilometri di mulattiere che collegavano fra loro cinque “reali casine di caccia”, poste a 2000-2200 m di quota. Anche in questo caso, la caccia allo stambecco diventava dunque un lusso reale.

I successori, Umberto I e Vittorio Emanuele III, intrapresero lunghe campagne di caccia reale all’interno della riserva. L’ultima si svolse nel 1913. Ma nel 1919 Vittorio Emanuele III decise di cedere allo Stato i territori di sua proprietà, ponendo come condizione che fossero convertiti in Parco Nazionale.

1922. La Riserva Reale diventa Parco Nazionale

Il 3 dicembre del 1922 la Riserva Reale dei Savoia divenne ufficialmente Parco Nazionale del Gran Paradiso, a distanza di un secolo dall’invio della audace lettera a firma di Joseph Zumstein.

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