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Mari di nubi: come si formano e perché proprio in autunno?

L’autunno è una stagione di transizione in cui in montagna cambiano i colori, con la comparsa delle sfumature del fall foliage, e inizia a verificarsi un fenomeno particolare, generalmente assente nella stagione estiva: stiamo parlando della formazione dei suggestivi mari di nubi. Bianche distese che possiamo ammirare nelle prime ore del giorno a mo’ di soffice coperta al di sopra dei fondovalle, che rappresentano anche uno dei soggetti fotografici più amati della stagione autunnale. Ma come si formano i mari di nubi e perché proprio in autunno? A fornirci una risposta è il meteorologo Filippo Thiery.

Può spiegarci come si formano i mari di nubi?

“Alla base della formazione del cosiddetto mare di nubi vi è l’inversione termica, un fenomeno legato al raffreddamento notturno. Al calare della temperatura, l’aria si raffredda e diventa più densa, quindi più pesante, e per gravità tende a scendere lungo i pendii e a ristagnare nelle parti orograficamente depresse.”

E perché li vediamo comparire proprio in autunno?

“L’inversione termica ha luogo quando le temperature notturne risultano fredde. A partire quindi dall’autunno ma in maniera non esclusiva. Si può infatti verificare anche in inverno. Al contrario, in estate non possiamo mai dire che di notte faccia freddo, al massimo che faccia meno caldo che di giorno, e l’aria non ha modo di raffreddarsi abbastanza da generare il fenomeno.”

Cosa si intende per “parti orograficamente depresse”?

“Zone circondate da rilievi più alti. A grande scala la Pianura Padana è un esempio tra i più famosi al mondo per la formazione della nebbia, che qui si genera proprio perché circondata dai contrafforti alpini e appenninici. A scala più piccola ci riferiamo a una conca, una valle o un altopiano, come nel caso dei grandi altopiani abruzzesi, ma anche del Veneto o dell’Umbria. Nel corso della notte, in particolare all’alba, quando si registrano le temperature minime di tutto il ciclo giornaliero, in queste zone fa più freddo in basso che non in quota. Per farvi un esempio, in alcune albe invernali può capitare che in Pianura Padana, lungo la Via Emilia, ci siano temperature attorno allo zero e invece sulla fascia collinare, pedeappenninica, si registrino 5-6°C, e sull’Appennino addirittura si possa arrivare in contemporanea a 9-10°C.”

Nelle ore successive all’alba invece tutto scompare…

“Durante il ciclo diurno autunnale o invernale, le prime ore di soleggiamento distruggono l’inversione, perché iniziano a riscaldare i bassi strati dell’aria. Il profilo termico torna allora quello usuale, con la temperatura che diminuisce al crescere della quota. Ed ecco che nella pianura vediamo la nebbia che si alza e si dissolve, nei fondovalle vediamo le nubi che risalgono i pendii, quasi come fossero fumo. È doveroso chiarire però un punto: oggi stiamo parlando di mari di nubi, ma non è detto che laddove si verifichi l’inversione termica questi si formino necessariamente.”

In che senso?

“Se l’aria è sufficientemente asciutta, si raffredda, scende e ristagna, ma non si formano nubi. Cerchiamo di capire perché: quando l’aria si raffredda può contenere meno grammi di vapore acqueo per metro cubo, quindi a parità di grammi di vapore acqueo per metro cubo in una certa massa di aria, quei grammi a una certa temperatura corrisponderanno a una certa percentuale di umidità, per esempio il 60%. Al calare della temperatura, quei medesimi grammi corrisponderanno a percentuali più alte, del 70, 80, anche 90 % di umidità. Quando l’aria è sufficientemente umida, raffreddandosi arriva al punto di saturazione. Condizione che dà luogo alla condensazione del vapore. In termini semplici, il vapore in eccesso rispetto al 100% condensa e genera le nubi.”

Ricapitolando, perché si formi il mare di nubi abbiamo bisogno di: temperature notturne basse, umidità abbastanza elevata dell’aria e un’area orograficamente depressa. Altro?

“Le condizioni di inversione termica risultano particolarmente favorite in nottate serene e senza vento. Il cielo sereno favorisce infatti la perdita di calore per irraggiamento dalla superficie terrestre verso l’atmosfera. Per questo le notti nuvolose risultano anche più miti. Il vento invece potrebbe causare il rimescolamento dell’aria nei bassi strati, inibendo il fenomeno dell’inversione termica. Per mantenere il ristagno serve una circolazione dell’aria blanda o assente. Notti serene e senza vento si verificano in condizioni di alta pressione, che inoltre ha un effetto di compressione dell’aria, che va ad accentuare il ristagno. L’alta pressione si associa infatti a moti discendenti lungo la colonna atmosferica, al contrario della bassa pressione che è associata a moti ascendenti.”

In riferimento alla pianura ha utilizzato prima il termine “nebbia”. Possiamo considerare nebbia e mare di nubi come sinonimi?

“Quando il banco di nubi è a contatto con il suolo si parla di nebbia. Condizione che provoca una visibilità orizzontale molto ridotta. Sopra i 1000 metri di visibilità orizzontale la chiamiamo più propriamente foschia, sotto i 1000 metri nebbia. Quando invece lo strato di nubi non è proprio a contatto col suolo ma ce lo ritroviamo sopra la testa, si parla allora di nubi basse. La nebbia durante il giorno tende a sollevarsi e quindi si trasforma progressivamente in nubi basse. Nella maggior parte dei casi si dissolvono anche queste, ma in condizioni di alta pressione particolarmente massiccia capita che permangano per tutta la mattinata, se non per tutta la giornata. L’inversione termica in questo caso persiste.

Ora, se siamo in una zona orograficamente depressa, possiamo ritrovarci immersi nella nebbia o con le nubi basse sulla testa. Ma se abbiamo la possibilità di risalire un pendio, in funivia o a piedi, ecco che ci ritroviamo a superare lo strato di inversione e letteralmente a sbucare al di sopra di quel mare di nubi.”

Una curiosità artistica: nel celebre quadro “Der Wanderer über dem Nebelmeer” (Il viandante su mare di nebbia), l’artista Caspar David Friedrich ha scelto di utilizzare il termine “nebelmeer”, appunto “mare di nebbia”. Dobbiamo dunque immaginare che la distesa di nubi che vediamo sia a contatto con il suolo?

“Nel risalire lungo un pendio, in condizioni di inversione termica ma anche semplicemente qualora vi sia una nube addossata a un versante, ci può capitare di ritrovarci immersi in tale nube. E la sensazione che ne deriva è quella che descrivevamo prima in riferimento alla nebbia: la nostra visibilità orizzontale appare limitata, perché quella nube arriva al livello del terreno su cui poggiano i nostri piedi. Tecnicamente però non è nebbia ma una nube. La profondità di Caspar David Friedrich sta nell’aver scelto un termine che non ci va a descrivere tecnicamente un fenomeno meteorologico ma ci trasmette la percezione dell’alpinista. Quel ‘nebelmeer’ non ci dice con certezza che il viandante sia partito dalla valle immersa nella nebbia. Potrebbe anche essere così, ma non possiamo escludere che quello che sta ammirando dall’alto sia un tappeto di nubi basse, al di sopra del quale è sbucato dopo aver affrontato un tratto di salita a visibilità ridotta.”

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