Ambiente

Altopiano tibetano: nelle praterie alpine biodiversità maggiore che nelle foreste

Gli ambienti montani, come abbiamo avuto modo di ricordare in occasione della Giornata Internazionale della Biodiversità, sono estremamente ricchi di piante. Di norma siamo portati a immaginare un diminuire di tale ricchezza al crescere della quota, ipotizzando che oltre la linea degli alberi la vita vegetale sia in un certo senso più povera. E non si tratta di una percezione da trekkers. Gli studi di botanica vengono solitamente effettuati suddividendo l’ambiente montano in fasce altitudinali, all’interno di ciascuna delle quali vengono analizzate le specie presenti. E di norma i risultati di tali studi, siano essi effettuati in Himalaya o sulle Alpi o sulle Montagne Rocciose, forniscono conferma della percezione di cui sopra: salendo in quota la biodiversità diminuisce. Uno studio effettuato dall’Alfred Wegener Institute Helmholtz, Centre for Polar and Marine Research (AWI) di Potsdam nella regione dell’altopiano tibetano, ha di recente messo in discussione tale affermazione.

Al di sopra della linea degli alberi, a detta del team tedesco, la ricchezza in specie vegetali è più elevata che nelle foreste. I risultati della ricerca sono stati pubblicati in un articolo dal titolo “Sedimentary ancient DNA reveals a threat of warming-induced alpine habitat loss to Tibetan Plateau plant diversity” sulla rivista scientifica Nature Communications.

Una sorpresa anche per la scienza

Il team di ricercatori capitanato dalla biologa Ulrike Herzschuh dell’Alfred Wegener Institute ha ricostruito l’evoluzione della biodiversità vegetale del Plateau, su un arco di tempo di 17.000 anni. Ciò che è risultato evidente da tale viaggio nel tempo è che nelle fasi storicamente più fredde le foreste si siano abbassate di quota, e il loro ritiro abbia lasciato spazio all’espandersi delle praterie d’alta quota. Tale espansione è stata accompagnata da un incremento nel numero di specie oltre il limite degli alberi. Nelle fasi di clima più mite le foreste hanno riguadagnato spazio, con conseguente riduzione della superficie delle praterie alpine e conseguente declino della biodiversità di tali ambienti.

“Prendendo a paragone una stessa superficie – spiega la professoressa Herzschuh – , si trovano molte più specie oltre il limite degli alberi che nelle foreste. Anche per noi è stata una sorpresa, dal momento che gli studi convenzionali, basati sulla ripartizione dell’ambiente montano in livelli altitudinali, hanno sempre indicato il contrario.”

In sintesi si potrebbe affermare che le praterie alpine presentino una densità di specie vegetali più elevata delle aree boscate.

Le ragioni di un paradosso

Come si spiegano allora le innumerevoli ricerche che finora hanno rilevato una maggiore abbondanza di specie nelle foreste? Gli autori non sono in grado di fornire una spiegazione definitiva, ma l’ipotesi di Sisi Liu, autore principale del paper, è che la risposta sia da cercarsi nella estensione. Ovvero, attualmente le foreste occupano in ambiente montano aree molto più vaste delle praterie e pascoli d’alta quota. A grandi superfici corrisponde un numero più elevato di habitat (banalmente in un medesimo bosco possiamo trovare aree ad alta copertura, radure, vegetazione ripariale laddove vi sia un corso d’acqua).

Se le regioni alpine avessero a disposizione il medesimo spazio occupato ora dalle foreste, avrebbero modo di svilupparsi habitat diversi (zone più soleggiate e aride, zone più umide e ombreggiate, zone più o meno ricche di nutrienti), il che porterebbe a una ricchezza di specie complessivamente superiore a  quella caratteristica degli habitat forestali.

Antichi sedimenti di un lago alpino tibetano

L’altopiano tibetano rappresenta una delle aree del mondo dotate della maggiore ricchezza di specie. Tanto da rientrare nei cosiddetti hotspot, punti caldi, di biodiversità. Data la quota, al termine dell’ultima glaciazione bisogna immaginare che fosse abbondantemente ricoperto dai ghiacci. Soltanto a seguito del graduale riscaldamento del Pianeta le foreste hanno avuto modo di riguadagnare i loro spazi.

Per definire con precisione come sia cambiata la biodiversità in conseguenza prima dell’arretramento e poi del ritorno delle foreste in quota, Herzschuh e il suo team hanno svolto delle analisi sui sedimenti di un antico lago nelle Hengduan Mountains del Tibet orientale.

Il lago si sarebbe formato dopo l’ultima glaciazione, pertanto sabbia, polvere e resti di piante si sono accumulati nel sito per oltre 17.000 anni. I ricercatori hanno estratto antichi frammenti di filamenti di DNA dai sedimenti, cercando di identificare quali piante vivessero lì in un determinato periodo storico. Hanno quindi incrociato tali dati con le informazioni fornite da un modello matematico utile a ricostruire le dinamiche glaciali. Come spiegato da Herzschuh: “Con l’aiuto del modello matematico sviluppato dai nostri colleghi del German Research Centre for Geosciences di Potsdam, siamo stati in grado di tracciare con precisione come la comunità vegetale sia cambiata a seconda della quota raggiunta dal ghiacciaio e dello spostamento del limite degli alberi.”

Circa 8.000 anni fa, secondo lo studio, si sarebbe verificata una fase di clima mite, che ha portato le foreste a migrare molto più in quota rispetto a dove le troviamo posizionate oggi. Il numero di specie riscontrate nei sedimenti, corrispondenti a tale epoca storica, risulta inferiore rispetto al periodo precedente.

Quale futuro per la biodiversità tibetana?

I risultati della ricerca di Postdam saranno importanti per prevedere l’evoluzione della biodiversità del Plateau in conseguenza dei cambiamenti climatici. Si tratta peraltro di informazioni applicabili anche in altre regioni alpine, che potranno aiutare i ricercatori a ipotizzare come cambierà la biodiversità d’alta quota in conseguenza dello spostamento delle foreste ad altitudini crescenti, indotto dal surriscaldamento globale.

“I nostri dati potrebbero essere di supporto nello sviluppo di strategie gestionali per combattere la perdita di diversità”, conclude Herzschuh. In ogni caso, sottolinea la professoressa, è essenziale rivedere l’immagine stereotipata delle foreste come aree montane più ricche in specie vegetali.

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