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C’era una volta lo stambecco dei Pirenei

Mentre sull’arco alpino scienza e cittadinanza si impegnano nella salvaguardia dello stambecco delle Alpi (Capra ibex L. 1758), specie a rischio estinzione a causa dei cambiamenti climatici, sui Pirenei ai ricercatori non resta che guardare al passato. Qui lo stambecco autoctono (Capra pyrenaica pyrenaica) è infatti scomparso da ormai 20 anni. L’ultimo esemplare, una femmina di nome Celia, morì il 6 gennaio 2000.

Un vano tentativo di clonazione

Una estinzione estremamente recente che si è cercato di contrastare last second, con scarsi risultati. Gli scienziati hanno addirittura tentato la clonazione dello stambecco dei Pirenei, sottospecie dello stambecco spagnolo (Capra pyrenaica), nota comunemente con il nome di “bucardo”, con esiti negativi. Il piccolo ungulato prodotto in laboratorio morì dopo soli sette minuti a causa di malformazioni ai polmoni.

Perché è scomparso lo stambecco dei Pirenei?

Alla base dell’estinzione dello stambecco dei Pirenei ci sarebbero una serie di cause: competizione con gli erbivori domestici, caccia, malattie infettive. Un team internazionale di scienziati, coordinati dal dottor Giovanni Forcina, della Universidade do Porto di Vairão (Portogallo), ha di recente svolto uno studio volto a ricostruire la memoria dello stambecco dei Pirenei. Per raccontarne la storia e gettare luce sulle cause principali della sua scomparsa.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Zoosystematics and Evolution in un paper dal titolo “Demography reveals populational expansion of a recently extinct Iberian ungulate”. 

La storia dello stambecco dei Pirenei

Il team di scienziati ha ricostruito la storia evolutiva dello stambecco pirenaico partendo da campioni di DNA mitocondriale estratti dal maggior numero di reperti disponibili, conservati nei musei e in collezioni private. Nello specifico ci si è focalizzati sul sequenziamento di un tratto di DNA codificante per il citocromo-b, proteina che si ritrova nei mitocondri delle cellule eucariote. Interessante è che tra i reperti da analizzare, i ricercatori si siano potuti anche avvalere di un trofeo di caccia, conservato da un privato, con una età di circa 140 anni.

Dagli studi molecolari i ricercatori sono stati in grado di ricostruire una fase di espansione recente della sottospecie, attorno a 20.000 anni fa. In seguito, l’espandersi della pratica del trophy hunting e il diffondersi di malattie infettive avrebbero condotto la popolazione al declino.

Non è facile per gli scienziati quantificare le “colpe dell’uomo”. Basti pensare che, soffermandosi sulla pratica del trophy hunting, non si possa soltanto affermare che la caccia comporti una diminuzione del numero di esemplari, ma è necessario evidenziare che tale diminuzione sia sbilanciata. Solitamente il cacciatore di trofei predilige esemplari maschi, non troppo giovani. Sostanzialmente stambecchi più grandi. Ciò comporta uno sbilanciamento tra percentuale di maschi e femmine, con conseguenze sulla riproduzione della specie. Le stesse malattie infettive possono trovare nell’uomo la loro causa, in quanto trasmesse alle specie selvatiche da animali da allevamento.

Ad ogni modo la sottospecie era considerata estremamente rara già nei secoli passati. Il primo documento ufficiale in cui viene citata risale al 1767. La diminuzione del numero di esemplari per le cause sopra citate comportò l’inevitabile raggiungimento di un cosiddetto “bottleneck”, un collo di bottiglia. L’accoppiamento tra consanguinei portò a una diminuzione della variabilità genetica all’interno della sottospecie. Secondo gli esperti fu proprio tale fattore a indirizzare lo stambecco dei Pirenei sulla strada senza ritorno dell’estinzione.

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