Ambiente

Antartide. Si è sciolto A68, l’iceberg più grande al mondo

Dai ghiacci antartici giunge una notizia che non sta mancando di destare allarme: la scomparsa di A68. Il più grande degli iceberg finora staccatisi dalla piattaforma antartica di Larsen C, che nel 2017, anno della sua “nascita”, misurava circa 6.000 chilometri quadrati per circa 1 miliardo di tonnellate di peso, ha completato la sua frammentazione durata 4 anni.

Il colosso di ghiaccio era rimasto in condizioni di staticità nel suo primo anno di vita, per poi iniziare ad andare alla deriva, sospinto dai venti e dalle correnti, indirizzandosi verso la Georgia del Sud. Nel suo fluttuare nell’Oceano Atlantico, A68 è andato incontro a frammentazione progressiva, a causa del contatto tra superficie ghiacciata e acque progressivamente più calde, e al contempo della temperatura dell’aria, sempre più elevata. Negli ultimi mesi è arrivato al termine della sua esistenza. Come un cubetto di ghiaccio in una bibita estiva, oggi non restano dell’iceberg che piccoli frammenti, inutili da monitorare.

Cosa insegna la storia di A68

A68 è stato monitorato via satellite negli anni, diventando, come viene definito con una certa ironia da BBC News, una star dei social. Gli aggiornamenti relativi ai suoi spostamenti e alla sua frammentazione, diffusi via Twitter e Instagram con costanza, hanno portato lo scioglimento dei ghiacci antartici all’attenzione del vasto pubblico. Un risvolto da non sottovalutare.

A livello scientifico, i ricercatori ne hanno seguito l’evoluzione per approfondire le conoscenze sulla dinamica di formazione degli iceberg che nascono dalla piattaforma di Larsen C. Il distacco di iceberg, è bene evidenziarlo, è un fenomeno naturale, che controbilancia l’aumento di massa delle piattaforme antartiche. Pertanto, sottolineano gli esperti, non è corretto utilizzare il distacco di A68 come esempio emblematico di conseguenza dei cambiamenti climatici.

Il suo destino, quello sì, può essere di supporto alla ricerca scientifica nell’analisi di come il surriscaldamento agisca su queste strutture, favorendone la frammentazione nelle acque dell’Oceano.

Gli scienziati evidenziano tra l’altro che A68 sia stato anche parecchio resistente! “Davvero spettacolare vedere quanto sia sopravvissuto A68 – dichiara Adrian Luckman, glaciologo della Swansea University a BBC News – . Se provate a pensare a quanto fosse sottile. Praticamente è come avere 4 pezzi di un foglio A4 impilati uno sull’altro. Un qualcosa di estremamente flessibile e fragile che si muove nell’oceano. Lui è rimasto così per anni. Poi probabilmente si è rotto in 4/5 pezzi che si sono ulteriormente frammentati”.

Non c’è dunque da preoccuparsi?

Se la scomparsa di A68 non va letta come una catastrofe legata ai cambiamenti climatici, c’è però ben poco da stare tranquilli perché le notizie ulteriori che giungono in questi giorni dall’Antartide non rincuorano affatto. Secondo uno studio della Northumbria University di recente pubblicato sulla rivista scientifica The Cryosphere, dal titolo “The tipping points and early warning indicators for Pine Island Glacier, West Antarctica”, il ghiacciaio Pine Island avrebbe raggiunto il punto di non ritorno nella sua dinamica di scioglimento.

Come si legge nel paper “una volta superata una soglia critica, le dinamiche interne del ghiaccio possono avviare un processo di ritiro autosufficiente, in grado di condurre il ghiacciaio a una irreversibile, rapida e sostanziale perdita di massa”. In sintesi gli scienziati affermano che lo scioglimento del Pine Island potrebbe essere ormai irreversibile.

Il ghiacciaio di Pine Island e il vicino Thwaites ricordiamo essere responsabili attualmente di circa il 10% del progressivo innalzamento dei mari. In particolare il primo dei due è un osservato speciale in quanto rappresenta il ghiacciaio che manifesta la più rapida e significativa perdita di massa tra i ghiacciai antartici.

Secondo i modelli elaborati dai ricercatori, possono essere identificati 3 punti di non ritorno. L’evento finale, innescato dall’innalzamento della temperatura dell’oceano di 1,2°C comporterebbe il collasso del ghiacciaio, con conseguente innalzamento di 3 metri del livello globale dei mari. “La possibilità che Pine Island fosse entrato in una fase instabile di ritiro era già stata sollevata, ma il nostro studio è il primo a confermare che ha superato questa soglia critica”, commenta il coordinatore dello studio, il glaciologo Sebastian Rosier.

A rischio collasso 1/3 delle piattaforme antartiche

Uno studio ulteriore, a cura della University of Reading, pubblicato di recente sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters associa un incremento di temperatura di 4°C al collasso di 1/3 delle piattaforme antartiche. Le piattaforme più fragili risultano essere Larsen C, Shackleton, Pine Island e Wilkins. Basterebbe mantenere l’incremento di temperatura globale entro 2°C per dimezzare l’area a rischio.

Quali sarebbero le conseguenze? Lo spiega con un paragone molto semplice la coordinatrice dello studio Ella Gilbert: “Le piattaforme glaciali sono dei veri e propri tamponi, in grado di prevenire che i ghiacciai vadano liberamente alla deriva negli oceani, contribuendo sensibilmente al loro innalzamento. Una volta collassate, è come se un enorme tappo di sughero venisse rimosso da una bottiglia agitata, riversando inimmaginabili quantità di acqua dai ghiacciai nel mare“.

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2 Commenti

  1. Buongiorno, forse sarebbe più corretto scrivere che A68 si dirigeva verso la Georgia del Sud, o Georgia Australe, anziché verso il Sud della Georgia che si trova in un altro posto, ben più distante.
    Saluti

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