Ambiente

Come potrebbe cambiare l’alpinismo sull’Everest a causa dei cambiamenti climatici

Il collasso del ghiacciaio himalayano del Nanda Devi, nello stato indiano dell’Uttarkhand, e la derivante onda distruttiva di acqua e detriti piombata sulla valle del fiume Dhauliganga, ha determinato nel vicino stato del Nepal il sorgere di una forte preoccupazione. Il rischio che episodi similari, legati ai cambiamenti climatici, diventino sempre più frequenti in un futuro non troppo lontano, è estremamente elevato.

I fenomeni causali di un collasso glaciale che si prevede possano verificarsi con maggiore facilità nei prossimi decenni sono essenzialmente due: frane e GLOF. Con quest’ultimo termine si intende una “inondazione indotta da collasso di un lago glaciale”, dove per lago glaciale si intende un bacino, nato in sede glaciale, i cui argini siano rappresentati da morene, ovvero accumuli di sedimenti, frammenti rocciosi tenuti insieme dal ghiaccio. Strutture dunque instabili, temporanee potremmo dire, il cui cedimento determina il collasso del lago e la conseguente esondazione. Essendo il ghiaccio il collante di tali argini, va da sé che bastino limitati incrementi termici per indurne in cedimento. Si tratta pertanto di fenomeni solitamente estivi, che come conseguenza del surriscaldamento globale potrebbero verificarsi in futuro anche in altre stagioni.

Numerosi studi scientifici hanno evidenziato negli ultimi anni come nella regione himalayana, in particolare nepalese, il numero e le dimensioni dei laghi glaciali siano in aumento.

Un recente studio condotto dall’Indian Institute of Technology di Kharagpur aggiunge un particolare rilevante: l’incremento in frequenza dei GLOF potrebbe impattare negativamente sul turismo e alpinismo nella regione dell’Everest.

La fragilità della regione dell’Everest

Secondo gli esperti, lungo la catena himalayana sono due le zone a maggior rischio di collassi glaciali: le zone aride del Ladakh e la regione dell’Everest. Con riferimento specifico a quest’ultima, lo studio dell’Indian Institute of Technology di Kharagpur evidenzia un aumento drammatico nel numero di laghi “sopraglaciali”, ovvero essenzialmente pozze di acqua che si formano sulla superficie stessa di un ghiaccio. Sarebbero almeno 17 i ghiacciai della regione del Tetto del Mondo che già mostrano la formazione di tal genere di bacini.

Parliamo di laghi di superfici limitate, 0,005 chilometri quadrati in media per bacino, ma estremamente pericolosi. In modalità similare a quanto accade con l’acqua di scioglimento sulle calotte polari, l’acqua contenuta nei laghi sopraglaciali può facilitare lo scioglimento superficiale del ghiacciaio e al contempo penetrare nelle sue profondità, andando a raggiungere il letto e favorendo così fenomeni di avanzamento del ghiacciaio stesso.

Una somma di tre fattori

Dalle immagini satellitari raccolte tra il 2010 e il 2019 si evince che su 2.424 laghi attenzionati dai ricercatori nella regione dell’Everest, soltanto 161 possano ritenersi stabili. La quota rimanente può essere al contrario definita dinamica. Ovvero soggetta a rapidi cambiamenti. Aumentano in dimensioni, si fondono a formare laghi più ampi. Nel corso del solo anno di studio la superficie totale di questi laghetti è aumentata di +0,08 chilometri quadrati.

La causa è presto detta: il surriscaldamento globale, accanto ai cambiamenti nell’andamento delle nevicate. C’è da aggiungere, come evidenziato dai ricercatori, un terzo fattore: i terremoti. Il numero di laghi sopraglaciali appare infatti essere aumentato nella regione dell’Everest a seguito del tremendo terremoto del 2015.

Un particolare evidenziato nello stuudio è che nel tempo stia aumentando la formazione di laghi sopraglaciali a quote sempre più elevate. Considerando le stime degli scienziati, che prevedono la perdita di 2/3 dei ghiacciai himalayani entro il 2100, provate a immaginare, come conseguenza del progressivo scioglimento, quanti laghi potrebbero formarsi nel prossimo futuro.

Non esisteranno più campi base fissi

Fatte le necessarie premesse scientifiche, arriviamo al punto di interesse degli appassionati di alta quota. Quello che oggi siamo abituati a considerare il campo base dell’Everest sul versante nepalese potrebbe non esistere più. La posizione attuale potrebbe infatti diventare pericolosa in funzione della presenza di laghi sopraglaciali instabili. Di conseguenza sarà necessario traslarlo in un altro punto, più sicuro.

Le preoccupazioni di ricadute sull’economia nepalese – ricordiamo che le spedizioni all’Everest portano annualmente nelle casse del Paese circa 300 milioni di dollari statunitensi – sono ingenti. Quanti viaggiatori, con il sogno di raggiungere il Tetto del Mondo, potrebbero rinunciarvi di fronte all’idea di essere esposti a rischi di tal portata?

Bisogna inoltre considerare che stiamo parlando di Everest in quanto si tratta del protagonista centrale dello studio. Ma il discorso della necessità di spostamento dei campi base in zone meno soggette a rischio esondazione si estende naturalmente ad altre vette della regione del Tetto del Mondo, che come anticipato è fragile nella sua totalità. Così come agli altri colossi himalayani, che nel corso del tempo si ritroveranno ad affrontare le conseguenze dei cambiamenti climatici.

Cosa fare?

La situazione è grave, non si può su piccola scala temporale pensare di fermare lo scioglimento dei ghiacciai, ma sicuramente si può giocare sul tempo per evitare le peggiori conseguenze. Noti i rischi per il futuro, è bene che scienza e politica inizino a collaborare strettamente, monitorando in maniera costante da vicino le aree fragili himalayane. Attualmente soltanto 24 ghiacciai himalayani sono sottoposti a monitoraggio in situ. Il numero totale però ammonta a oltre 50.000.

L’invito dei ricercatori, già avanzato a seguito della tragedia del Nanda Devi, è di cercare di creare una rete di monitoraggio che veda la partecipazione di tutti i Paesi attraversati dalla catena himalayana. Soltanto acquisendo dati in situ sarà infatti possibile prevedere futuri GLOF e prevenire ulteriori tragedie.

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Un commento

  1. Peccato che in alta quota la roccia di solito faccia schifo, è tutta rotta, altrimenti si aprirebbe un bel periodo di arrampicate !

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