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Neve e boom dell’outdoor. Un inverno complesso per la fauna selvatica

La SAT propone di istituire delle "aree di quiete"

Lo scorso 12 febbraio la SAT (Società Alpinisti Tridentini) ha organizzato un webinar con una serie di esperti in fauna alpina dal titolo “Un inverno difficile. Uomo e natura nella montagna invernale”. L’inverno ancora in corso, con le sue intense e ripetute nevicate, ha portato sì la sensazione finalmente di una stagione “vecchio stile” ma anche pesanti disagi e difficoltà. Non solo agli esseri umani ma anche alla fauna. Ricorderete il video dei cervi arrancanti nell’alto manto nevoso, aiutati dagli alpinisti in Valle Pesio. Accanto alla neve che, oltre a presentarsi come ostacolo fisico, ha anche ridotto la disponibilità di cibo per molte specie, una problematica aggiuntiva di questo inverno in epoca Covid è rappresentata dall’alta presenza di fruitori delle Terre Alte. Escursionisti, scialpinisti, ciaspolatori, sciatori fuoripista.

L’idea del webinar della SAT – disponibile in versione completa sul canale Youtube della Società per chi se lo fosse perso – , nasce, come si evince dalla descrizione a corredo, dall’evidenza che “l’estate alpina appena trascorsa ha mostrato tutte le criticità di una frequentazione pervasiva, intensa, apparentemente priva di limiti e valori, di un territorio fragile e finito. Approcciarsi alla montagna richiede rispetto, attenzione, consapevolezza, responsabilità, soprattutto in inverno, stagione che ne accentua le fragilità, e che spinge le comunità faunistiche che la popolano al limite della sopravvivenza”.

La fragilità dell’ambiente innevato

“La  SAT si impegna nel sensibilizzare i frequentatori della montagna sulle fragilità dell’ambiente innevato – si legge sul sito della SAT – . Le azioni di comunicazione e formazione si concretizzeranno grazie alla collaborazione delle Commissioni SAT: Scuola e Formazione, TAM (Tutela Ambiente Montano), Escursionismo e Scuole di Alpinismo e Scialpinismo, nell’intento di promuovere una fruizione della montagna più consapevole, attenta e responsabile. Si parte quindi con uno speciale focus sugli impatti delle nostre attività outdoor sulla fauna alpina e su come, con alcuni accorgimenti sia possibile mitigare la nostra presenza nei loro habitat”.

Al webinar, introdotto da Elena Guella e moderato da Chiara Fedrigotti della TAM, hanno partecipato Luca Pedrotti (Parco Nazionale dello Stelvio) e Radames Bionda (Ente Gestore delle Aree Protette dell’Ossola).

“La crisi pandemica generata dalla diffusione del Covid-19 – sottolinea Elena Guella, vicepresidente della SAT – ha fatto emergere sfide sociali, economiche ed ambientali fino ad oggi solo vagamente ipotizzate. Uno sconvolgimento al quale nemmeno la montagna ha saputo resistere. In questo contesto così difficile le comunità alpine si trovano costrette a fare i conti con un inverno senza sci alpino. Da anni le associazioni impegnate nella tutela dell’ambiente alpino auspicano un repentino cambio di paradigma, coerente con la crisi climatica in atto e oggi, senza alcun preavviso, questa trasformazione ci è stata violentemente imposta. La montagna, tuttavia, ha molto altro da offrire in alternativa allo sport massificato: natura, paesaggi, silenzio e la straordinaria occasione di goderne camminando, con le racchette da neve, gli sci da fondo, gli sci alpinismo”.

“Approcciare alla montagna  – prosegue – richiede rispetto, attenzione, consapevolezza, responsabilità, soprattutto in inverno, stagione che ne accentua le fragilità e che spinge le comunità faunistiche al limite della sopravvivenza. Tutti noi che abitiamo le Alpi godiamo della loro natura e della biodiversità, a maggior ragione i club alpinistici, che da sempre ne promuovono e incoraggiano la frequentazione. Siamo tutti chiamati a fornire un esempio virtuoso, a trasmettere i valori di responsabilità, sostenibilità e tutela dell’ambiente montano, propri del nostro statuto. A tutti noi soci della SAT sono richiesti maggior impegno e attenzione alla fragilità che ci ospita, per comprenderne la complessità e delicatezza. L’alternativa che si prospetta, in assenza di azioni di sensibilizzazione, è quella di un ambiente invaso in ogni ambito e in ultima istanza impoverito, omologato e reso inadatto a qualsiasi emozione e avventura che solo le Alpi sanno ancora regalare”.

La proposta delle “aree di quiete”

Dalle riflessioni collettive scaturite nel corso del webinar è emersa in particolare una proposta, attenzionata dal  quotidiano L’Adige, di istituire delle “aree di quiete”. Zone di rispetto in cui vietare sport invernali e accesso di escursionisti, al fine di tutelare la presenza della fauna selvatica che nel corso dell’inverno limita i propri spostamenti.

“Vogliamo portare questo ragionamento in un confronto insieme a Provincia, Parchi naturali, istituzioni scientifiche del territorio”, dichiara a tal proposito Chiara Fedrigotti.

“E’ un grave errore diffondere la fruizione ovunque”, afferma Luca Pedrotti, sottolineando al contempo che con i semplici divieti non si ottiene molto. Serve l’orgoglio di voler creare delle zone di tranquillità per gli animali selvatici in inverno e decidere dove concentrare i flussi antropici per motivi ricreativi e sportivi”. Non si sta parlando di idee innovative in senso estremo. In altri Paesi alpini, come l’Austria e la Svizzera, simili aree di protezione sono già in attivo.

A contempo, evidenzia Pedrotti, sarebbe opportuno anche concentrare, zonizzare le attività invernali. Definire dunque anche le aree dove potersi divertire nello svolgimento delle proprie attività outdoor. Una proposta che, come chiarito in chiusura di intervento dal biologo, consentirebbe di andare oltre il concetto di aree protette. Concetto nato all’inizio del secolo scorso. “Il mio auspicio è che tra 50 anni non ci sia più bisogno di aree protette, cioè che tutto il territorio venga gestito e zonizzato al di là di un fortino da difendere e il resto del territorio dove si può rovinare l’ambiente”. 

Il peso di un divieto necessario

“Gli animali selvatici, come gli ungulati e i galliformi – spiega Pedrotti – si abituano a un disturbo prevedibile e ripetuto, come la presenza degli sciatori in pista in certi orari. Soffrono se la presenza umana è improvvisa, inattesa, come avviene con escursionisti, scialpinisti e ciaspolatori. Gli animali si spaventano soprattutto se sentono arrivare qualcuno alle loro spalle da monte, veloce in discesa. Tendono a scappare a quote più elevate, dove però la presenza di cibo è ancora minore”.

“Tuttavia – precisa ancora il biologo – nelle aree Parco non ha senso foraggiare gli animali per farli sopravvivere. Scientificamente e come approccio naturale è meglio lasciarli a selezione naturale e puntare su buone pratiche per contenere il disturbo umano che li metterebbe in ulteriore difficoltà, spingendoli a bruciare energie per fuggire in zone più remote e meno ricche di risorse”.

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Un commento

  1. E ridagli, ancora divieti, contro chi semplicemente cammina o scia. Ma pensateci un po’ prima di parlare e sentenziare: prendete una valle, un vallone qualsiasi delle Alpi, fateci fotografie e video, del paesaggio, della fauna e della flora; costruiteci poi le vosre funivie, ovovie, skikilift e skif vari, alberghi e strade, come è stato fatto in tanti, troppi luoghi, poi confrontate; come era prima e come è dopo. Forse anche voi espertoni capireste…Il problema per la tutela ambientale in montagna sarebbero gli escursionisti? Perchè non “zonizzare” i palazzinari, gli speculatori, gli asfaltatori e i vari assessori ai lavori pubblici? Zonizzare…ma va là…

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