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Insieme in vetta, Mingma G. ci racconta il K2 invernale

Si sono aspettati una decina di metri sotto la cima per compiere insieme quegli ultimi passi che li avrebbero portati a 8611 metri, sulla vetta del K2 in pieno inverno. Era il tardo pomeriggio del 16 gennaio 2021, l’aria era gelida e l’ombra del K2 già si allungava verso l’orizzonte. Dieci alpinisti nepalesi sulla più alta montagna del Karakorum, per primi nella stagione fredda. Hanno raggiunto il punto più alto intonando l’inno nazionale e facendo sventolare la bandiera del loro Paese. Sono entrati nella storia con questa salita che sancisce una volta per tutte il loro ruolo di primo piano come protagonisti sulle più alte montagne della Terra. Siamo riusciti a rintracciare Mingma Gyalje Sherpa, capospedizione del team di soli Sherpa che unendosi alla squadra capitanata da Nirmal Purja è riuscita a siglare la storica impresa.

Mingma, domanda banale, cos’ha significato raggiungere la vetta del K2 in inverno?

“È stato come un sogno, non solo per me e per il team, ma per l’intera comunità degli alpinisti nepalesi. Ci sono 14 vette che superano gli ottomila metri e una di queste è stata raggiunta per la prima volta in inverno da 10 alpinisti nepalesi. Un grande successo, non solo per noi ma per le future generazioni di scalatori nepalesi che potranno sentirsi ispirati e seguire queste orme provando a realizzare qualcosa di simile.”

Vi siete aspettati per arrivare in cima intonando l’inno nazionale. Una grande lezione sul senso di squadra…

“L’arrivo in cima è stato un momento unico e significativo. Per noi è stato molto importante arrivare tutti insieme perché tutti e dieci abbiamo contribuito allo stesso modo nella riuscita della salita, ognuno si è impegnato al massimo nel raggiungimento della vetta. Volevamo arrivare insieme perché non ci fosse un primo o un secondo, ma una squadra nepalese in cima nello stesso momento.”

Siete arrivati in vetta quasi al tramonto, avete temuto per la discesa quando vi siete accorti dell’orario?

“No, perché avevamo le corde fisse lungo tutta la via che ci avrebbero permesso di scendere in maniera agevole e veloce. A preoccuparci maggiormente è stato l’aumentare del vento, temevamo per eventuali congelamenti ma alla fine è andato tutto bene.”

Hai raccontato di aver avuto un momento di cedimento che ti stava portando alla rinuncia, cosa è successo?

“La mattina del 16 gennaio faceva veramente freddo, il termometro toccava i meno 60 gradi e c’era molto vento. Sentivo molto freddo, soprattutto alle dita, e mi stavo preoccupando per la situazione. Stavo per lasciar perdere. Sono stati i miei compagni a stimolarmi e a convincermi a proseguire, a muovermi per scaldare il corpo. Così sono ripartito, quando poi dopo tre ore di salita è uscito il sole ho ricominciato a sperare nella vetta e a stare meglio. I raggi del sole, con il loro calore, mi hanno ridato motivazione.”

Non toglie nulla al valore della salita, ma dove hai iniziato a usare l’ossigeno e quanto pensi che questo ti abbia aiutato?

“Ho iniziato a usarlo il 15 gennaio da campo 3, quando abbiamo iniziato a fissare le corde per campo 4. Ero veramente stanco e dovevo trovare le energie per montare le fisse sulla montagna. Se avessi lavorato senza ossigeno non credo che il giorno dopo avrei avuto energie sufficienti per tentare la vetta. Sicuramente mi ha aiutato, ma è molto più importante la forza mentale. Non è l’ossigeno a portarti in vetta quanto la convinzione di potercela fare.”

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