Arrampicata

“Un lungo processo, ma che soddisfazione”. Stefano Ghisolfi ci racconta “Erebor”

Lo scorso 8 gennaio Stefano Ghisolfi, atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro, ha messo a segno la salita di “Erebor”, via da lui stesso immaginata e chiodata, che al momento risulta essere la più difficile via di arrampicata sportiva in Italia con il grado di 9b/+. La linea si trova sulla parete dell’Eremo di San Paolo, ad Arco, e gli ha richiesto diversi mesi prima di vederlo agganciare la corda in catena. Il successo, ci racconta Stefano, è arrivato quasi a sorpresa in una giornata d’inizio anno dalle rigide temperature.

Stefano, è la prima volta in cui chiodi una via, com’è stato?

“Diverso dal solito. Sia ad Arco che in giro per il mondo sono abituato a ripetere vie già salite, non posso dire che sia più facile ma quantomeno sai che è possibile. I parametri sono già stati decisi, magari esistono video online dove ti vengono mostrati movimenti, è tutto preimpostato.

Chiodare è completamente diverso. Ti muovi su una roccia nuova, devi capire come e dove mettere gli spit. Per questo è stato fondamentale l’aiuto di Severino Scassa che mi ha guidato e svelato i suoi segreti.”

È stato difficile?

“All’inizio si, soprattutto capire dove fissare gli spit. Non sapevo se sarebbe stato possibile, magari stavo perdendo tempo ed energie per poi scoprire che non c’erano prese. Con il passare dei giorni ho capito che c’era qualcosa, poi ho capito come fare i movimenti. Nel complesso è stato un lungo processo, ma di grande soddisfazione.”

È stata una folgorazione improvvisa o anche l’individuazione ha richiesto tempo?

“Poco dopo il termine del primo lockdown era difficile spostarsi e così andavo nelle falesie più vicine a casa ricercando le vie che ancora non avevo salito. Così ho notato che  su quella porzione di parete c’era una parte abbastanza larga che ancora non era stata chiodata. Sembrava liscia, probabilmente nessuno aveva mai pensato di salire da lì. Visto però che qualche presa poteva esserci ho pensato che potesse essere la buona occasione per fare qualcosa di nuovo.”

Quanto è stato difficile liberarla?

“In tutto mi ha richiesto una ventina di giorni, forse di più. Essendo vicina a casa spesso sfruttavo anche le mezze giornate per fare almeno un paio di tentativi.”

Mai pensato di lasciar perdere?

“Ci sono stati diversi momenti difficili, carichi di dubbio. Con l’abbassarsi delle temperature ho anche pensato di aspettare fino a marzo, quando il sole sarebbe tornato a scaldare le rocce. L’8 gennaio, quando sono riuscito a realizzare la libera, faceva veramente freddo. Non riuscivo a muovermi più di tanto, soprattutto nel passaggio più difficile. Stavo per lasciar perdere, poi un nuovo tentativo e ci sono riuscito.”

Una linea completamente vergine, quanti dubbi avevi? Sara ti sosteneva?

“Io ero quello che sapeva meglio quali potevano essere le possibilità perché mi muovevo sulla linea e toccavo le prese. Magari chi stava sotto non si rendeva conto. All’inizio poi è difficile capire quanto sia veramente fattibile o meno: non riuscivo a fare i movimenti singoli, quindi i dubbi erano molti. Sara non penso abbia mai dubitato, è abituata  e sa che all’inizio non riesco mai a muovermi fluidamente. Sicuramente era curiosa di vedere come sarebbe andata.”

“Erebor”, dal Signore degli Anelli. Sei un appassionato?

“Ci sono due ragioni per il nome. Da un lato mi veniva in mente l’assonanza quando andavo all’Eremo di San Paolo. Dall’altra parte nel periodo in cui ero impegnato nella chiodatura stavo leggendo ‘Lo hobbit’ di Tolkien e da lì mi è rimasto impresso il nome della montagna solitaria.”

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Un commento

  1. Io sarò anche ignorante, ma chiodare pareti completamente “vergini”, in luoghi sacri (al di là che tutta la montagna è sacra) anche se si è personaggi di serie a, e che quello è il loro “lavoro”…. mah, mi lascia perplessa. “Un chiodo conficcato nella roccia è quasi una pugnalata a qualcosa di vivo” citazione di un grande salitore d’altri tempi.

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