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Giorgio Daidola: “Ritroviamo la dimensione umana dello sci”

Se ne parla ormai da settimane: la pandemia in corso ci sta offrendo l’opportunità per ragionare attorno a un’altra economia della neve, lontana dalle piste battute e dagli impianti da discesa. Ma è realmente così facile creare un nuovo modello per il turismo invernale? Potrebbe davvero funzionare? Tra chi urla vittoria alla chiusura degli impianti durante il periodo natalizio e chi la vive come una sconfitta senza rimedio, non si è quasi mai affrontato il tema con la giusta lucidità. Per questo abbiamo scelto di parlarne con Giorgio Daidola, sciatore d’altissimo profilo, già direttore della Rivista della Montagna e docente universitario di “Analisi economico-finanziaria per le imprese turistiche”.

Giorgio, da oltre quarant’anni sei un convinto sostenitore di un’altra economia della neve. Cosa pensi in generale di questa chiusura totale?

“La vedo come una delle tante tragedie del momento, anche se credo che non tutti si stiano rendendo conto del livello della tragedia. Da un lato c’è chi vede nella chiusura il giusto momento per ripensare e cancellare una volta per tutte le grandi stazionni, i grandi comprensori, i lunapark in quota (io sono sempre stato uno di quelli, non ho mai amato questo tipo di sci); dall’altra parte c’è invece chi pensa che dopo tutto tornerà come prima, e anche in questo caso sono uno di loro.”

Come mai?

“Perché stiamo cercando di risolvere il problema con donazioni, ristori, contributi e sussidi. I sussidi hanno l’effetto di mantenere in vita un sistema economico corposo ma senza futuro. Un sistema che in alcune aree alpine rappresenta una monocultura turistica, favorita da aiuti pubblici e ingenti capitali privati. Nelle stesse zone sono oggi determinanti gli ulteriori contributi forniti per garantirne la sopravvivenza alla chiusura forzata. Per questo penso che il divieto di aprire non possa diventare un volano per far cambiare rotta al turismo invernale.”

Non pensi che ci possa essere un cambio anche da parte dei gestori?

“Non credo sia possibile. Una volta passata la pandemia le categorie risarcite avranno la possibilità, e i mezzi finanziari, per riprendere come se nulla fosse a gestire e sviluppare i loro luna-park.”

Parliamo pur sempre di un’economia che, a oggi, è completamente in ginocchio…

“Esattamente. Per questo penso sia molto probabile che i governanti non si siano resi conto  da una parte della mole di danni e dall’altra parte della mole di sussidi che dovranno elargire. Una valutazione che in questo momento di pandemia sembra importare poco, giustificando invece un utilizzo illimitato di fondi. Cifre che aprono le porte a una domanda sul futuro: chi pagherà tutto questo?”

Chi?

“Come insegno ai miei studenti, i soldi arrivano da qualche parte e vanno da un’altra parte. Delle fonti nessuno parla, ma qualcuno dovrà pur pagare questa pioggia di denaro. Chi? Saremo tutti noi, una società sempre più povera. Di certo assisteremo a una notevole ridistribuzione della ricchezza. Vedo questa situazione come un castello di carte, prima o poi destinato a crollare.”

Esiste davvero un’altra economia della neve?

“Certamente. Lo scialpinismo, le ciaspole e l’escursionismo invernale non portano certo gli stessi introiti dello sci in pista, ma offrono lavoro alle aziende che fabbricano le attrezzature, ai piccoli alberghi, ai B&B, ai rifugi in quota. La gente che non può andare sulle funivie fa altro, ha voglia di muoversi. Qui in Trentino vedo con i miei occhi quanto è cresciuto l’escursionismo invernale. Un tipo di economia diversa, con numeri diversi, più vicina al territorio, alla gente, alla natura. Non escluderei però del tutto gli impianti. Sono certo che questo ritorno a una montagna morbida riguarderà solo di striscio lo scialpinismo. Questo sarà solo un fenomeno del momento, fino alla riapertura degli impianti. Purtroppo non abbiamo la cultura dello sci. Guadagneremo invece escursionisti invernali e ciaspolatori.”

Cosa intendi con “non escludere del tutto gli impianti”?

“Impianti semplici, meno impegnativi sia economicamente che di impatto sul territorio. Impianti che non devono funzionare a ogni costo, come accade con le mega strutture che hanno ristoranti lungo le piste, parchi giochi, impianti per innevamento artificiale. Questi ultimi hanno dei grandi costi e devono essere sempre operativi, anche senza neve. Le strutture più piccole, come le seggiovie biposto e gli skilift, permetterebbero di tornare a una dimensione più umana, a uno sci più vero. Potrebbe essere l’occasione per recuperare vecchie strutture e piccole stazioni dismesse, oltre a dare nuova vita a numerosi borghi montani.”

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