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Turchia. Le capre di montagna sono sacre, revocato permesso di caccia

Un cacciatore di trofei alla ricerca di una preziosa capra di montagna da collezionare, si è visto di recente revocare il permesso di caccia nella provincia di Tunceli, nota storicamente col nome di Dersim, nella Turchia orientale. Una iniziativa importante quella presa dalle autorità locali. Nel rispetto delle tradizioni del popolo Zaza, minoranza etnica e religiosa che considera sacre le capre di montagna. Non solo le capre ma tutti gli esseri viventi che popolano le alture del Dersim. Animali e vegetali, nonché gli elementi naturali che consentono la vita, quali il sole e l’acqua.

Il profondo legame degli Zaza con la natura

Gli Zaza, considerati una minoranza della minoranza curda, presentano e preservano non solo un dialetto a sé ma anche una forma di Alevismo particolare, detto Raa Haqi. Nonostante una aspra persecuzione da parte degli Ottomani sunniti, che li consideravano eretici, hanno conservato nei secoli le proprie credenze, i propri rituali e uno stretto legame con gli elementi della natura. Mantenendosi intimamente legati a quelle montagne che nel corso del tempo hanno rappresentato un luogo di rifugio ma anche di massacro. La provincia del Dersim fu infatti teatro di una feroce campagna militare, tra il 1937 e il 1938, finalizzata a portare la regione sotto il controllo dello stato turco.

Il forte rispetto per la natura porta gli Zaza a non vedere di buon occhio i cacciatori che di tanto in tanto decidono di trasformare una delle capre sacre in trofeo da salotto. Basti pensare che se uno Zaza viene scoperto a cacciare un animale sacro, ne deriva l’emarginazione dalla comunità. Il termine con cui viene etichettato il peccatore è “caduto”.

C’è da aggiungere che alcune specie di capre di montagna siano protette dal Ministero dell’Ambiente turco in quanto a rischio estinzione, ma è ammessa la caccia degli esemplari più anziani, in numero limitato. E secondo il sistema del trophy hunting, che prevede una offerta da parte di ogni cacciatore per potersi dilettare su un territorio altrui, il 60% del ricavato dovrebbe essere destinato alle comunità locali.

La scorsa estate, gli attivisti del Dersim hanno addirittura lanciato una petizione su Change.org per chiedere di vietare la caccia alle capre di montagna nella regione. In particolare dopo l’offerta giunta da alcuni cacciatori per uccidere 17 esemplari. Permesso revocato dal Ministero nel mese di luglio.

In arrivo un nuovo cacciatore di trofei

Il divieto ancora non esiste nella Provincia, pertanto superata l’estate è giunta una nuova richiesta da parte di un cacciatore di trofei. Bradley Garrett Van Hoose, uomo d’affari americano, è riuscito ad ottenere il permesso tramite una agenzia di viaggi, con autorizzazione a poter sparare fino a 50 proiettili tra il 7 e il 13 dicembre 2020.

Il 6 dicembre, a 24 ore dal teorico avvio della caccia al trofeo, Fatih Mehmet Maçoğlu, sindaco del capoluogo di provincia Tunceli, ha pubblicato un post su Twitter con un messaggio diretto al cacciatore americano: “Per noi, nessuna taglia può essere messa su un essere vivente in natura – aggiungendo con decisione – . Domani sarò qui ad aspettarti, insieme agli abitanti dei villaggi e amici sensibili“.

Fortunatamente non è stato necessario veder scendere in campo il sindaco e il suo team, in quanto il permesso di caccia è stato revocato a seguito dei reclami.

Un caso simile

In Pakistan lo scorso anno ci fu un caso simile e polemiche furono sollevate dall’arrivo di Bryan Kinsel Harlan. Un cacciatore americano che aveva speso ben 110.000 dollari per ottenere un permesso che gli consentisse di cacciare una rara capra falconeri, nota anche come markhor. L’uomo aveva deciso di condividere sui social la sua conquista, pubblicando su Facebook un video. Una scena macabra che lo mostrava raggiungere la capra, ucciderla e tirarla su per le corna proprio come un trofeo. Una scena riprovevole che aveva fatto il giro del mondo grazie all’intervento della CNN.

La pratica del trophy hunting

Perché nonostante l’indignazione generale, la pratica del trophy hunting persiste? Maurizio Gallo aveva provato a fornirci una risposta proprio in relazione alla vicenda di Harlan.

Il trophy hunting, se gestito in maniera oculata, può portare introiti economici alle popolazioni che vivono in aree da preservare, come nel caso del Central Karakorum National Park, che si sviluppa attorno al K2. Per “maniera oculata” si intende nel rispetto di regole. Quali “il permesso di caccia da assegnarsi solo previo censimento degli animali esistenti che ne garantisca un sovrannumero e un buono stato di crescita. E l’obbligo da parte delle comunità di investire la quota loro assegnata per attività di protezione ambientale”.

Il problema dove nasce? In Pakistan ciò che Gallo riporta è chenon un dollaro è stato reinvestito, ma soprattutto si è accesa una pesante lotta fra le diverse valli per avere assegnati degli animali da abbattere con il beneplacito del dipartimento delle foreste”. Il markhor, che è una specie in via di estinzione di cui sopravvivono pochissimi esemplari in poche valli della parte più meridionale del parco, ha iniziato ad essere cacciato senza rispetto della regola 1. La ragione è presto detta: “il costo del trofeo passa da meno di 10.000 dollari a oltre 100.000”. “Certo che di manie nel mondo ce ne sono tante – concludeva Gallo – . Quella di collezionare trofei è una di quelle, simile per certi versi a quella di esporre a casa l’attestato di aver salito la montagna più alta del mondo senza badare minimamente alle conseguenze ambientali che questo ha comportato“.

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